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Dall’incipit del libro:
– Vergogna! – pensava io – se qualcuno mi incontrasse!… se qualcuno sapesse!… E non c’è da illudersi che il fatto debba rimanere celato… I giornali parleranno, e quali commenti da parte
degli amici! Essi combattono in Roma, gli amici… Essi difendono 1’ultimo baluardo della libertà
italiana… essi spendono il sangue e muojono per la patria… Mentre io – italiano – attraverso gli
Appennini tirato da due magre rozze, imbaccucato il capo e la gola in una gran ciarpa color
scarlatto, i piedi raccolti in una pelliccia, per andarmene a Chieti – in terreno nemico – a terrorizzare con un elmo ed una spada di cartone un esercito di coristi. Mentre nel mio cervello si svolgeva l’umiliante soliloquio, la vettura del Cicoria entrava fragorosamente in Grottamare, piccolo paese delle Marche, a poca distanza dal confine napolitano. La carrozza si fermò alla porta di un alberghetto, dove io presi terra, dovendo, prima di proseguire il viaggio, compiere nel paese alcune formalità. Il mio impresario mi aveva procacciato non so quante lettere commendatizie, fra cui una pel console marchese Laureati residente in Grottamare. – Il marchese doveva porre il visto al mio passaporto.


