Giovanni Paolo Lomazzo (talvolta anche Gian o Giovan Paolo; Milano, 26 aprile 1538 – Milano, 27 gennaio 1592) è stato un pittore e trattatista italiano dell’età del Manierismo.
Allievo, a suo dire, di Giovan Battista della Cerva (che aveva ereditato la bottega di Gaudenzio Ferrari), Lomazzo esordì con un ciclo di affreschi ancora memori dell’arte di Bernardino Luini nella chiesa di S. Maria Nuova a Caronno Pertusella (Varese) al fianco di Bernardino Campi, che aveva eseguito la pala dell’altare maggiore (metà del sesto decennio del XVI secolo). Successivamente affrescò il refettorio di S. Maria della Pace a Milano con una copia dell’Ultima Cena di Leonardo (datata 1560; distrutta nel II Conflitto Mondiale) e quello degli Agostiniani di Piacenza, con la curiosa iconografia della Cena Quadragesimale (1567; anch’essa distrutta nel corso dell’ultima guerra). Nulla resta della sua attività di ritrattista, che dovette portargli un certo successo: furono effigiati da lui personaggi di spicco come i cardinali Giovanni Gerolamo Morone e Alessandro Crivelli, il marchese di Pescara Francesco d’Avalos, due sorelle di Carlo Borromeo e diversi principi tedeschi al seguito dell’arciduca Rodolfo d’Asburgo (il futuro Rodolfo II).
Verso la fine degli anni ’60 e i primi ’70 Lomazzo dipinse una serie di pale d’altare per chiese milanesi, quasi sempre su tavola, caratterizzate da uno stile monumentale e severo: due Crocifissioni per S. Giovanni in Conca (Milano, Pinacoteca di Brera e Valmadrera, parrocchiale), il Noli me tangere per S. Maria della Pace (oggi a Vicenza), una Pietà per i cappuccini di S. Vittore all’Olmo e le Stigmate di S. Francesco per S. Barnaba, tuttora in loco. L’iconografia della sua Madonna delle Vittorie, dipinta per S. Romano a Lodi (conosciuta da una copia oggi a S. Maria di Piazza Busto Arsizio) può avere influenzato la Madonna dei Pellegrini di Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Il suo ciclo pittorico più importante è però quello della cappella Foppa nella chiesa di San Marco a Milano (1573), dove affrescò due Storie dei SS. Pietro e Paolo, una singolarissima Gloria d’angeli e una pala d’altare con Madonna e Santi. Poco dopo la conclusione di quest’impresa, una malattia agli occhi (che gli era stata diagnosticata, come lui stesso afferma, da Girolamo Cardano) lo rese cieco ancora in giovane età.
Nelle poche opere pervenuteci, Lomazzo mostra una versione del Manierismo assai originale, in cui la tormentata monumentalità di Michelangelo si lega con un forte retaggio di Leonardo (visibile nell’uso sistematico dello sfumato e nella continua ricerca di applicare la teoria dei moti dell’animo), oltre che con uno spasmodico studio degli scorci e della prospettiva (derivatogli da Bramantino e Zenale) e con molti aspetti dell’arte di Gaudenzio Ferrari. Non mancano nella sua arte influssi di Dürer e di molta pittura tedesca e fiamminga.
Giovan Paolo Lomazzo morì “di malatia longa” nove anni dopo, nella sua casa di Porta Ticinese il 27 gennaio 1592 (Sacchi-Giuliani in Rabisch, 1998, p. 335) e non il 13 febbraio 1600, come talvolta riportato in bibliografia (si trattava in realtà di un omonimo). Suo unico allievo di un certo rilievo fu Ambrogio Figino.
Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Paolo_Lomazzo