Sinclair LewisHarry Sinclair Lewis nacque il 7 febbraio 1885 nel villaggio di Sauk Centre, un piccolo paese del Minnesota. Era l’ultimo dei tre figli di Edwin J. Lewis, medico di campagna e di Emma Kermott. La madre non godeva di buona salute e trascorreva molto tempo lontano da casa nel sud e morì quando Harry aveva solo cinque anni. Il nome Sinclair fu assegnato al piccolo Harry perchè era il cognome di un dentista del Wisconsin del quale il padre era ottimo amico.

Il dottor Edwin rimase vedovo per solo un anno; la seconda moglie era particolarmente in linea con il temperamento inflessibile e frugale del dottor Edwin; in conseguenza di questa situazione l’infanzia di Harry fu piuttosto carente di affetto e con parecchie difficoltà di socializzazione. Era impacciato, con problemi alla vista, inetto nello sport, per cui veniva evitato dai coetanei e spesso deriso. Si dedicava quindi a vagabondaggi solitari e a una frenetica ed ampia lettura, indiscriminata e confusionaria.

Insofferente alla vita del piccolo centro natale, convinse il padre a iscriverlo a Yale, per la qual cosa dovette sostenere un semestre di preparazione all’Oberlin Academy. Ma questa esperienza universitaria non favorì la sua capacità di socializzazione. Ciò non ostante la sua vivace intelligenza non passò inosservata agli insegnanti. Già in anni precedenti aveva scritto occasionalmente dei versi; nel 1904 fu l’unica matricola di Yale a vedere pubblicato un proprio lavoro – la poesia Lancilot – nella «Yale Literary Magazine». Versi che hanno un certo fascino e sono in ogni caso la più alta realizzazione poetica di Sinclair Lewis, che successivamente non ebbe più occasione di cimentarsi con la poesia. Il giovane Sinclair comprese così che la scrittura poteva essere lo strumento per ottenere il rispetto e il riconoscimento che invece stentava a scaturire da altri aspetti della vita sociale.

Dopo la pubblicazione di questa prima poesia divenne collaboratore fisso della «Yale Literary Magazine» («Lit», che, detto per inciso, è la più antica rivista letteraria degli Stati Uniti) oltre che di altri periodici universitari; al terzo anno di frequenza a Yale entrò nella redazione della «Lit». Durante due estati viaggiò in Inghilterra e lavorò molto su sue idee narrative: rientrato a Sauk Center ideò il romanzo The Village Virus (che sarebbe diventato in seguito Main Street).

Ma all’inizio dell’ultimo anno a Yale abbandonò improvvisamente New Haven per aderire al progetto di Upton Sinclair, Helicon Hall, che era stato avviato a Englewood nel New Jersey sulle Palisades. Ma questa sua iniziativa durò solo un mese. Avendogli il padre sospeso l’invio di mezzi finanziari, decise di andare a New York pensando di poter vivere vendendo i suoi scritti, ma anche questo fu un insuccesso. Si recò quindi a Panama sperando di trovare lavoro per la costruzione del canale. Fallito anche questo tentativo tornò a New Haven, fu riammesso a Yale e terminò i suoi studi laureandosi nel 1908.

Gli anni successivi furono caratterizzati da frequenti cambiamenti di residenza tra New York, San Francisco e Washington. Per un breve periodo visse in una colonia bohémien a Carmel in California dovè trovò anche scrittori come Jack London e George Sterling. Jack London descrisse la vita degli artisti di questa colonia nella novella The Valley of the Moon. Non riuscendo a vendere i propri scritti, fu London a comprare da lui parecchie “trame” a dieci o quindici dollari l’una.

Dalla fine del 1910 fino al 1915 lavorò presso case editrici e alcuni periodici a New York. In questo periodo scrisse un libro per ragazzi, Hike and the Aeroplane, e lo pubblicò con lo pseudonimo di Tom Graham. Ma soprattutto si dedicò in quegli anni a quello che sarebbe stato il suo primo romanzo. Dopo aver avuto diversi rifiuti da alcuni editori Our Mr. Wrenn : The Romantic Adventures of a Gentle Man fu pubblicato da Harpers nel febbraio del 1914. Due mesi dopo, il 15 aprile, Lewis si sposò con Grace Livingstone Hegger che lasciò il suo impiego presso «Vogue» per trasferirsi assieme al marito a Port Washington nel Long Island. Poiché Lewis lavorava ancora a Manhattan ma continuava a perseguire il suo obiettivo di poter vivere traendo sostentamento solo dalla propria attività di scrittore, scriveva sempre a casa prima e dopo il lavoro e sul treno dei pendolari.

