Anna KuliscioffAnna Kuliscioff nacque, secondo le fonti più attendibili, il 9 gennaio 1855 a Simferopoli, in Crimea, da una famiglia borghese. (Secondo altre fonti la data di nascita si colloca nel 1854; altri dicono, ma sembra decisamente improbabile, nel 1857). Il padre, Moisej, era un ebreo convertito all’ortodossia. Il vero cognome della famiglia è Rozenštejn, a cui poi Anna sostituì successivamente quello di Kuliscioff nel periodo degli studi all’estero.

Nel 1871 Anna andò a Zurigo, per iscriversi all’Università, nella facoltà di scienze tecniche, probabilmente la prima donna a esservi accettata. La città era in quel periodo una colonia di studenti stranieri, soprattutto russi. Le ragazze erano numerose, dal momento che in patria lo zar non concedeva alle donne il permesso di iscriversi all’università. Si formarono dei gruppi di sole donne che si riunivano per studiare il socialismo. Animate si svilupparono le discussioni sui problemi della società russa legati alle questioni più urgenti e attuali. Ne conseguivano grandi contrasti ideologici: Bakunin era ancora in quella fase storica il capo carismatico e il punto di riferimento degli anarchici, anche se altre teorie, legate al marxismo, emergevano ormai con forza.

Nel 1873 Anna, che in Russia aveva sposato un nobile originario di Odessa, Pétr Markelovič

Makarevič, ritornò in patria con lui, poco tempo prima che lo zar disperdesse la colonia russa a Zurigo con la proibizione alle donne di frequentare l’università – la scusa è che col pretesto degli studi conducevano vita troppo libera – proseguendo così in Russia il suo lavoro politico, organizzando riunioni in casa sua, a Odessa. Si trasferì l’anno successivo a Kiev, dove riuscì a sfuggire alla polizia, che la ricercava in seguito a un presunto complotto politico ai danni dello stato. La repressione stroncò «l’andata nel popolo», uno dei temi dominanti del gruppo rivoluzionario.

Il biennio successivo fu costretta a vivere praticamente nella clandestinità, braccata dalla polizia per aver fatto propaganda fra gli operai. Entrò nel movimento dei cosiddetti «rivoltosi del sud», che tentarono di provocare rivolte contadine locali. Ritornò tuttavia per breve tempo in Svizzera, allo scopo di acquistare la macchina utensile con cui stampare il falso «manifesto dello zar», per mezzo del quale convincere i contadini a impadronirsi delle terre contro i nobili. Bakunin era contrario allo stratagemma che Anna a nome del gruppo era andata a prospettargli. La sollevazione fallì infatti per mancanza di un effettivo convincimento della base. Anna, che nella rivolta si era impegnata a fondo, cominciò a riflettere sui metodi utili all’effettiva realizzazione della causa rivoluzionaria. Trasferitasi in varie città per sfuggire alla polizia, Anna ricorse a vari espedienti per procurarsi da vivere: a Charcov cantò in pubblico, in coppia con un’amica.

Nel 1877 si trovò coinvolta nel cosiddetto «delitto al vetriolo», contro un certo Gorinovič sospettato di aver denunciato dei compagni. Anche se Anna non aveva probabilmente preso parte al fatto in maniera diretta, comunque apparteneva al gruppo, sostenitore di mezzi violenti. Ospite nei mesi precedenti, a Kiev, dell’amica Elena Kosac, vi aprì un asilo per bambini di lavoratori. Poi fuggì in Svizzera con un passaporto falso, evitando l’arresto: da allora non fece mai più ritorno in Russia. Conobbe Andrea Costa, probabilmente a Lugano, nella casa di Francesco e Gigia Pezzi, o forse a Saint Ilier, dove Costa, insieme ad altri compagni anarchici, aveva fatto votare una risoluzione di aperta rottura con tutte le organizzazioni di ispirazione socialdemocratica. Nel dicembre raggiunse Costa a Parigi, che vi soggiornava dal settembre, per stabilire contatti organizzativi e elaborare attività di propaganda.

