Dall’incipit del libro:
Dunque tu dici ch’io sono un Prometeo? Se intendi, o caro, che son di creta anche le opere mie, tengo per buono il paragone, e dico: sì sono, nè rifiuto il nome di pentolaio, benchè la mia creta sia molto vile, come quella che è raccolta in su le vie e poco meno che fango. Ma se per lodarmi di gran finezza d’arte tu mi appicchi il nome di quel sapientissimo de’ Titani, bada che alcuno non dica che sotto la lode sta l’ironia e un frizzo attico. Oh che finezza d’arte è la mia? che gran sapere e gran vedere è negli scritti miei? È assai per me che non ti paiono di loto, e proprio degni del Caucaso. Eppure quanto più giustamente potreste essere paragonati a Prometeo voi altri grandi avvocati che splendete nelle battaglie dei giudizi. Quelle opere vostre sono veramente vive, ed animate, e calde di fuoco ardente: lì c’è del Prometeo; se non che non le fate di creta voi, ma parecchi di voi le fate d’oro. Noi altri che recitiamo queste dicerie al pubblico, noi formiamo certe povere figure; e l’arte nostra, come dicevo testè, non maneggia che la creta, come i bambolai: non v’è quel movimento, quell’espressione d’anima; non v’è altro che un po’ di diletto, e scherzi.


