Dall’incipit del libro:
Menippo. Dunque eran tremila stadii dalla terra sino alla luna, dove ho fatta la prima posata: di là fino al sole un cinquecento parasanghe;1 e dal sole per salir sino al cielo ed alla rocca di Giove ci può essere una buona giornata di aquila. Amico. Deh, che vai strolagando fra te, o Menippo, e misurando gli astri? Da un pezzo ti seguo, e t’odo borbottare di sole e di luna, e con certe parolacce forestiere di posate e di parasanghe. Menippo. Non ti maravigliare, o amico, se io parlo di cose celesti ed aeree: facevo tra me il conto d’un fresco viaggio. Amico. E, come i Fenicii, tu dal corso degli astri misuravi il cammino? Menippo. No, per Giove: io ho fatto un viaggio proprio negli astri.
Amico. Per Ercole, hai fatto un sogno ben lungo, se hai dormito per tante parasanghe senza avvedertene. Menippo. Credi ch’io ti conti un sogno, se io torno or ora da Giove? Amico. Come dici? Menippo ci viene da Giove, c’è piovuto dal cielo? Menippo. Io sì, vengo da Giove appunto adesso, ed ho udite e vedute cose inestimabili. Se nol credi, ci ho più gusto: così ho avuta una incredibile ventura. Amico. E come, o divino e celeste Menippo, io mortale e terrestre potrei non credere ad un uomo che ha passato i nuvoli ed è, per dirla con Omero, uno degli abitatori del cielo? Ma dimmi come se’ montato lassù, e dove hai trovata una scala così lunga? Tu non mi hai il visino di quel bel frigio, sì che io possa credere che anche tu se’ stato rapito dall’aquila e fatto coppiere.