Durante la celebrazione della Comune di Parigi, il 18 marzo 1878, Anna e Andrea Costa vennero arrestati nel corso della pacifica cerimonia. Costa fu incarcerato alla «Santé» dove gli venne inflitta una «pena esemplare», rimanendovi, senza aver compiuto alcun crimine, fino al giugno 1879. Anna venne invece rilasciata; si recò prima a Ginevra, poi a Lugano, ospite di Maria Focaccia (detta Marietta) e Filippo Boschiero. In agosto compì un primo viaggio in Italia con Marietta. Ai primi di ottobre venne arrestata a Firenze, dove si trovava, durante una riunione dell’Internazionale; venne incarcerata a Santa Verdiana fino al processo, che l’avrebbe mandata assolta con tuttavia un decreto di espulsione, il 5 gennaio 1880. La sua salute rimase seriamente compromessa dalle pessime condizioni della detenzione.

Nel 1879 Costa aveva riveduto i metodi anarchici secondo un’ottica più moderata, e aveva scritto Lettera agli amici di Romagna: questa svolta gli tolse la possibilità di agire liberamente in Italia, dove tuttavia si recò per assistere al processo contro Anna a Firenze. Dopo qualche mese di vita in comune in Italia, dove rimasero clandestinamente, i due dovettero di nuovo dividersi. Più volte processato e incarcerato, Costa passò da un carcere all’altro. Anna ne soffriva molto la lontananza. A Lugano incontrò Cafiero, e subì il fascino delle sue idee, proprio nel momento in cui Costa si stava allontanando dall’antico amico e compagno di lotte, elaborando una concezione politica che gli sembrava più aderente alle esigenze dei tempi, riguardo soprattutto alle necessità del parlamentarismo, linea che sarà poi anche quella di Anna.

Anna raggiunse Costa a Imola, sua città natale, nella primavera del 1881. La sua presenza in Italia era clandestina, poiché su di lei pendeva un decreto di espulsione. Costa iniziò la pubblicazione dell’«Avanti», anticipatore di quello che sarà poi il giornale ufficiale del partito socialista dopo la sua fondazione, e costituì il Partito Rivoluzionario di Romagna. Anna collaborò al giornale con le sue «corrispondenze dalla Russia». Nel dicembre del 1881 nacque la loro figliola Andreina. Nel gennaio del 1892 Anna riprese la strada della Svizzera, poiché le era ormai impossibile continuare a restare nascosta a Imola; inoltre era ormai sfumata la speranza di poter stabilmente vivere accanto a Costa collaborando con lui: la sua nuova condizione di madre la definiva agli occhi di lui in una dimensione familiare tradizionale, non più come una compagna di lotta.

Anna riallacciò i contatti con i vecchi compagni di idee. L’antico gruppo dei «rivoltosi del sud» era ancora riunito a Ginevra intorno a Plechacov; prendendo l’avvio dall’ideologia marxista si stavano gettando le basi della socialdemocrazia russa. Anna ricominciò a frequentare l’università alla facoltà di medicina, sempre più convinta di aiutare la gente attraverso una partecipazione diretta; in particolare si specializzò nella cura delle malattie che colpiscono le donne. Indebolita dalla tisi, fu costretta a tornare in Italia, e scelse Napoli per via del clima; vi giunse nel 1884, e vi continuò gli studi di medicina, che avrebbe applicato subito alle donne dei bassi e alla gente più povera e trascurata. Nel 1885 Andrea Costa, che ogni tanto era stato a trovare Anna e la bambina, sempre più preso dagli impegni politici – era nel frattempo diventato deputato – si fermò a Napoli per un periodo più lungo: vi si era recato con un gruppo di coraggiosi per soccorrere i colpiti dal colera. La rinnovata intimità tra Anna e Costa mise in luce inequivocabilmente l’incomprensione ormai esistente tra i due ponendo fine alla relazione; rimarrà tuttavia nel tempo una sincera amicizia. Anna soprattutto rimarrà legata a Costa da affetto e stima e sarà la più sollecita a mantenere un rapporto affettuoso con Costa, per riguardo della loro figlia Andreina. A Napoli Anna conobbe Filippo Turati, amico di Costa, ammiratore del più anziano compagno di idee, ancora fuori dalla politica attiva, poeta, scrittore, avvocato.