Ma dopo il primo romanzo, anche il secondo The Trail of the Hawk, pubblicato nel 1915, ebbe discreta critica ma vendite decisamente scarse. La situazione cambiò quando il «Saturday Evening Post» accettò la sua novella intitolata Nature Inc. Fu la prima di numerose altre e la retribuzione di mille dollari per racconto consentì a Lewis di dare le dimissioni dalla casa editrice Doran presso la quale lavorava e iniziare dal dicembre del 1915 a viaggiare con la moglie attraverso gli Stati Uniti, cambiando frequentemente residenza, sempre continuando a scrivere novelle per diversi periodici e lavorando per nuovi romanzi. The Innocents : a story for lovers fu infatti concepito per apparire a puntate su una rivista ed è una delle cose più modeste che abbia scritto. Ma contemporaneamente – furono pubblicati in volume entrambi nel 1917 – ultimò The Job : an american Novel che è invece il migliore dei suoi primi romanzi.

Nel 1919 fu stampato Free Air, che è il resoconto dei suoi viaggi per gli States in compagnia della moglie su una Ford. Ma già stava lavorando a Main Street : the Story of Carol Kennicott che ultimò a Washington all’inizio dell’estate 1920 e fu pubblicato nello stesso anno in autunno. Riconoscimenti e notorietà arrivarono in abbondanza. Il rovesciamento dell’immaginario abituale della classe media abitante nella provincia, vista come virtuosa in contrasto con la crudeltà e violenza delle metropoli era avvenuto: Main Street è un’accusa netta e precisa contro la vita di provincia e la classe media. Anche se sembra una frattura con il suo lavoro letterario precedente è forse più corretto vederlo invece come una naturale evoluzione.

Lo schema che è sotteso a tutti e cinque questi suoi primi romanzi è in realtà simile: il dibattersi per sfuggire a ipocrisia e convenzioni di classe di un ambiente ottuso, un parziale successo con fuga da questo e infine il ritorno con l’inevitabile e realistico compromesso. Certamente l’aspetto satirico che dapprima appariva bonario diventa invece spietato in Main Street. Ma anche i personaggi che Main Street avrebbe reso famosi – l’ipocrita bigotto, l’ateo del villaggio, l’aspirante idealista – erano già presenti nei lavori precedenti. Alla fine è la borghesia che trionfa, con i suoi valori di onestà, laboriosità, parsimonia, sul desiderio di vita libera che anima la protagonista. Abbiamo quindi in Main Street il canovaccio che sarà presente anche nei lavori successivi: il trionfo dei valori della borghesia del Middle West che sono poi i valori verso i quali si indirizzano gli strali della satira di Lewis: compiacimento, ipocrisia, un materialismo grossolano, sopraffazione morale.

Dopo Main Street quindi Lewis tenderà ad ambientare i suoi romanzi in quella zona della vita americana dove le qualità che vuole mettere in ridicolo siano più evidenti: l’universo commerciale dell’uomo d’affari della classe media in una città di media grandezza. E questo lavoro diventa una vera e propria “ricerca” sociologica. E questa ricerca conobbe il suo apice con Babbitt. Lewis sempre armato di penna e taccuino si univa ai gruppi di persone all’interno dei quali poteva studiare comportamenti, gergo, espressioni che gli potessero fornire la conoscenza accurata di un’area sociale. Arrivava a notare planimetrie di appartamenti, la collocazione dei mobili, il colore dei cani che venivano portati a passeggio. Ogni scena veniva ad essere lunga quasi quanto l’intero libro di cui alla fine andrebbe a far parte. Da queste scene scaturiva una prima bozza che doveva poi venire sottoposta ad un accurato processo di revisione e taglio per giungere alla versione pubblicabile.

Dopo aver viaggiato per tutti gli Stati Uniti il teatro di Babbitt è Cincinnati, Ohio. E il personaggio dà corpo al “Boobus Americanus” di H.L. Mencken: è un americano che dice finalmente la verità sulla “spaventosa cultura di quel deplorevole paese”. Nonostante negli Stati Uniti il dibattito su questa fatica letteraria di Lewis si facesse aspro, le copie vendute furono davvero tantissime. L’idea strutturale di Babbitt era quella di raccontare una giornata completa di ventiquattr’ore “da sveglia a sveglia” del protagonista. Questa idea permane nei primi sette capitoli, mentre i successivi ventisette, che appaiono a prima vista assemblati senza un piano narrativo, forniscono al lettore il quadro sociologico della vita della classe media americana.

