Augusto JandoloL’ampiezza di questa biografia è dovuta al fatto che Augusto Jandolo è stato una personalità assai rilevante nel periodo a cavallo tra XIX e XX secolo, che ha rivolto i suoi interessi verso molti ambiti culturali, coltivandoli sempre con passione e serietà, che ha cercato di perpetuare l’amore per gli aspetti più veri di una città, Roma, che traversava allora uno dei periodi più significativi della sua storia, la transizione da capitale dello Stato della Chiesa a capitale d’Italia. Ma di Jandolo, fuori dall’Urbe, non si sa molto. Abbiamo cercato di sanare questa lacuna, raccontando la sua storia e presentando alcune delle sue opere.

Augusto Jandolo nacque a Roma nel 1873, figlio di Antonio, stimato antiquario, e Ginevra Buzzi. Anche il nonno Salvatore era un competente antiquario: nel 1883 aveva il suo negozio sul Foro Romano al civico 69, alla svolta di Via della Consolazione, uno dei luoghi più belli di Roma. In famiglia erano dunque antiquari di padre in figlio, da generazioni. Il piccolo Augusto, che allora abitava a Trastevere, era un ragazzino sereno, socievole, allegro ed amante della natura; era affascinato dalle feste e dalle tradizioni romane e in particolare dallo spettacolo del Carnevale. Restò vivo in lui il ricordo di un intero pomeriggio di giovedì grasso trascorso a veder sfilare i carri da una finestra su Via del Corso. Il libro che portava nel cuore era Le avventure di Pinocchio di Collodi.

Padre e nonno curavano l’educazione del piccolo alla professione di antiquario. Egli si appassionò alla storia e divenne presto esperto di monete antiche e di oggetti di scavo. Sapeva riconoscere le fattezze degli imperatori romani nei bei busti di marmo. Allora il commercio antiquario era interessato soprattutto ai reperti archeologici, alle antichità romane, che, nonostante l’Editto del Cardinal Pacca, erano di assai facile reperibilità, commercio e scambio. Jandolo raccontò che da ragazzo si trovò ad aiutare il padre nell’apertura di un sarcofago etrusco. Venne rimossa, non senza sforzo, la pesante copertura, e comparvero i resti di un giovane guerriero completo di armatura. Augusto ebbe una visione che non avrebbe mai più dimenticato: non vide uno scheletro, ma il corpo senza vita del giovane come se fosse stato appena inumato:

«Fu la visione di un attimo. Tutto parve dissolversi al chiarore delle torce. L’elmo ruzzolò a destra, lo scudo circolare s’appiattì sul pettorale della corazza, i gambali presero posto uno a destra, l’altro a sinistra. A contatto dell’aria il corpo, intatto per secoli, si era polverizzato. C’era nell’aria, e intorno alle fiaccole sfavillanti, come un alone d’oro.» (Augusto Jandolo, Le memorie di un antiquario).

L’episodio fu riportato anche da C. W. Ceram (1915-1972), scrittore tedesco appassionato di archeologia, nel suo libro più famoso Civiltà sepolte.

Il giovane Jandolo fu indirizzato alle scuole tecniche, dove, scrisse, corse “il pericolo di diventar ragioniere”. Ma intanto il sacerdote amico di famiglia Don Ascenzo Dandini cercava di mediare per lui perché venisse avviato allo studio delle lettere. Cominciò a frequentare la Biblioteca Vittorio Emanuele II – oggi Biblioteca Nazionale Centrale di Roma – dove grazie ad un amico impiegato conobbe le opere ‘moderne’, di D’annunzio, di Carducci… trascurando il Monti, con preoccupazione del canonico. Leggeva anche Mommsen e Gregorovius; in pieno mood romantico, si dedicò a Foscolo, D’Azeglio, Guerrazzi… Studiava la vita dei grandi artisti come Raffaello, Michelangelo, Leonardo e contemporaneamente proseguiva l’apprendistato da antiquario. La famiglia abitava ora a Via Giulia, dove il padre aveva anche il suo negozio, che trasferì poi a Via del Babuino 92, in Palazzo Raffaelli. L’attività, già sotto il padre di Augusto, aveva forti relazioni con il mercato ed il collezionismo napoletano, relazioni che sono vivacemente narrate da Jandolo ne Le memorie di un antiquario.

