Dall’incipit del libro:
Il dottor Malaguti, nella sua qualità di direttore del manicomio, era stato per me della più squisita gentilezza: mi aveva le mille volte ripetuto che lo stabilimento doveva essere completamente a mia disposizione per tutti gli studî che dovevo compiere; e questo, come si era affrettato a soggiungere col più amabile dei suoi sorrisi, indipendentemente da ogni commendatizia. Il dottor Malaguti era la personificazione più completa della cortesia diplomatica, spinta all’eccesso, senza escire dai limiti della sua natura. La persona, esile come un giunco, slanciata come il corpo di una falena, tutta ossa e cartilagini, si piegava cerimoniosamente dinanzi al primo venuto per un arco di cerchio di 80 gradi, ma nessuna ragione al mondo avrebbe potuto spingerlo al di là di questo limite geometrico.
Se si metteva poi sul piede della confidenza, per quanto si mostrasse aperto e sincero, questo piede zoppicava sempre, e la forma del suo discorso, per quanto arrotondata negli angoli, smussata nelle punte, conservava sempre un che d’indefinibile, di compassato e di rigido. Quando la sera mi trovavo nel mio appartamentino – due stanze dell’alloggio del dottore, ch’egli aveva posto a mia disposizione – egli veniva matematicamente tra le otto e mezzo e le nove a bussare discretamente con la nocca delle dita alla porta, aspettando il mio «Avanti, avanti, caro dottore»: girellava un dieci minuti qua e là per il salottino come una mosca scapata, e finiva per sedersi innanzi a me, pigliando il suo cranio da scheletro tra i suoi metacarpi come tra una morsa di ferro, per interrogarmi minuziosamente sui miei studî, senza darsene affatto l’aria.
Pubblicato originariamente su Fanfulla della Domenica n. 33, 16 agosto 1885, supplemento al Fanfulla, Roma

