Vittorio ImbrianiVittorio Imbriani nacque a Napoli il 27 ottobre del 1840 da Paolo Emilio Imbriani, giureconsulto e uomo di lettere, e da Carlotta Poerio figlia del Barone Giuseppe e sorella di Alessandro e Carlo Poerio. La famiglia paterna aveva lunga tradizione patriottica: il nonno, Matteo, era stato deputato al parlamento del 1820-21.

Passò la sua prima giovinezza in esilio, colla famiglia, poiché il padre riuscì ad essere contumace a un processo, successivo alle vicende del ’48, che vide la sua condanna a morte (morì poi senatore del regno). Le tappe di questo esilio furono dapprima Nizza e poi Torino.

Principalmente condusse i suoi studi da autodidatta seguito dal padre e da pochi altri precettori. Di ingegno precoce, a dodici anni compendiava e annotava i testi di Villani, accantonando una gran quantità di sunti, estratti, notizie di autori, lasciando quindi testimonianza della sua operosità intellettuale.

Nel 1859 a soli diciannove anni, rivoluzionario e repubblicano, abbandonò gli studi, per partecipare alla guerra come volontario nel secondo corpo dell’esercito dell’Italia centrale.

Finita la guerra si trasferì dapprima a Zurigo dove fu allievo di De Sanctis, che ebbe immediata consapevolezza del precocissimo ingegno dell’Imbriani ma anche del suo carattere estremo.

Trasferitosi poi a Berlino entrò in contatto con le fonti dirette di quella cultura hegeliana che era una componente essenziale della cultura napoletana. Ed ecco profilarsi, e poi accentuarsi con gli anni, la conversione a un’idea minoritaria dello Stato. Ma a Berlino, in seguito a un diverbio con un tedesco che si faceva beffe del “coraggio” degli italiani, lo prese a schiaffi e dovette accettare il duello durante il quale ferì il suo sfidante. Questo gli causò l’allontanamento da Berlino e fu costretto a tornare in Italia. Dal 1863 si trasferì a Napoli.

Nel 1866 è coi Garibaldini a Bezzecca, nel quinto reggimento comandato dal colonnello Chiassi; durante la battaglia venne fatto prigioniero dagli Austriaci e trascorse questa prigionia in Croazia.

Nel 1868 nella «Rivista Bolognese» venne a violenta polemica col De Gubernatis; ma i due avversari, con la mediazione di Giuseppe Pitrè si riappacificarono presto e spesso si ritrovarono a lavorare insieme nel campo di studi ove proprio Giuseppe Pitrè fu maestro e precursore. Alla letteratura popolare Imbriani diede quindi un contributo importante e significativo dando alle stampe nel giro di pochi anni una gran quantità di pubblicazioni: La Novellaia Fiorentina (Livorno, 1877); Due Fiabe toscane (Napoli, 1876); Dodici Canti pomiglianesi (Napoli, 1877); Cinquanta Canzonette infantili pomiglianesi (Bologna, 1877); Sette Novellette di Cammillo Scaligeri (Pomigliano d’Arco, 1876); Canti popolari delle Provincie meridionali (due volumi, Torino, 1871-72); Canti popolari vicentini; Canti popolari di Marigliano; La Novellaia Milanese; Paralipomeni alla Novellaia Milanese; Canzoni popolari in dialetto titano; Canti popolari di Mercogliano; Canti popolari calabresi; Canti popolari avellinesi; A ‘Nndriana fata: cunto pomiglianese; Canti popolari di Gesso-Palena; Panzanega d’un Re, dialetto di Crenna; e Sette mane mozze, dialetto pomiglianese.

