Karin MichaëlisKarin Michaëlis, nata Karin Bech-Brøndum, nacque a Randers, piccola città di provincia nello Jutland in Danimarca il 20 marzo 1872. Nel suo autobiografico libro di memorie, Little Troll nella traduzione inglese, racconta della propria nascita con lo stile dei libri di Dickens:

«La piccola città danese di Randers è percorsa da vicoli tortuosi e stretti con curve e tornanti sconnessi con il selciato percorso da scanalature che sembrano piene di grasso fangoso e rancido. Sono nata in questa città fatta di case in legno che celano grandi cortili interni durante una violenta bufera di neve in un inverno tempestoso. La neve era così alta che quattro uomini robusti dovettero spalare un sentiero fino a casa nostra per la signora Fog, l’ostetrica, anche se vivevamo proprio nel centro della città, in una delle ultime case di “via della povertà”».

Karin Michaëlis tratteggiò molti suoi personaggi in base a quella che fu la sua percezione infantile della vita familiare e delle sue difficoltà. Per questo ricorda davvero sotto molti aspetti la descrizione dei personaggi dickensiani.

Nelle sue memorie è sempre la madre, Nielsine Petrine Bech, la guida e il sostegno di tutta la famiglia. La signora Brødum preparava corone di fiori per far fronte alle esigenze economiche della famiglia, poiché il marito, Jacob Anthonius Brøndum, malato di tubercolosi, aveva visto troncata la sua carriera di funzionario statale nell’ambito dei telegrafi, ed era sempre lei, ovviamente, a prendersi cura dei cinque figli. Karin rende omaggio alla madre in diverse opere che evidenziano il peso delle responsabilità domestiche filtrate dal punto di vista di una bambina.

L’infanzia della scrittrice fu condizionata dallo strabismo, condizione che, sebbene parzialmente corretta con un intervento chirurgico, le lasciò un leggero strabismo permanente e la convinzione di essere brutta. Secondo le sue stesse memorie questa convinzione fu fattore motivante per instradarsi verso fantasie sentimentali e romantiche. Guardando indietro con dolore e smarrimento, la scrittrice descrive i suoi anni giovanili come un mettere continuamente alla prova le sue capacità di attrazione sessuale.

Un’estate, all’età di quindici anni, si trovò segretamente fidanzata con due uomini; il principale motivo di attrazione del primo era il fatto che fosse zoppo come Byron, mentre l’importanza del secondo corteggiatore sembrava risiedere nel semplice fatto di essere divenuto l’oggetto delle adolescenziali fantasie sessuali dell’autrice. Ma d’altro canto questi suoi impulsi si trovavano a dover fare i conti con la ristrettezza mentale estremamente conservatrice e bigotta della società danese nella quale viveva. Pare che una conferenza sull’importanza della castità prima del matrimonio, tenuta dall’influente poeta norvegese e premio Nobel Bjørnstjerne Bjørnson, abbia consentito ai cittadini di Randers di assecondare la propria sensibilità puritana ponendola sotto un’egida letteraria e poetica. In un tale clima non sorprende che i coniugi Brøndum siano rimasti inorriditi nell’apprendere delle relazioni amorose segrete di Karin, convincendoli al di là di ogni dubbio che la loro figlia era poco seria e frivola e metteva in pericolo il buon nome della famiglia.

Ci sono tuttavia alcuni aspetti contraddittori nelle idee di Bjørnson che poi troviamo riflessi negli atteggiamenti di Karin. Il poeta norvegese infatti, nonostante il suo moralismo calvinista, esaltò il passato pagano della Norvegia; e, pur essendo stato un vero e proprio sciovinista, fondò il Norwegian Women’s Liberation Movement.

Il personaggio di Bibi, dai libri per bambini di Michaëlis, come quello di Gunhild dalle sue memorie romanzate, Træeet på godt og ondt [L’albero del bene e del male] (1924-39), si trova eccessivamente limitato dalle immagini tradizionali di “brava ragazza”. Lasciandosi alle spalle casa e scuola, le due vagano per le ferrovie e le strade danesi alla ricerca di se stesse.

