Dall’incipit del libro:
Venuta per rinnovare il mondo, fra i tanti mali che la rivoluzione francese voleva distruggere – tirannide, superstizione, privilegi ereditari e di classe – la guerra teneva uno dei primi posti. In tutto quel periodo che fu la preparazione intellettuale della rivoluzione, dall’abate Saint-Pierre a Diderot, da Voltaire a Rousseau, i grandi pensatori, i poeti e gli economisti, nell’Enciclopedia e col teatro, col romanzo e colla satira, avevano gli uni stimmatizzato, gli altri anatomizzato la guerra, condannandola come la massima piaga e ad un tempo l’onta maggiore dell’Umanità, e causa principale del dispotismo dei re. Perciò la rivoluzione francese, erede ed esecutrice testamentaria dello spirito innovatore del secolo decimottavo, “chiamava,” secondo la bella immagine di Lamartine, “i gentili come i giudei al godimento della luce e della fratellanza.” Non uno dei suoi apostoli che non proclamasse la pace fra i popoli. “Mirabeau, Lafayette, Robespierre medesimo cancellarono la guerra dal simbolo che presentarono alla nazione.” Disgraziatamente la rivoluzione, dopo breve cammino, dimenticò le ragioni della sua origine e le splendide promesse che aveva fatte a sè medesima e al mondo.