I temi quindi spaziano dalla politica al tempo libero, la vita di un club e le liturgie delle associazioni di categoria, la religione convenzionale, il matrimonio e la famiglia. Tutti interessi che George Babbitt attraversa con il crescere del suo malcontento, della sua ribellione, e infine nella ritirata e successiva rassegnazione. L’ottimismo dell’individuo, intrappolato in un ambiente, derivato dall’intravvedere barlumi di qualcosa di più desiderabile fuori di esso, la lotta per dare concretezza a questi barlumi e il successivo fallimento: sono queste le fasi attraverso le quali prende corpo la trama del romanzo. In Babbitt l’elemento comico-satirico si accentua e si amplia rispetto ai romanzi precedenti.

Romanzieri come James, Howells, London, Phillips, Herrick, Sinclair, Wharton, Dreiser, Poole, Tarkington avevano già messo al centro delle loro narrazioni l’uomo d’affari spesso costruendo denunce solenni e talvolta melodrammatiche di figure mostruose interpreti di un male aggressivo. Babbitt appare invece come rappresentante di una folla di imbecilli e buffoni, certamente anche meschini e maligni, ma soprattutto ridicoli. In questo sta l’azione di novità e rottura operata da Lewis rispetto alle tematiche precedenti.

Con questo libro Sinclair Lewis assunse la posizione agli occhi del pubblico del più importante romanziere americano. Rebecca West scrisse: “Ha quel qualcosa in più che fa l’opera d’arte, ed è firmato in ogni riga con la personalità unica dello scrittore. È un Walt Whitman testardo che parla: [si riferisce a uno dei discorsi pubblici di Babbitt] imbottito come un’oca di natale con film stupidi, giornali stupidi, discorsi stupidi, oratoria stupida, è tuttavia colpito dalla maestosa creatività del suo stesso paese, il suo potere miracoloso di riuscire a nutrire senza interruzione innumerevoli moltitudini di uomini e donne… Ma la vitalità di queste persone è così intensa che alla fine dovrà schiantarsi con loro e farli cadere, volenti o nolenti, nella sfera dell’intelligenza; e questa immensa macchina commerciale diventerà lo strumento della loro aspirazione”.

Nel romanzo successivo, Arrowsmith del 1925, l’idealismo, che è comunque presente anche nei libri precedenti, prende il sopravvento. L’idealista non è più una figura solitaria, ma un cercatore di verità, uno scienziato puro che non cede a compromessi con esigenze commerciali e con le pressioni istituzionali. Anche ritirandosi completamente dalle istituzioni, questi idealisti riusciranno a tenere alte le proprie idee e appaiono uscire vittoriosi dal confronto. Questo romanzo trae origine dall’incontro di Lewis a Chicago con Paul de Kruif, giovane ricercatore medico associato al Rockefeller Institute di New York. Dalle loro discussioni prende l’avvio l’idea di un romanzo sulla corruzione della professione e della ricerca medica. Naturale che l’idea appassioni Lewis: il padre era un medico e così un fratello e due suoi zii. Aveva già affrontato la figura del medico di provincia ma ancora non si era occupato della professione e attività medica nei suoi aspetti più generali. Con De Kruif si recò ai Caraibi, che sarebbe stato teatro di gran parte dell’azione di Arrowsmith, e poi in Inghilterra dove iniziò a scrivere il romanzo, sempre affiancato da De Kruif.

Quindi accanto al consueto sarcasmo nei riguardi della grettezza del provincialismo troviamo solido l’idealismo che certamente era molto forte nel carattere dello scrittore. Il fatto narrativo diventa più coinvolgente e l’eroina, Leora, è un personaggio con il quale tutti possono simpatizzare. E il consenso questa volta fu davvero unanime, fatta forse eccezione per l’indignazione di qualche medico. “È il romanzo più americano della nostra epoca; e se non è il migliore, certamente non potrà essere dimenticato in futuro tra i pochi che potranno competere per un tale titolo; va alle radici dei nostri giorni… e questo metterà Arrowsmith in condizione di resistere oltre la sua generazione tra i pochi altri grandi romanzi d’America”. Così si esprime nella sua recensione Bernard De Voto. Per questo romanzo ricevette il premio Pulitzer che Lewis rifiutò perché era un genere di premio che voleva “legiferare sul gusto”. Certamente anche questo gesto contribuì ad accrescere la sua popolarità.