Nel 1886 Anna si trasferì a Milano dove terminò gli studi di medicina e cominciò a prendere parte alle grandi discussioni politiche, ormai pienamente convinta della necessità di accettare la visione parlamentare, e un’impostazione dialettica nei confronti delle altre forze politiche democratiche. Iniziò a convivere con Turati, pur mantenendosi indipendente come donna: non si sposò considerando il matrimonio come un’istituzione destinata a scomparire in una società veramente socialista, dove uomini e donne siano considerati uguali, utile ancora nel suo tempo soltanto per una tutela alle donne e ai fanciulli che rischierebbero di venire abbandonati senza aiuti.

Riusciva a conciliare il suo impegno sociale – che la fa presto diventare per tutti «la dottora dei poveri» – con la necessità di tenere contatti politici con personalità legate anche al mondo borghese e aristocratico, oltre che con il gruppo dei politici, giornalisti e scrittori socialisti milanesi; il contatto diretto con le donne lavoratrici è continuo e non mediato, comizi e incontri con mondine, operaie, contadine, facevano parte della sua vita quotidiana. Il «salotto» dell’appartamento sotto i portici della Galleria Vittorio Emanuele divenne il centro della vita intellettuale e politica milanese. Anna e Turati vi conducevano insieme un lavoro di armonica collaborazione. L’urgenza di dibattere temi e problemi del momento favorì la nascita di «Critica sociale», la rivista quindicinale fondata da Turati, alla quale Anna portava la sua collaborazione continua, spesso ignorata ufficialmente. Era raro che Anna firmasse gli articoli, il più delle volte si limitava a segnare «Noi», o «K-T» (Kuliscioff-Turati) quando l’argomento veniva trattato da entrambi. Gli unici articoli che firmava per esteso erano quelli che riguardavano più da vicino i diritti delle donne, la lotta per l’uguaglianza, per il salario, per il voto.

A Genova nell’agosto del 1892 venne fondato il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Ruolo determinante vi ebbe Turati, con l’azione della «Lega socialista milanese» e con «Critica sociale». Anna svolse una parte di primo piano; fu tra coloro che più decisamente respingevano le tendenze considerate ormai superate degli anarchici e, pur dolorosamente, risolse di staccarsi da essi. I problemi del primo assetto del Partito, il suo marxismo contrastato, i suoi rapporti con le altre forze politiche, procedevano tra contrasti talora rilevanti. Il 9 gennaio del 1894 Anna scrisse una lettera a Engels, che dopo la morte di Marx era la guida riconosciuta del socialismo nel mondo, e gli chiese di dare il suo parere circa l’azione che deve svolgere il partito socialista nella politica italiana. Turati, in un biglietto aggiunto alla lettera di Anna, pregò Engels di rispondere a lui, inviando a un amico la risposta, per evitare di veder censurata la lettera inviandola ad Anna, ancora sottoposta al trattamento degli stranieri, «già espulsa dall’Italia e adesso tollerata». Engels rispose consigliando di allearsi temporaneamente con le forze borghesi e democratiche, per avanzare di qualche gradino nella direzione della propria meta, che è la conquista del potere politico da parte del proletariato, senza scambiare questa meta intermedia con il fine ultimo.