La passione del teatro era sempre stata viva in lui. Con un improvviso colpo di testa, nel 1898 si iscrisse alla Regia scuola di recitazione della prestigiosa Accademia di Santa Cecilia, denominata poi Scuola di recitazione “Eleonora Duse” e dal 1955 Accademia Nazionale d’arte drammatica “Silvio D’Amico”. Dopo sei mesi, superò gli esami, risultando uno dei primi del corso, ed ebbe un provino per Eleonora Duse. La famosa attrice incaricò il conte Giuseppe Primoli, amico del padre di Jandolo, di comunicare al giovane che lo avrebbe voluto nella sua compagnia nel ruolo di amoroso. Lo stesso anno Augusto esordì al Teatro Niccolini di Firenze, in La signora delle camelie di A. Dumas figlio. Seguì per un anno la compagnia in una tournée in Europa ed Egitto. Ne Le memorie di un antiquario ricordò quel periodo e la straordinaria attrice. Il giovane era assai sensibile e la Duse gli impartì una lezione:

«Ricordate la sera che Matilde Serao a Cannes per avervi veduto fra le quinte con gli occhi pieni di pianto, vi definì «nu comico tenneriello». Mi piacque tanto e ve ne parlai il giorno dopo! Ma intendiamoci bene, non bisogna dare al pubblico troppo di noi! Fingere, bisogna; il pubblico non merita le lacrime vere! Il giorno dopo che avete offerto a lui lembi d’anima e tesori di tenerezza, si è già dimenticato di voi. Vi parlo così, perchè mi avvedo che mentre recitate vi lasciate prendere da commozione vera. A che scopo soffrire?…»

Jandolo era zio del noto attore Paolo Stoppa (1906-1988): memore del suo passato d’attore, egli convinse con successo il nipote, che per qualche tempo aiutò lo zio nel negozio di antiquariato durante il tempo lasciato libero dagli studi universitari di giurisprudenza e dalle lezioni di violoncello al Conservatorio di Roma, ad abbandonare l’università per diventare attore. Cosa che Stoppa fece, ottenendo numerosi riconoscimenti nella sua carriera.

Jandolo fu personalità estremamente versatile, riuscendo a conciliare nel modo migliore tutti i suoi interessi: oltre alla sua attività di antiquario, come figlio e nipote d’arte e che esercitò con onestà esemplare e profonda competenza generata dagli studi e dalla esperienza, fu poeta e scrittore in lingua e in dialetto, si occupò di teatro e di cinema, fu vivacissimo animatore culturale, collaborò con riviste e quotidiani come “Nuova Antologia”, “La Lettura”, “Il Messaggero”.

Nel periodo del cinema muto, Jandolo coadiuvò alla regia l’amico Romolo Bacchini (1872-1938) in tre film che ebbero un discreto successo: Brescia leonessa d’Italia (1915) di genere storico, con Gioacchino Grassi e Elisa Nicoli; Altri tempi altri eroi (1916) e Susanna e i vecchioni (1916).

Dal 1895 scriveva per la rivista “Rugantino” e, ‘ammalatosi di poesia’, nel 1907 pubblicò Li busti ar Pincio, la sua prima raccolta di 50 sonetti romaneschi, che però non soddisfece né lui né il pubblico. La sua vena poetica, intima e originale, doveva ancora svilupparsi.

Terminata l’esperienza giovanile di attore, le scene però erano rimaste una delle sue passioni: partecipò nel 1906 ad un concorso per il teatro dialettale promosso da Giggi Zanazzo, grande figura di promotore del teatro romanesco ed egli stesso commediografo. La diversa realtà sociale, oltreché urbanistica, che investiva Roma, divenuta capitale dello stato unitario, segnava il declino di un teatro dialettale, molto vicino alla commedia dell’arte e molto seguito dal popolo. Le improvvisazioni, a volte la trivialità, non erano adatte al nuovo ceto borghese e lo stesso Zanazzo cercò un aggiornamento del repertorio con testi più vicini al vaudeville, ad un teatro leggero e brillante ma più raffinato.

Jandolo, in sintonia con l’idea di Zanazzo, compose una decina di commedie quasi tutte di successo, a partire da Il pievano (1903), tra le quali Ghetanaccio (1923), che venne, dal 1931 in poi, rappresentata ogni anno da Ettore Petrolini. Ghetanaccio era una nota maschera popolare. Altre maschere entrarono nel teatro di Jandolo come Rugantino (La commedia de Rugantino, 1918, da cui fu tratto un film nel 1961 con la regia di Guglielmo Morandi e nel cast Paolo Ferrari, Alida Chelli, Francesco Mulè) e Meo Patacca (commedia omonima, in versi, 1921). Altre commedie si basarono su temi storici – come in Roma se sveja (1915) sui moti del 1948 – e letterari, ma sempre in esse è presente la vita pulsante dell’Urbe, come in Goethe a Roma (1913) e Michelangelo (1921).

