Dall’incipit del libro:
Silvano siede sull’erba, appiè d’un rovere, e ascolta le voci onde s’avviva la solitudine. Come freme tutto all’intorno il bosco penetrato dai zeffiri! Come susurrano e cantano l’acque fra i muschi! Gli uccelletti, guizzanti di ramo in ramo, empiono l’aria di un così dolce e festivo concento che in udirlo ogni cuor s’innamora.
Ben conosce Silvano quelle voci diverse, e ancora le più lievi ed incerte che si destano negli occulti seni del bosco, e lungo le ripe di lucido stagno, circondato di canne tremanti, e in mezzo a ripide balze sassose, vedove d’acque e di verde: lenti sospiri che non sai d’onde esalino, mormorii subitani e fugaci, balbettamenti confusi, come di parole che non possan formarsi.
A tutte Silvano aveva porto infinite volte l’orecchio; e quando l’alba diffonde ne’ cieli il pallor vago della prima luce: e quando a mezzo il giorno sfolgora il sole nell’alto ed empie l’aria di fiamme; e quando s’imporpora l’occidente e s’allungano l’ombre: e quando ride serena la luna, e insinua tra le fronde oscure i suoi candidi raggi.
Sempre quella inesausta armonia della viva natura eragli stata di somma dolcezza; e séguita ad essere, salvo che finalmente a quel dolce si mesce alcuna stilla d’amaro. Che non è dato anche a lui di cooperare a produrla quella cara armonia e di unire la sua voce alla voce di tutte le cose?