Fin dall’autunno precedente la crisi economica già manifestatasi nell’autunno del 1897 si era aggravata nel corso dell’anno successivo. Scoppiarono moti insurrezionali in tutta Italia, nel sud come reazione all’insostenibile situazione di fame, nel nord con una più avanzata visione politica del problema di fondo. Il prezzo del pane salì in maniera inadeguata alla possibilità dei lavoratori. È questo elemento la scintilla che scatenò le rivolte. Il governo proclamò lo stato d’assedio in quattro province e chiamò alle armi quarantamila uomini. Il 7 maggio a Milano agenti di polizia provocarono un gruppo di operai che stavano leggendo un volantino e li rinchiusero in prigione. Un corteo, in gran parte di donne che protestavano e volevano che gli operai fossero rilasciati, venne caricato dalla polizia che sparò. Il generale Bava Beccaris era il comandante della sanguinosa repressione. In piazza del Duomo spararono i cannoni, la cavalleria invase ogni strada. A episodio concluso Umberto I conferirà la croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia al generale Bava Beccaris, inviandogli anche una lettera personale con cui motivava la decorazione per «il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Anna venne arrestata e incarcerata insieme a giornalisti e uomini politici, sia milanesi che accorsi da fuori a rendersi conto della situazione. Sono processati con lei i socialisti Turati, Costa, Bissolati, Lazzari, Morgari, il repubblicano Romussi, il radicale De Andreis, il cattolico don Albertario. Il Tribunale Militare comminò secoli di galera e domicilio coatto. Anna fu scarcerata otto mesi dopo, Turati scontò tredici mesi nel carcere di Pallanza. Tra i due si instaurò con serrata frequenza quel carteggio che diventò fino alla morte di lei abitudine di vita, riflessivo scambio di pensieri, riconferma di affetto, meditazione sulla situazione politica e confronto di posizioni. Le condizioni del paese erano assai critiche, il partito socialista era stato sciolto, la Camera del Lavoro, le Società Operaie, la Società Umanitaria soppresse.

I socialisti non tardarono però a riprendere vita e attività. Dapprima tornarono a riunirsi clandestinamente, poi nuovamente in forma ufficiale. Si instaurarono rapporti tra il riformismo socialista e il liberalismo giolittiano, ma l’incontro delle posizioni tra Turati e Giolitti, a livello governativo, non avvenne. Proprio nelle lettere del carteggio con Turati, Anna a tratti incoraggiava, oppure sconsigliava il connubio. Giolitti riscuoteva tuttavia la sua approvazione per la personalità e il valore politico. Seguendo l’ipotesi di un socialismo riformatore, Turati più di Anna intravvide in Giolitti e nella rosa di uomini a lui legati la possibilità di cogliere occasioni politicamente favorevoli. Il prestigio di Turati non era però senza contrasti nel partito già diviso in correnti.

Per Anna lo scopo più impegnativo di questi anni fu la battaglia per riuscire a ottenere il voto anche per le donne. Su questo punto si batté anche in contrasto, talvolta, con gli stessi compagni di partito, e con Turati stesso; presero le mosse da qui i famosi articoli che costituiranno poi la «polemica in famiglia» di Anna su «Critica sociale» e di Turati sull’«Avanti!». Il 19 gennaio del 1910 morì Andrea Costa.

La guerra di Libia, nel 1911, fu l’elemento di forte scontro nel paese. Molti compagni socialisti erano incerti sull’atteggiamento da prendere nei confronti dell’impresa, ma Anna espresse un giudizio decisamente negativo e sostenne che il partito socialista doveva schierarsi all’opposizione.

Mussolini emerse trionfatore dal congresso di Reggio Emilia, del luglio 1912, già dilaniato dai contrasti e dalle scissioni. Anna ne diede un giudizio politico in una lettera a Turati.

Fondò il giornale quindicinale «La difesa delle lavoratrici», a cui pensava da anni. Sono con lei, Linda Malnati, Margherita Sarfatti, Carlotta Clerici, Giselda Brebbia, intellettuali milanesi, Argentina Altobelli, dirigente della Federterra, e moltissime compagne che militavano nel partito nelle città e nelle campagne. Il giornale promosse la creazione della Unione Nazionale delle Donne Socialiste, costituita dopo il congresso di Reggio Emilia. Il 7 maggio del 1912, Mirabelli, Treves, Sonnino e Turati presentarono un emendamento al progetto di legge del governo per la riforma elettorale, nel quale chiedevano il voto anche per le donne. Ma su 263 voti, l’emendamento ne ottenne solo 48.

