Dall’incipit del libro:
Forse fra meno di un secolo bisognerà andare a cercare i resti della vecchia Turchia in fondo alle più lontane province dell’Asia Minore, come si va a cercare quelli della vecchia Spagna nei villaggi più remoti dell’Andalusia. Così dice Edmondo De Amicis, e dice che allora a Costantinopoli non vi saranno più i cani, che oggi ne costituiscono una seconda popolazione.
Io consiglio il mio lettore ad aprire subito il primo volume su Costantinopoli del De Amicis, a pagina 153, e rileggere il capitolo sui cani. Non c’è esagerazione. Lo Hackländer, che non è poeta, prima di parlare dei cani di Costantinopoli avverte che l’uomo, leggendo la descrizione di una data contrada e di questa o di quella particolarità di essa, paesaggio, architettura, costumi o altro, se ne fa una idea magnifica, e che poi, se gli avviene di viaggiare in quella stessa contrada e vedere personalmente ciò che prima aveva letto, prova una grande delusione. Ma egli subito dopo di aver detto ciò afferma che pei cani di Costantinopoli la cosa va altrimenti, e che, per quanto fosse grande l’aspettazione, la realtà la supera di gran lunga. I cani dell’Egitto, della Persia, e anche di alcune parti della Tartaria si trovano, meno l’onore di essere stati descritti da Edmondo De Amicis, a un dipresso nelle medesime condizioni dei cani di Costantinopoli.