Dopo la salita al potere della Sinistra, nel 1876, l’Imbriani, in totale dissenso coi suoi tempi, diventa, più che un conservatore, un utopistico reazionario. L’anno seguente si presenta a un concorso universitario di Letteratura italiana, ma non riesce nonostante la relazione di Luigi Settembrini, Giuseppe De Blasiis e Francesco Fiorentino sia a lui molto favorevole: della commissione faceva parte il Carducci. Nella relazione si legge fra l’altro: “Non essendo nostro ufficio di valutare tutta quanta la cultura del signor Imbriani, ma il merito speciale che ha nella nostra Letteratura, di tutti gli altri suoi lavori toccheremo di passaggio, e ci fermeremo soltanto in quelli, dove tratta di simile argomento. S’incontrano, fra i suoi scritti, lavori di vario genere. Novelle, Critiche di cose d’arte e Disputazioni filosofiche […] In tutti questi scritti abbonda l’ingegno, pieghevole a tutte le forme; v’è fantasia ed acume critico; c’è erudizione e rigor dialettico. Ben talvolta non avresti voluto incontrarvi un’allusione troppo pungente, o un frizzo troppo mordace, o una sentenza troppo recisa, e che si abbia l’aria del paradosso, ma non puoi a meno di ammirare la vena feconda ed il facile brio dello scrittore; e poi in fondo vi scorgi l’intenzione diritta, ed un carattere indomito, che t’induce a menargli buone perfino le intemperanze. […] L’Imbriani non ti stanca mai e tu leggi senza annoiarti il Catalogo di un’Esposizione di quadri, appunto perchè i tèmi, talvolta, ripetuti dai pittori, sono stati variati dallo scrittore, intrecciandoli con allusioni storiche, con poesie antiche e moderne e con aneddoti dell’età presente. Ma egli non sa tenersi alle vie battute, e se ne disvia di proposito deliberato, e conia parole e costrutti tutti suoi. Nè ciò perchè ignori le parole e i modi generalmente usati; al contrario, se ne diparte appunto, perché li sa adottati dall’universale. Eppure questi neologismi, che ti offenderebbero l’orecchio in altre scritture meno briose delle sue, in lui non istuonano, e ti piacciono; indizio sicuro che nel suo stile c’è qualcosa che si agita e vive, con troppo impeto forse, con troppo rigoglio, ma sempre con ammirabile spontaneità. […] Fin qui di Letteratura non si è discorso, perchè il tèma dei lavori menzionati non lo portava; e se ne abbiamo fatto cenno, è stato solo per mostrare la varietà della coltura dell’Imbriani, e l’abilità e la disinvoltura con cui maneggia le diverse specie di stile, l’epistolare, il dialogico ed il didascalico. L’Imbriani ha studiato molto nella nostra Letteratura popolare, e vi ha studiato non a caso, nè per vanità di mettersi ad impresa non tentata da molti, ma per trarne spiegazioni più razionali delle forme della Letteratura critica, come suolsi chiamare la scritta in contrapposto di quell’altra viva soltanto nelle tradizioni del popolo. Le forme letterarie, ha egli detto, non s’improvvisano senza fondamento; non nascono, perchè al tale scrittore è saltato il ticchio d’inventarle: al contrario, germogliano dall’attività plastica d’un popolo intero. Gli scrittori, quando sono eccellenti davvero, adunano nella propria conoscenza e specchiano nella propria fantasia il lavorio lento, inconscio, multiforme di parecchie generazioni. La psiche d’un popolo artefice, instancabile, getta abbozzi, e mal riusciti li rigetta, e li rifà da capo, finchè il genio d’un gran poeta di tanti abbozzi dimenticati rifonde in uno stampo immortale, e ne trae un capolavoro. A renderci dunque un conto esatto delle grandi creazioni della nostra Letteratura occorre risalire alle scaturigini occulte, e pressochè dimenticate. E con questa intenzione, precisamente formolata, l’Imbriani si è dato a raccogliere da ogni angolo d’Italia l’inesauribile tesoro della Letteratura spontanea di questo popolo eminentemente artista. […]”

Rimane quindi all’università di Napoli come libero docente di letteratura italiana e tedesca.

Nel 1878 si sposa con Gigia Rosnati, gentildonna milanese figlia di Eleonora Bertini con la quale Imbriani ebbe una lunga e intensa relazione, e si stabilisce a Pomigliano d’Arco. Da questa unione nacquero due figli che però morirono entrambi bambini.