Karin lasciò la sua casa in “esilio volontario” per lavorare come istitutrice per la figlia di un console danese su un’isola inospitale. Assecondando la sua immaginazione romantica, sognava di salvare il suo datore di lavoro da un infelice matrimonio; questo mentre leggeva voracemente Byron e già progettava di scrivere le proprie memorie. Quando, un anno dopo, tornò dai suoi genitori, non fu in grado di accettare le loro pretese di fare di lei un rispettabile funzionario pubblico o una giovane da sposare in cerca di un buon partito. Karin riuscì quindi a trasferirsi a Copenaghen per studiare pianoforte, convincendo i genitori sulle proprie inclinazioni e sicure capacità. Quel trasferimento nella capitale fu il catalizzatore delle energie creative di Karin. Il suo insegnante, Victor Bendix, pianista, compositore e direttore d’orchestra, fu una guida potente e stimolante e la introdusse nel mondo dell’arte e della cultura. Sebbene considerasse la giovane donna un talento musicale piuttosto mediocre, la incoraggiò a scrivere e convinse suo padre a permetterle di rimanere a Copenaghen oltre il tempo stabilito.

Nel 1895 l’autrice conobbe e sposò Sophus Michaëlis, – scrittore e poeta che pur essendo in genere classificato tra i “decadenti” riesce a operare una vigorosa sintesi tra estetica romantica e forma e plasticità crepuscolare – che sostenne anche le sue ambizioni letterarie. Nei loro primi anni di convivenza, la giovane donna pubblicò due volumi di racconti che furono elogiati dai critici, tra cui l’eminente Georg Brandes, per aver la scrittrice mostrato grande talento nonostante trattasse spesso argomenti scabrosi. Determinata e tenace, Karin Michaëlis ampliò le sue prospettive e si dedicò a scrivere recensioni, spesso sotto il nome di suo marito. Il successo di entrambi i coniugi Michaëlis li portò a contatto con una serie di autori affermati come Herman Bang e Bjørnson, che divennero loro amici e mentori.

Dopo i primi volumi di racconti, Karin Michaëlis scrisse un romanzo sulla vita nel medioevo, Birkedommeren [Il giudice]; fu pubblicato nel 1902, e fu al centro di vivaci e contrastanti discussioni critiche. Decise quindi di inviare il lavoro successivo Barnet [La creatura], a Peter Nansen di Gyldendal, uno degli editori più illustri della Scandinavia. Nansen fu colpito dalla profondità e dal sentimento del romanzo, e tra scrittrice ed editore nacque un’amicizia significativa e duratura. Nelle sue memorie, Karin Michaëlis dà grande importanza a questa amicizia per lo sviluppo della propria vena creativa. La promozione che Nansen intraprese per Barnet, fece del libro un successo internazionale che fu tradotto in sedici lingue; negli Stati Uniti fu pubblicato con il titolo di Andrea. Il romanzo narra di una giovane donna che, in conseguenza di un grave incidente, si trova vicina alla morte. La trama avrebbe potuto correre il rischio di scivolare nella convenzionale retorica del sentimento, ma la protagonista accoglie invece la morte come via di fuga da una vita adulta opprimente, che risulta essere il riflesso dell’arida relazione senza amore dei suoi genitori. Sembra che alcuni lettori l’abbiano accusata di aver rubato i diari delle loro figlie morte. Questo per sottolineare a qual punto Michaëlis sia riuscita a penetrare profondamente nel personaggio. L’interesse di Karin per l’introspezione psicologica delle ragazze e delle donne è proseguita in romanzi come Lillemor [tradotto in italiano da Maria Pezzé Pascolato con il titolo Marthe], mentre in Munken går i enge [Il frate scende al prato] si rivelò al meglio la sua propensione alla satira.

In Lillemor risulta già dominante e significativa la tematica del vivere difficile ed eroico della donna e del bambino nella società contemporanea, nella famiglia, dove i deboli dimostrano sempre coraggio e spirito di abnegazione.

I successivi romanzi, in particolare Den farlige Alde (1910, L’età pericolosa), dove si mette a nudo l’animo di una quarantenne, e il suo seguito Elsie Lindtner (1912) la resero popolare in tutto il mondo per le sue analisi psicologiche condotte sulla donna in balia dei pregiudizi sociali e in lotta per uscirne. In gran parte autobiografico e venato di ironia è il romanzo Atte der skilte (Di nuovo separazione, 1918), che parla di una storia di divorzio nella capitale danese di inizio secolo. Monumentale è il ciclo autobiografico in cinque parti: Træ paa Godt og Ondt (L’albero del bene e del male, 1924-30), rielaborato in seguito con il titolo di Vidunderlige Verden (Mondo meraviglioso, 1948-1950), in tre parti, in cui le pagine respirano di fantasia, di freschezza, di ricordi e di osservazioni che rendono questo testo il documento di un’epoca, in una gamma varia e ricca di sentimenti imperniati sul carattere femminile. La fama della Michaëlis è inoltre legata a una serie di libri per bambini che hanno per protagonista la bambina Bibi (1930-38) tradotti in italiano negli anni trenta dalla pedagogista Emilia Villoresi e successivamente sempre ristampati fino ad anni recenti. Si possono ancora ricordare i romanzi Brødrene Gormsen (1935) e Den grønne Ø (1937) pieni di avventura e di sentimento ed entrambi tradotti in italiano alla fine degli anni trenta ancora da Emilia Villoresi.