Tra i suoi due romanzi successivi, il resoconto di avventure nel nord-ovest del Canada intitolato Mantrap (del 1926) fu un buon successo nonostante avesse in tono minore le caratteristiche che avevano ormai reso celebre l’autore. Elmer Gantrye del 1927 fu invece il più controverso di tutti i suoi romanzi e probabilmente l’attacco più serrato e feroce verso gli “standard” americani. Il teatro della sua ricerca questa volta è Kansas City e gli aspetti più squallidi delle confessioni e fedi religiose di area evangelica. La satira questa volta è a tutto campo e tagliente quant’altro mai e lascia completamente da parte ogni speranza di valori positivi. Ognuna delle tre parti di cui si compone il romanzo vede una fase dell’evoluzione religiosa di Elmer Gantry e contemporaneamente il suo rapporto con una donna.

Nella prima parte assistiamo alla sua educazione battista, la sua ordinazione, le prime prediche e la sua fuga da Lulu, figlia del diacono Bains con la quale aveva intessuto una relazione; nella seconda parte diventa evangelista e la sua donna è la fantastica predicatrice Sharon; nella terza approda al metodismo, si sposa con Cleo Benham, ma il matrimonio va presto in crisi, e la nuova relazione con Hettie Dowler appare presto altrettanto rovinosa. “Faremo ancora di questi Stati Uniti una nazione morale!” è la sentenza finale di Elmer. Le pulsioni sessuali – generalmente molto rare nei romanzi di Lewis – sembrano questa volta essere preminenti. Ma non bastano a immettere un elemento di tenerezza e di sentimento nella brutalità di Emmer, anzi diventano parte integrante della sua disumanità, che è quella che permea tutto l’ambiente religioso all’interno del quale si muove. Le figure di ecclesiastici onesti e sinceramente convinti delle opinioni religiose che professano sono presenti nella narrazione, ma sempre sovrastati dalla propria impotenza ad opporsi ai personaggi principali, Elmer in particolare, e al decadimento religioso nella vita americana, al mondo di mostri sociali al quale hanno dato vita e per il quale non si vede via d’uscita.

Tra le grandi opere di Lewis Elmer Gantry è forse la più trascurata e osteggiata. In italiano è stato tradotto (magistralmente da Beata della Frattina) nel 1961 solo dopo il grande successo del film – titolato Il figlio di Giuda nella versione nostrana – , premiato con più premi oscar tra i quali quello a Burt Lancaster come attore protagonista. La stravaganza di certe descrizioni (per esempio la capitolazione di Sharon alle pretese di Elmer davanti a un altare con relativa invocazione a tutte le dee della fertilità) danno la misura di come Lewis sia stato capace di coniugare una fervida fantasia al senso devastante di quegli aspetti miserabili dell’esperienza umana. Sia l’esperienza sessuale che quella religiosa sono trattate in maniera parodistica. I divieti e le censure si rivelarono poi la forma di pubblicità più a buon mercato che l’editore potesse immaginare. Da ogni pulpito ecclesiale il titolo del romanzo veniva menzionato come opera velenosa, sporca sordida e vigliacca. Lewis fu definito da un noto evangelista “coorte di Satana”. H.L. Mencken considerava il romanzo invece come una delle più notevoli satire di ogni tempo e paragonava Lewis a Voltaire.

Nel frattempo il matrimonio di Lewis stava esaurendosi rovinosamente e lui viaggiava in Europa, solitario, quasi alla ricerca di nuovi argomenti. E questi nuovi argomenti trovarono espressione nel nuovo romanzo Dodsworth. Proprio come capitato a Dodsworth che finisce per trovare in Europa una donna a lui congeniale, Lewis si imbatte a Berlino in Dorothy Thompson, una delle più note giornaliste d’Europa; Dorothy divenne di lì a poco la sua seconda moglie, il 14 maggio 1928 a Londra. Dopo il matrimonio tornò con la moglie negli Stati Uniti e lì portò a termine Dodsworth. Poco prima aveva pubblicato sull’«American Mercury» il racconto-monologo The Man Who Knew Coolidge che aggiunge però molto poco al suo discorso satirico sulla classe media americana. Dal punto di vista temporale Dodsworth segna l’apice della carriera letteraria di Lewis, tramite l’assegnazione, alla fine del 1930, del premio Nobel per la letteratura. Poco prima era nato il suo secondo figlio, Michael, dalla sua seconda moglie.

