Dall’incipit del libro:
Enrico Brusco fu uomo di forte tempra fisica in sua gioventù, e per tutta la vita di carattere saldo come un roccolo dei monti liguri. Tenacità in lui non era qualità, era natura; e volere e potere formavano davvero per l’essere suo «un incognito indistinto». A carattere così fatto parrebbe dovesse rispondere una provanità di atti e di modi, una pervicacia di propositi che difficilmente si scompagnano da esseri simili. Era, invece, quale poco l’educazione e la coltura vi avevano aggiunto, uno spirito delicato e gentile, tutto aperto alle più nobili virtù della mente e del cuore. Ma suprema tra queste, la virtù dell’amicizia, che sentì come pochi tra i molti che io conobbi e fu in lui prova suprema del fuoco al diamante della fortuna, infrangibile e irresistibile.
– L’amicizia – scrisse Anton Giulio Barrili che gli dedicava il suo primo romanzo Santa Cecilia, rimasto uno dei suoi capolavori – non era per lui una vana parola, o una espressione di complimento: schietto e tenace amico degli amici suoi «amicus amicorum» come si diceva così bene fin dai tempi della pura latinità, durava immutabile in quella fede, anche se gli anni portassero, insieme con altre consuetudini, altri indirizzi di spirito.

