Questa commedia fu rappresentata la prima volta il 2 maggio 1922 al teatro Argentina di Roma dalla compagnia Niccodemi. Le cronache del tempo riportano che al termine del primo atto vi furono applausi convinti ma la reazione del pubblico mutò in freddezza alla fine del secondo atto e in aperto dissenso al termine della commedia. Infatti è nel terzo ed ultimo atto che emerge “la distanza”. Distanza fra le classi, distanza che impedisce al modesto professore di ginnasio Marino Serralunga, figlio di un bidello, di avvicinarsi sentimentalmente alla marchesa Dianora, figlia di un principe. Intelligenza e cultura, che hanno affascinato la bella Dianora, non possono colmare questa distanza.
Questa la tesi dell’autore, che però mi pare la dia un po’ troppo per scontata, e che espone senza tentare alcun tipo di dimostrazione. Può essere che tra due persone educate in ambienti troppo diversi, nonostante la passione, sorga nel tempo l’incomprensione, che quest’ultima generi urto, malessere, disagio. Non vi sarà probabilmente fusione perfetta senza esserci comunanza di idee, di abitudini di vita, convergenza di punti di vista. Diadora è pronta a lasciare il marito per Marino, il quale le ha rivelato – in maniera un poco da cafone invero – la tresca del marito con una domestica. Diadora, che ha sopportato le numerose avventure precedenti del marito, questa non la sopporta e mette alla porta la ragazza. E qui già appare “la distanza”: finché l’adulterio veniva consumato con delle “pari grado” poteva essere accettabile, con una serva assolutamente no.
La tesi di Lopez non appare convincente: l’autore rinuncia del tutto a entrare nel merito dei possibili dissensi, che sono solo immaginati e previsti da Marino, dopo aver assistito al colloquio tra il padre di Diadora e il proprio padre, l’umile bidello che già conosceva il principe per aver prestato servizio nella scuola dove il principe stesso compì i suoi studi. A questo punto tutte le idee di Marino, che aveva espresso con grande entusiasmo e foga in una scena precedente – forse la più bella della commedia – si sgretolano in un attimo: il professore vede conversare il principe e l’ex bidello e gli piomba nella testa l’ossessione della “distanza”. A me colpisce di più l’inconsistenza della passione e dell’amore: se Diadora avesse realmente amato il professor Marino non si sarebbe lasciata congedare, sia pure con tre solenni baci, e Marino stesso avrebbe certamente trovato in se stesso le risorse per superare la fissazione della “distanza”. La sequenza vede invece al primo atto Marino comportarsi in maniera piuttosto villana con Diadora che ha voluto conoscerlo attratta dalla fama di brillante ingegno che nel paesino di provincia il professore si era fatto.
Nel secondo atto “l’orso” appare invece già un orsacchiotto ammaestrato e scodinzolante alla corte della nobildonna. Nel terzo viene infine folgorato dalla “distanza”. Tutta questa debolezza di trama non intacca per nulla l’abilità tecnica del Lopez, la bellezza di alcune scene, la genuinità di alcuni personaggi secondari tratteggiati e delineati con grande maestria. Per cui, anche se la tesi che propone il Lopez può convincere poco, non si può non ammirare la bravura con la quale riesce a farla accettare al pubblico. Marino, che fino al secondo atto è orgoglioso, sicuro di sé e conscio del proprio valore, apre improvvisamente gli occhi vedendo l’atteggiamento troppo umile del padre verso il principe. Non si tratta di un fatto nuovo; Marino era ben consapevole di essere figlio di un bidello. E in questo sta la debolezza della tesi proposta dall’autore. E attraverso questa tesi, ci vuol fare intendere che la “democrazia” è poco più che una doverosa ipocrisia e che la distanza tra le classi non si può colmare né con l’ingegno né con l’amore.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit dellla commedia:
ATTO PRIMO
Ottobre. – La modesta sala dei Professori del Ginnasio di Salduggio. Alla parete di fondo il ritratto giovanile in litografia di Vittorio Emanuele III. A quella di destra una scansia a vetri che contiene i pochi libri della povera biblioteca del Ginnasio.
A quella di sinistra, in quadro, il calendario scolastico approvato dal Provveditore agli studi della Provincia di Novara.
Nel centro della sala un tavolone coi cassetti chiusi – intorno alla tavola sette, otto sedie di legno ricurvo, una più alta, di poco diversa, per il Direttore.
A un capo della tavola, quando comincia l’azione, sta il professor Del Basso, miope, barbuto, zazzeruto, pepe e sale nei capelli e nell’abito, con tutt’un’aria di polvere addosso dalla testa alle scarpe; a metà della tavola la Giliardi, bruna, ventottenne, accurata nell’abito semplice e unito di colore; all’altro capo Cappelli, lindo, elegante, ben pettinato, ben rasato. Del Basso si muove sempre, grida sempre, agita sempre le mani e le gambe.