In Europa l’attenzione per gli scrittori americani (London, Upton Sinclair, Edith Warthon, Theodore Dreiser, Sherwood Anderson) visti come critici sociali del materialismo e compiacimento sciovinista, era sempre molto alta. Per questo a convincere l’Accademia svedese a concedere il premio a Lewis fu certamente più Babbitt che non Dodsworth. E certamente Lewis era il più convincente tra coloro che scrivevano con acuta e dettagliata critica senza tuttavia nascondere l’amore per il proprio paese. La maturità della letteratura americana trovava quindi la propria espressione più compiuta nella critica alla cultura stessa dalla quale veniva espressa. Sono questi i concetti espressi nel discorso che Lewis tenne a Stoccolma il 12 dicembre 1930 ancora oggi conosciuto con il titolo The American Fear of Literature. “Ai nostri professori americani piace la letteratura fredda e pura ma completamente morta”.

Nel discorso la responsabilità di questo viene attribuita ai custodi “ufficiali” della cultura letteraria americana identificati principalmente nella American Academy of Arts and Letters e nella persona e nel perdurante prestigio di letterati come William Dean Howells (che tuttavia nel loro unico incontro, nel 1916, fu prodigo di incoraggiamenti e consigli al giovane e allora sconosciuto Lewis). Nel discorso vengono invece elogiati romanzieri “dissidenti” come Theodore Dreiser e Sherwood Anderson e altri giovani scrittori americani allora quasi sconosciuti all’estero. L’assegnazione del Nobel per la letteratura a Lewis aveva certamente anche un valore sia “storico” – la letteratura americana viene posta alla pari con qualsiasi altra letteratura al mondo – che “politico” – l’ammissione da parte di una riluttante Europa che l’America era ormai una potenza che non era e che non poteva essere riconosciuta vent’anni prima –.

Da Berlino, nel 1931 interruppe il proprio legame con il suo storico editore, Alfred Harcourt, al quale imputò di non essere stato all’altezza del premio Nobel ricevuto qualche mese prima. “Se non hai usato questa opportunità per spingere energicamente i miei libri e per sostenere il mio prestigio in modo intelligente, non lo farai mai, perché non potrò mai più regalarti un momento simile.” Certamente Harcourt non aveva fatto nulla per contrastare i commenti denigratori nei confronti di Lewis da parte di una porzione egemone della stampa americana. Per farlo avrebbe avuto a disposizione comunque l’intera stampa europea. Harcourt, che liberò Lewis dai suoi obblighi contrattuali senza fare alcuna resistenza, evidentemente percepiva che la separazione era arrivata nel suo momento più logico. Il culmine della loro sinergia era giunto al termine di quel decennio durante il quale Harcourt era diventata un’azienda importante soprattutto grazie a Lewis e lo stesso Lewis aveva potuto costruire una reputazione mondiale grazie a Harcourt.

Lewis cominciava a non essere più “centrale” e l’evoluzione del suo tempo lo avrebbe lasciato indietro e a disagio. Lewis non avrebbe più affrontato la storia attuale con la stessa efficacia e sicurezza che aveva avuto fino a quel momento. Avrebbe continuato a scrivere e guadagnare molto con i suoi numerosi romanzi ma la sequenza di quei cinque titoli eccellenti che lo avevano condotto al Nobel non avrebbe avuto più seguito. Altri vent’anni e altri dieci romanzi sarebbero stati affiancati dal decadimento del suo secondo matrimonio e dai sempre più pesanti problemi di dipendenza dall’alcol. Il suo primo figlio avrebbe trovato la morte nel secondo conflitto mondiale, il secondo sarebbe diventato attore di un certo successo. Lui, come tanti suoi personaggi, avrebbe speso la propria vita sempre alla ricerca di un vago e indefinito barlume di felicità, in luoghi diversi, rincorrendo una vita più ricca. Questo lo condusse a continui spostamenti da una città all’altra, acquistando case lussuose e abbandonandole poco dopo, spesso con grave perdita economica. Cercò di accompagnarsi a donne molto più giovani di lui e, negli anni quaranta, incontrò una giovane attrice disposta a cercare di dargli conforto. Si era entusiasmato per la scrittura teatrale e cercò lui stesso la strada della recitazione.