Jandolo riprese a scrivere poesie, che egli amava recitare agli amici e delle quali era un dicitore molto apprezzato, e nella sua produzione seppe liberarsi da moduli di maniera della poesia dialettale. La critica ora gli fu decisamente favorevole. Pasolini, nei suoi studi sulla poesia dialettale, attribuì a lui e a Trilussa la nascita a Roma di una variante romana del crepuscolarismo – corrente letteraria nata in Italia all’inizio del XX secolo grazie alle opere di alcuni poeti tra i quali Guido Gozzano, Sergio Corazzini e Antonia Pozzi, di stile e di ambito decisamente postdannunziano –. Essi superarono il dialetto più istintivo e brutale del Belli, per giungere, in particolare Jandolo ad un dialetto moderno, a liriche di gusto più bonario, intimistico e rassicurante. Particolari sono le 38 poesie della raccolta Le torri del Lazio (1941), nelle quali il poeta cantò, con toni epici, i racconti e le leggende delle torri medievali della Campagna romana, mostrando anche la sua erudizione. La prima edizione era arricchita da illustrazioni di Giacomo Balla, Onorato Carlandi ed altri.

Occorre fare una nota sulla veste grafica molto curata delle opere dell’antiquario scrittore: in genere i suoi libri sono accompagnati da interessanti fotografie, da schizzi e disegni inediti dell’autore o di artisti notevoli, come Duilio Cambellotti (1876-1960), al quale si devono le illustrazioni che ornano la raccolta Nojantri (1945).

Intorno al 1895, Jandolo aveva aperto il suo negozio-studio di antiquario prima al civico 51a poi al 53 di Via Margutta, una delle più affascinanti e romantiche vie di Roma, nel Palazzetto Patrizi. Lo studio era curioso e misterioso, un poco dannunziano, colmo di antichità e di cose belle e rare, una vera wunderkammer. Frequentavano lo studio i tantissimi amici, collezionisti, mediatori, gente dell’aristocrazia e del bel mondo, stranieri, artisti (Vincenzo Gemito, Onorato Carlandi, Pio Joris, Mariano Fortuny, Antonio Mancini, Alfred Strohl, Enrico Coleman,…), diplomatici, cardinali ed alti prelati. Conobbe tra gli altri Anatole France, che lo chiamava suo confrère, avendo saputo che anche Jandolo aveva scritto ‘qualcosa’; Émile Zola, di cui era grande ammiratore, che egli definì non molto competente ma dotato di gusto; Theodor Mommsen, che secondo Jandolo era brutto e anche un po’ maleducato; Ludwig Pollak, straordinaria figura di archeologo e mercante, con il quale fin dal primo incontro nel 1893 nacque una profonda amicizia; John Pierpont Morgan, che era un suo fedele cliente, conosciuto nel 1883 all’asta dei beni del famoso collezionista e orafo Alessandro Castellani.

Roma era allora la Roma degli artisti, piena di fascino, delle chiacchiere e degli incontri di intellettuali al Caffè Greco, in quel triangolo – il ‘Tridente’ – tra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo, Via del Babuino e Via di Ripetta, quell’area del centro storico che, nel periodo di maggior fulgore del gran tour tra ‘700 ed ‘800, era chiamata il “ghetto” inglese per i tantissimi anglosassoni che trascorrevano, anno dopo anno, l’intera stagione invernale al riparo del clima mite dell’Urbe. Qui, nel 1871, era attivo il Circolo artistico (evoluzione dell’Associazione Artistica Internazionale nata nel 1860), che riuniva i più noti artisti di allora, molti dei quali allievi della così detta Accademia di Gigi o meglio Accademia Libera del Nudo, fondata da Luigi Talarici, ex prestante modello nato ad Anticoli Corrado. Questo paese in provincia di Roma era noto per la bellezza delle e dei giovani che spesso venivano chiamati a far da modelli. La prima sede del Circolo artistico era stata presso il Teatro delle Dame o Teatro Alibert, d’angolo fra via Margutta e Via d’Alibert, oggi funzionale centro congressi. Jandolo ne rievocò le vicende nel suo Via Margutta (1940), vero inno ad una delle vie più amate dai romani e fatte conoscere in tutto il mondo dal film Vacanze romane (Roman Holiday, 1953) diretto da William Wyler, con Audrey Hepburn e Gregory Peck. Via Margutta era considerata il luogo della bohème romana; ancora oggi è un imperdibile poetica meta di passeggiate, dove, come si può immaginare, le valutazioni immobiliari sono altissime. Il fascino di quello spicchio di Tridente ha superato i confini cronologici del XIX secolo. Romani e turisti ne fanno luogo di culto, ammirando la sontuosa scalinata di Piazza di Spagna, visitando la Keats-Shelley Memorial House, sorseggiando un tè nella famosa Babingtons Tea Room, fondata nel 1893, che offre tutt’ora le sue sale e i suoi tè negli stessi arredi e con lo stesso impeccabile aplomb.