Finalmente, nel 1884, vince la cattedra di estetica all’Università di Napoli, ma il suo stato di salute non gli consente d’iniziare le lezioni. Muore il 1° gennaio 1886 a Pomigliano d’Arco.

Vittorio Imbriani è stato, insieme con Niccolò Tommaseo, il più importante conoscitore, nel secolo scorso, della lingua italiana; ma mentre il Tommaseo tende costantemente alla norma da istituirsi su di un piano che si mantenga al di sopra del parlato, l’Imbriani tende all’infrazione, ma spesso per individuare un piano di parlato alternativo, caricato, ironico e buffonesco. La sua arditezza di sperimentazione non ha confronti nel periodo. Neppure nella scapigliatura lombarda – neppure in Dossi – si può trovare realmente chi gli contenda il primato. Gianfranco Contini lo vede esplicitamente come un precursore di Gadda; e infatti troviamo in Imbriani un’intuizione del mondo tragica e cinica, barocca e istrionesca. Un Gadda nato certamente con un anticipo enorme e quindi spesso del tutto incompreso (anche se resta ancora da sapere se il Gadda del XX secolo, al di là del suo successo critico, sia stato realmente compreso ed assimilato).

Si occuparono di Imbriani, contribuendo a diffondere e mantenere la conoscenza di questo autore, il Croce, Nunzio Coppola (che curò i carteggi “imbrianeschi”), Gino Doria e successivamente Alda e Elena Croce.

L’Imbriani finora più noto è quello di un romanzo, Dio ne scampi dagli Orsenigo, che ebbe una certa fortuna editoriale sulla base della seconda e definitiva edizione, quella del 1883 (la prima era del 1876). Si tratta di uno dei maggiori romanzi del secondo ottocento italiano, aspra satira della società aristocratica, polemica e ironia corrosiva sopratutto nei confronti dei personaggi femminili.

Ma altrettanto importante è l’altro romanzo, pubblicato postumo nel 1936, Sette milioni rubati, sorta di “giallo” e contemporaneamente pamphlet politico.

La bibliografia dell’Imbriani è tanto vasta quanto intricata. Basti pensare al fatto che pubblicò persino “per esercizio di prosodia”, come egli disse, dei libriccini di versi ad uso di pochi e fidati amici firmandosi con lo pseudonimo di Ugo di Napoli, e che sono oggi vere e proprie curiosità letterarie. Senza considerare la sua vasta attività giornalistica, dapprima con «Italia» di De Sanctis e poi con «La Patria» di Napoli (di cui nel 1866 assunse la direzione) nella quale pubblicò numerose “lettere di un americano” firmate W.H.Y. Sempre su «La patria» apparve a puntate Merope IV firmata da “quattr’asterischi”. Nel 1867 uscì da «La patria» essendosi trasferito a Firenze, ma da lì iniziò a collaborare a «La nuova Patria» di Raffaele De Cesare. Nel 1871 «La nuova patria» cessò le pubblicazioni e Imbriani collaborò con «Unità Nazionale», «Araldo», «Fanfulla». Nel 1872 fondò con Bertrando Spaventa e Francesco Fiorentino il «Giornale napoletano di filosofia e lettere».

Fonti:

  • F. Spera, Il principio dell’antiletteratura: Dossi, Faldella, Imbriani, Napoli 1976.
  • C. M. Tallarigo, Vittorio Imbriani, in Onoranze a Vittorio Imbriani, Napoli 1887.
  • A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879.
  • V. Della Sala, Ottocentisti meridionali, Napoli 1935.
  • L. Baldacci, Nota biobibliografica in Il Vivicomburio, Firenze, 1977.
  • G. F. Contini, Varianti e altra linguistica, Torino, 1970.

Nota biografica a cura di Paolo Alberti.

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autore:
Vittorio Imbriani
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Imbriani, Vittorio
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I