In questi anni di inesorabile declino personale e letterario continuò in ogni caso a produrre romanzi con regolarità. Ann Wickers, nel 1933, è la storia di una donna in carriera americana. L’ispirazione evidente proviene dalla sua seconda moglie ma non solo. Nel romanzo si trova un intero periodo della storia americana da prima della guerra mondiale alla grande depressione e rispecchia quindi anche le esperienze sue in quegli anni: socialismo cristiano prebellico, femminismo e lavoro domestico, organizzazioni di beneficenza, pensiero liberale e radicale, riforma carceraria, emancipazione sessuale, la crisi della depressione, le carriere per le donne, la parità di diritti, sono tutti temi che fanno da sfondo alla vicenda di una donna che cerca di ritrovare se stessa non solo attraverso la propria carriera.

Del 1934 è Work of Art, fondato sulla contrapposizione tra due fratelli, il primo dei quali tendente a far carriera nell’industria alberghiera e il secondo in quella letteraria. L’obbiettivo di Lewis appare quello di far sembrare l’albergatore il vero artista, ma nonostante un certo sapiente destreggiarsi tra le ambiguità della narrazione, alla fine il romanzo appare poco più di un manuale del perfetto albergatore.

Nel 1935 diede alle stampe It can’t happen here. In quegli anni proliferavano negli Stati Uniti improbabili demagoghi sulla spinta prodotta dal momentaneo successo di Huey Long e le brutture del fascismo europeo produssero qualche imitazione locale. Questo sembrò bastare a un certo pubblico per elevare Sinclair Lewis allo status di “antifascista”. Ma l’eccitazione poté durare poco: con The Prodigal Parents – romanzo davvero mediocre – assistiamo invece alla difesa degli atteggiamenti più ottusi della classe media contrapposti alle “sciocche opinioni proletarie”. Lewis che era stato certamente un socialista e poi un liberale negli anni della gioventù e della maturità – ma mai un radicale – si appiattisce adesso sui peggiori stereotipi del “buon americano”. Alla vigilia di una nuova guerra mondiale (e in una situazione ben diversa dal precedente conflitto) Lewis appare soprattutto un uomo confuso. Scrive commedie senza alcun successo e il nuovo romanzo nel 1940 Bethel Merriday ha come protagonista una giovane attrice, quasi a rispecchiare la sua recente esperienza di vita. Ma la frivolezza del contenuto rispecchia invece completamente la scarsa vena dell’autore.

Con Gideon Planish sembra poter ritornare alla vecchia vena ispiratrice: l’attacco sarcastico alla filantropia organizzata e alle attività dei “benefattori” liberali è però ben lontano dall’impatto che poté produrre Elmer Gantry e si ferma ad aspetti parodistici rimanendo informe nella sua struttura e svilendo la satira in farsa.

Nel 1945 scrive un banale romanzo sul matrimonio americano, Cass Timberlane. Sembra che il problema di Cass nel suo rapporto con la giovane Jinny (che ha oltre diciotto anni di meno) sia appunto la differenza d’età. Ma non è così: la storia adulterina di Jenny con un coetaneo e amico di Cass svela che non era quello il problema.

Nel 1947 con Kingsblood Royal Lewis compie l’ultimo tentativo di riappropriarsi letterariamente della realtà americana affrontando il tema della minoranza nera. Il libro suscitò un qualche entusiasmo come documento sociale, ma la sua qualità letteraria è davvero men che modesta. E, possiamo aggiungere, anche come documento sociale è poca cosa: la semplificazione meccanica che fornisce Lewis di uno dei problemi che si presentavano come tra i più gravi e urgenti nella vita degli Stati Uniti è strumento del tutto inadeguato per comprendere le dinamiche della questione degli afro-americani.

Abbiamo quindi The God-Seeker che avrebbe dovuto essere il primo passo di una trilogia sul “lavoro” negli Stati Uniti. Ma appare del tutto artefatto e finto. World So Wide è invece un goffo tentativo di scrivere un secondo Dodsworth; fu pubblicato postumo nel 1951 – infatti Lewis morì il 10 gennaio di quell’anno – e si configura come un’autoparodia finale. I suoi personaggi ora appaiono come dei sopravvissuti di un mondo che non esiste più.

