L’autore stesso la definisce “fiaba filosofica”, feroce satira anti-illumista. Riprende la storia de “L’amore delle tre melarance“, per sviluppare un’azione fantastica con una sorprendente messa di incantesimi, magie, trasformazioni: la statua parlante di Calmone, l’apparizione di un «magnifico e ricco palagio» sul luogo dove Renzo e Barbarina hanno scagliato un sasso; pomi che cantano, acqua che balla, una sepolta viva da 18 anni che ritorna alla vita, un re trasformato in uccellino. La morale della vicenda è la “redenzione” dei due gemelli Renzo e Barbarina, figli sconosciuti del Re Tartaglia, filosofi ingrati, ad opera della statua Calmone e della madre adottiva Smeraldina, esempio di fede e cristiana pietà. Si distinguono nettamente le parti scritte interamente, «premeditate», da quella abbozzate, riportate in forma indiretta.
Sinossi a cura di Claudio Paganelli
Tratto da “Dizionario biografico compatto degli autori della letteratura italiana” e da “Il teatro Italiano” volume IV, La commedia del settecento, tomo secondo, Einaudi editore, 1988.
Dall’incipit del libro:
La fiaba dell’Augellino belverde è un’azione scenica, la piú audace, che sia uscita dal mio calamaio.
Io m’era determinato a tentar con uno sforzo di fantasia uno strepito grande teatrale popolare, e a troncare il corso delle composizioni sceniche, dalle quali non voleva utilità nessuna, ma né meno quel peso disturbatore, che incominciavano a darmi; massime sembrandomi già di aver abbastanza ottenuto quell’intento, che m’era proposto per un purissimo, capriccioso, poetico puntiglio. Appiccai il filo di questa fiaba agli spropositati avvenimenti dell’Amore delle tre melarance; ma nel midollo di questa la sostanza era ben differente.