Nel 1929 insieme con Giuseppe Ceccarelli (Ceccarius), Carlo Alberto Salustri (Trilussa), Ettore Petrolini ed altri appassionati della tutela e della valorizzazione dello spirito e del patrimonio culturale e ambientale di Roma, Jandolo, grande affabulatore, sensibile erudito, profondo cultore della tradizione romana, al Ristorante La Cisterna di Trastevere, dopo un ‘bel pranzetto’, fondò i “Romani della Cisterna”, che poi prese il nome di Gruppo dei Romanisti.

Dal 1933 l’antiquario poeta ospitò le riunioni del Gruppo dei Romanisti nel suo studio e divenne fin dall’inizio, nel 1940, redattore della “Strenna dei Romanisti”, la pubblicazione annuale del Gruppo, nella quale comparvero anche suoi vari scritti. La “Strenna”, ideata già dal 1939 e ancora attiva, sarebbe uscita il 21 aprile di ogni anno, in occasione della ricorrenza del Natale di Roma. Neanche la guerra riuscì a farne interrompere la pubblicazione. Jandolo promosse anche l’associazione Pro teatro di Roma per valorizzare il teatro romanesco.

Nel 1935 uscì una prima edizione delle sue gradevolissime memorie, Le memorie di un antiquario, arricchite da nuove narrazioni in una seconda edizione del 1938.

Nel 1949 Jandolo fu costretto a cessare l’attività commerciale, a causa delle sue condizioni di salute e della pressione di chi voleva acquisire i locali. Molti dei suoi tesori vennero messi all’asta. Nel 1951, desideroso ancora di far vivere il gruppo di amici riuscì a trovare sempre in Via Margutta, al civico 51, una nuova sede, un piccolo spazio che battezzò “Antro dei Romanisti”.

Jandolo, anima della città, morì nel gennaio 1952 a Roma, nella sua casa a Via del Corso 4. Una grave caduta per le scale, poco prima del Natale 1951, lo aveva costretto a letto per diversi giorni. Quando spirò, vicino a lui era la seconda moglie, Silvana Dandini (1921-2005), sposata nel 1944. Molti anni prima, nel 1902, Jandolo aveva sposato Ida de Antonio ma era rimasto vedovo e senza figli. La vedova Dandini destinò al Museo di Roma, con lascito testamentario, un busto in bronzo (1912) di Luigi Bistolfi e un dipinto ad olio (1933) di Romualdo Locatelli, che ritraevano il marito. Negli anni anche il Comune di Roma era stato cliente di Jandolo, da cui aveva acquistato tre opere tra le quali il bellissimo dipinto di G. A. Sartorio Le Vergini savie e le Vergini stolte.

Le notizie sulla vita privata di Jandolo sono assai scarse e ringrazio Susanna Misiano, del Museo di Roma, che ci ha fornito il suo articolo relativo al lascito testamentario della vedova del poeta antiquario, articolo nel quale l’autrice ha inserito notizie frutto dei suoi contatti diretti con i parenti.

Una via è intitolata a lui, nel rione Trastevere, nei pressi del ristorante La Cisterna dove dal 1929 al 1933 si svolsero le riunioni del gruppo degli Amici della Cisterna poi divenuto Gruppo dei Romanisti.

Silvio D’Amico, nel necrologio sul quotidiano romano “Il Tempo”, lo definì un romano de Roma, gentiluomo romano, ricco di “charme”

«esponente di una saggezza bonaria, d’un onesto epicureismo, d’un pacato amore alla contemplazione, di quella [razza] che taluno una volta definì “la sensualità dell’intelletto”.

Segnalo volentieri come molte delle fonti citate, soprattutto gli articoli di riviste storiche, sia possibile reperirle nel web grazie al meritevole lavoro di digitalizzazione compiuto da enti e persone.

Fonti:

Note biografiche a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Le memorie di un antiquario
    L’indubbio intento di Jandolo con queste sue memorie era quello di far conoscere e di perpetuare la memoria di tutto ciò che negli anni tra ‘800 e ‘900 rendeva la sua città, Roma, uno stupendo scenario per le attività culturali e per la vita degli artisti e dei nomi del gran mondo che la frequentavano.
  • Misticanza
    Raccolta di versi dell’antiquario scrittore romano, che, come ogni buona ‘misticanza’ contiene liriche delicate e nostalgiche, un po’ di amaro, riflessi della natura e della vita di ogni giorno.
  • Nojantri
    Questa raccolta di versi in romanesco segue vari filoni sparsi: il carattere romano per eccellenza; i piaceri della quiete, della semplice vita familiare e della cucina; lo ‘sfottò’ nei confronti di coloro che non sono ‘noiantri’.
  • Il pievano
    Bozzetto drammatico in un atto
    Il breve testo teatrale svolge i temi del pentimento, dell’infrangersi delle illusioni, delle relazioni tra padri e figli, della compassione e della conciliazione, senza indulgere ad alcun sentimentalismo.
 
autore:
Augusto Jandolo
ordinamento:
Jandolo, Augusto
elenco:
J