All’avvicinarsi della guerra Anna fu dapprima contraria, poi ritenne che l’intervento dell’Italia fosse inevitabile. Le ragioni del suo pensiero dipendono dal timore che il trionfo degli imperi centrali potesse stabilire un rafforzamento delle forze conservatrici e militariste. L’avvento della rivoluzione russa, nel 1917, trovò Anna contraria. Se in un primo tempo aveva auspicato la rivoluzione nella sua patria, seguendone i preparativi in lunghi documentati articoli, diventò poi diffidente verso i bolscevichi, che apertamente contrastò con una propaganda contraria nell’imminenza del congresso di Livorno, nel 1921.

L’anno dopo il fascismo è al potere. Per Anna era ormai impossibile incidere sulla situazione. Tuttavia, pur impedita dall’ambiente ostile, malata e sofferente, non desistette dall’appellarsi ai principi di libertà, di giustizia e di democrazia. Per l’uccisione di Matteotti, nel 1924, in una lettera a Turati riesce a esprimere con chiarezza e fermezza questi principi, nonostante l’incombere della violenza del regime.

Morì a Milano, il 29 dicembre del 1925. I suoi funerali, contrastati dai fascisti e sorvegliati da uno spiegamento incredibile di polizia, vennero seguiti da tutti i socialisti e i democratici della città, e da moltissima gente anche venuta da lontano. Fu l’ultimo atto di omaggio alla democrazia che il fascismo riuscirà poi a soffocare per decenni.

Fonti:

  • P. Albonetti (a cura di), Anna Kuliscioff, Lettere d’amore ad Andrea Costa, Milano, 1976.
  • G. Arfé, Storia del socialismo italiano, Torino, 1963.
  • A. Bebel, La donna e il socialismo, Roma, 1971.
  • L. Capezzuoli e G. Cappabianca, Storia dell’emancipazione femminile, Roma, 1964.
  • P. C. Masini, Biografie di sovversivi compilate dai prefetti del Regno, in “Rivista storica del socialismo”, 1962.
  • P. C. Masini, Cafiero, Milano, 1974.
  • P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Milano, 1969.
  • A. Pala, Anna Kuliscioff, Milano, 1973.
  • F. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia (1848-1892), Torino, 1963.
  • F. Pieroni Bortolotti, Socialismo e questione femminile in Italia (1892-1922), Milano, 1974.
  • A. Schiavi, Anna Kuliscioff, Roma, 1955.
  • F. Turati (a cura di), Anna Kuliscioff, in memoria, Milano, 1926.
  • N. Valeri, Turati e la Kuliscioff, Firenze, 1974.
  • B. Vigezzi, Giolitti e Turati, un incontro mancato, Milano-Napoli, 1956.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • In difesa dei diritti delle donne
    Gli scritti qui raccolti, già pubblicati in varie riviste, coprono un periodo dal 1890 al 1913. Anna Kuliscioff ha saputo coniugare bene la concretezza per il presente – posizioni conservatrici anche all’interno del proprio partito socialista – con la tensione ideale per un futuro non facilmente raggiungibile ma nel quale poter sperare e per il quale vale la pena di combattere.
  • La tragedia di Giacomo Matteotti
    Nelle lettere scambiatesi fra l’11 e il 27 giugno 1924
    Questo breve volume (1945) raccoglie la corrispondenza scambiata fra l’11 e il 27 giugno 1924 tra Filippo Turati, all’epoca parlamentare a Roma, e la sua compagna di vita e di lotte Anna Kuliscioff. L’epistolario è incentrato sulla scomparsa e l’omicidio di Matteotti, sulle reazioni private e quelle pubbliche, sulle posizioni delle Opposizioni e della maggioranza.
 
autore:
Anna Kuliscioff
ordinamento:
Kuliscioff, Anna
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