Il primo periodo del matrimonio fu caratterizzato da grande affiatamento; Karin e Sophus conducevano felicemente la loro vita di coppia lavorando e viaggiando insieme. La loro relazione sembrava essere fondata sul reciproco rispetto in considerazione di due diversi modi di lavorare e sulla necessità di autonomia personale. Karin Michaëlis ha ricordato che «ciascuno ha cercato di permettere all’altro di accedere al laboratorio della sua mente. Ma quando abbiamo raggiunto la soglia ci siamo fermati». Sophus era un celebre poeta e drammaturgo; la sua commedia Revolutions-Bryllup [Nozze rivoluzionarie] fu un grande successo sia Europa che negli Stati Uniti. Ma nonostante la loro affinità e compatibilità, Karin Michaëlis continuò in realtà a desiderare quello che aveva sognato nella sua infanzia di bambina ribelle: un’autonomia più estesa e completa. Quando si rese conto che Sophus si era innamorato di una bella donna più giovane, il suo spirito indipendente insieme alla sua persistente idea di essere brutta, la spinse ad inasprire il conflitto. Allontanandosi favorì la relazione del marito, e il distacco condusse a dare consistenza alla possibilità del divorzio. Nonostante la relazione con la giovane fosse finita, Karin valutò che la riconciliazione era impossibile.

La convinzione del bisogno di indipendenza fin dall’infanzia che aveva forgiato il suo spirito ribelle diede origine a un’amicizia duratura con Eugenia Schwarzwald, fondatrice di una scuola a Vienna basata su principi antiautoritari. Il programma e la pratica della scuola poneva l’accento in modo particolare sulla ricerca e sul favorire lo sviluppo delle propensioni individuali di ogni studente riguardo lo studio. Karin Michaëlis espresse la sua ammirazione per questa donna nel suo libro Glædens skole [La scuola della gioia], nel quale raccontò storie per bambini intervallate da ricordi della propria infanzia. Nel libro prese anche corpo con più compiutezza la sua convinzione sull’uguaglianza sessuale. In esso sostenne che Schwarzwald non solo meritava un posto di rilievo nel panorama culturale del suo paese, ma che le donne dovrebbero essere accettate come scienziate, esploratrici e imprenditrici. Tuttavia, se una giovane donna aveva più talento nei lavori domestici rispetto a qualsiasi altra cosa, doveva essere incoraggiata a sposarsi e a sviluppare “la sua innata femminilità”.

Il successo internazionale veicolato soprattutto da Den farlige Alde coincise con il divorzio. Nel 1911, appena divorziata, tornando a casa da una visita alle sue sorelle Harriet e Alma che si erano stabilite a New York, ebbe un incontro che l’avrebbe portata a un matrimonio estremamente infelice. Charles Strangeland era un professore di economia americano di origine norvegese, che stava allora intraprendendo la carriera diplomatica. Si sposarono nel 1912 e si separarono nel 1917. Energico e possessivo, Strangeland divenne geloso della carriera di sua moglie e l’accusò di aver ostacolato la propria. Non potendo lo Strangeland trovare un’occupazione consona alla sua preparazione in Danimarca, sede irrinunciabile per la creatività e l’identità personale della moglie, la coppia visse in pratica separata tranne che per alcuni brevi e travagliati incontri. Il matrimonio finì con un divorzio nel 1931.

Nel 1914, appena scoppiata la guerra, Strangeland le aveva chiesto di rinunciare al cognome Michaëlis, che era ormai conosciuto letterariamente in tutto il mondo, e di adottare il suo. In realtà qualche scritto venne firmato con lo pseudonimo Katharina Strangeland, ma Karin non ne era affatto convinta e abbandonò subito l’esperimento.

Nello stesso anno Karin scrisse In mors øjne [Gli occhi di una madre] un’opera teatrale nella quale si racconta la storia di una donna cieca danese i cui figli emigrano negli Stati Uniti. I figli le scrivono raccontandole dei loro successi e del loro desiderio di portarla con sé, pur sapendo che è impossibile a causa della sua cecità. La donna si sottopone segretamente a un intervento chirurgico che le ridona la vista e si reca a New York. All’arrivo, con gli occhi nascosti dagli occhiali scuri, vede il figlio e la figlia sul molo coperti di stracci. L’avevano ingannata per risparmiarle le preoccupazioni. La madre vende allora le sue proprietà, dà il ricavato ai suoi figli e muore senza dire loro la verità sulla sua ritrovata vista. La critica vi lesse una sorta di allegoria associata al matrimonio con Strangeland, che ormai Karin viveva con una acuta consapevolezza di sacrificio.