L’ironia della sorte letteraria di Sinclair Lewis si riassume nel fatto che poneva ai vertici dell’attività letteraria degli Stati Uniti proprio gli scrittori, Sherwood Anderson e Theodor Dreiser, che lo disprezzavano maggiormente. Il primo parlava contro di lui per motivi artistici, il secondo lo considerava politicamente un analfabeta. L’assegnazione del premio Nobel aveva causato un’alzata di scudi in patria e quasi nessuno dei critici nascondeva il proprio disappunto. Il giovane Hemingway, scrivendo a un amico definì l’assegnazione del premio a Lewis “uno sporco affare il cui unico merito era di aver eliminato la minaccia Dreiser”. Di contro fu proprio Lewis a riconoscere tra i primi le doti di un esordiente Hemingway e ad adoperarsi perché fosse premiato in concorsi letterari, e ugualmente fu determinante per l’assegnazione di un premio in denaro per Dreiser. Si può dire che in pratica abbia scoperto Thomas Wolfe parlandone in una conferenza e anche nel discorso pronunciato al ricevimento del premio Nobel.

Non è per caso che il periodo della maggior vena di Lewis sia stato il decennio ’20-’30 dello scorso secolo, periodo nel quale la fiducia nella promessa democratica della vita americana pareva ancora avere un senso perché esisteva ancora la possibilità di idealizzazione di un’America più antica dalla potenzialità ed espressione costante di una libertà ampia. Era l’America ideale di Thoreau, di Whitman, Twain. E Lewis era capace di apprezzare il limite tra l’idealizzazione e la realtà. Sembra quasi che nello scrivere i suoi migliori romanzi avesse sempre presente le frasi di Thoreau, le cui opere aveva sempre con sé, quando dice:

«Rispetto alla vera cultura, siamo essenzialmente ancora provinciali, non metropolitani. Siamo provinciali, perché non troviamo a casa i nostri standard; perché siamo deformati e ristretti da una devozione esclusiva al commercio e all’industria manifatturiera e all’agricoltura e simili, che sono solo i mezzi e non i fini».

Spesso rivendicò le idee di Thoreau come quelle che maggiormente avevano avuto influenza sul proprio lavoro di scrittore, idee sulla libertà individuale e sulla integrità. Scrisse a proposito di Thoreau in The American Adam:

«Probabilmente nessuno della sua generazione aveva un senso più ricco della potenzialità di un’esistenza fresca, libera e ordinata; certamente nessuno ha previsto la necessità di una distruzione rituale del passato attraverso metafore varie e accattivanti. Questo è ciò di cui parla Walden; è il più ricercato resoconto contemporaneo del desiderio di un nuovo tipo di vita…la rinuncia totale ai percorsi tradizionali, convenzionali, socialmente accettabili, logori di condotta, e l’immersione totale nella natura.»

Elementi simili troviamo nell’altra figura letteraria che certamente influenzò profondamente Lewis, H.G. Wells, elementi che possiamo riassumere nella felice convinzione che l’ometto, l’uomo oscuro, il borghese ottuso, il giovane insignificante era lui stesso e poteva irrompere in quella libertà come l’aveva immaginata Thoreau.

Fonti:

  • M. Shorer; Sinclair Lewis: an American Life. Minneapolis, 1971.
  • S.N. Grebstein; Sinclair Lewis. New York 1962.
  • D.J. Dodley; The art of Sinclair Lewis. Lincoln, Neb. 1967.
  • J. Lundqvist; Sinclair Lewis, New York 1973.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Dodsworth
    Il romanzo di un americano in Europa
    La satira, spesso presente nelle opere di Lewis, è diretta in questo lavoro soprattutto alla frenetica pretenziosità e all’insopportabile snobismo della moglie di Dodsworth, che trascina il marito – industriale dell’automobile – in un viaggio attraverso la “vecchia” Europa.
  • Il nostro signor Wrenn
    Storia di un gentiluomo romantico
    Lewis in questo primo romanzo del 1914 scandaglia e analizza aspetti e contraddizioni di una società a lui ben nota. La sua vigorosa capacità descrittiva e la sua abilità nel creare, con arguzia e spirito, nuove tipologie di personaggi - che motivarono l'assegnazione del premio Nobel - sono già qui presenti.
 
autore:
Sinclair Lewis
ordinamento:
Lewis, Sinclair
elenco:
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