Durante la prima guerra mondiale Michaëlis trascorse molto tempo a Vienna, dove prese in considerazione l’idea di scrivere un libro sulle condizioni di vita durante la guerra. Insieme alla sua amica Eugenie Schwarzwald, visitò diversi campi profughi dove cibo e possibilità di riscaldamento erano così scarsi che la fame e il freddo erano intollerabili. Le sue convinzioni erano sempre ispirate da un incrollabile senso di responsabilità individuale. Di fronte all’evidenza di mali strutturali e istituzionali, credeva nell’efficacia dell’intervento personale. Un suo amico tedesco sostenne l’idea che non ci dovrebbero essere ufficiali ebrei in un club di ufficiali tedeschi, affermando che, se nessuno avesse loro rivolto la parola, sarebbe stata logica conseguenza che gli ufficiali ebrei se ne sarebbero andati. Michaëlis indignata pose immediatamente fine a questa amicizia. Quando seppe che Gabriele D’Annunzio, dopo la guerra, si era rifiutato di cedere i manoscritti e i beni posseduti in Italia dallo storico dell’arte tedesco Henry Thode, organizzò una tale campagna per denunziare il fatto che probabilmente contribuì a far perdere allo scrittore italiano, le cui opere erano state tradotte in svedese, la possibilità veder proposta la sua candidatura per il Premio Nobel.

Mai si lasciò impressionare dal potere e dall’autorità; sfidò personalmente la politica del presidente ceco Tomas Masaryk che non consentiva l’insegnamento della lingua tedesca nelle scuole dei Sudeti, prevalentemente tedeschi. Dopo una prima reazione certamente seccata, Masaryk ammise che la scrittrice aveva ragione e consentì che la lingua ufficiale di ogni distretto corrispondesse a quella parlata dalla maggior parte dei suoi abitanti.

Nel periodo tra le due guerre tenne conferenze su argomenti come “Amore, matrimonio e divorzio”. Ebbe molto successo anche in questo campo, facendo ricorso alle proprie esperienze e a quelle dei suoi amici, e la sua interpretazione ironica degli imperativi e delle infamie delle relazioni intime e delle leggi che le governavano ottenne sempre grande consenso. Credeva nell’uguaglianza economica all’interno del matrimonio e nella possibilità di stabilirla tramite un fondo comune per pagare le spese relative alla convivenza e in quest’ambito nessuna delle parti avrebbe avuto nulla da dire sulle spese dell’altra. Credeva che un tale piano avrebbe portato all’armonia coniugale, poiché credeva fermamente che la disuguaglianza economica fosse una delle principali cause di discordia coniugale; era venuta elaborando queste idee osservando il degrado che la dipendenza economica provocava nelle donne e l’impoverimento di cui soffrivano a causa di iniqui accordi di divorzio.

Sebbene non sia mai stata un’attivista per i diritti delle donne, sostenne che i genitori avevano il potere e il dovere di incoraggiare l’indipendenza delle loro figlie sin dalla tenera età. Proponeva ad esempio la stipula di una polizza assicurativa al momento della nascita che avrebbe assicurato loro un’istruzione e che questa istruzione le avrebbe rese economicamente autonome. In questo modo, in caso di fallimento del matrimonio, non sarebbero state costrette a rivolgersi ai loro ex mariti per il sostentamento; e se fossero rimaste vedove anche in questo caso avrebbero potuto salvaguardare il proprio reddito.

Le idee politiche di Karin Michaëlis hanno dimostrato il loro valore morale in numerose occasioni. Definita “donna pericolosa” da Hitler, continuò a tenere conferenze nei paesi occupati dai tedeschi con il podio circondato dalla Gestapo. Quando Hitler salì al potere, Karin Michaëlis aprì le porte della sua casa di Thurø – piccola isola della Danimarca nella quale si era stabilita insieme all’anziana madre che sarebbe morta ultranovantenne – a tutti coloro che fuggivano dalla prigione e dalla morte. Alcuni di loro li conosceva già, come nel caso di Bertolt Brecht e di sua moglie, Helene Weigel; altri erano estranei con i quali condivideva solo simpatie politiche. Karin Michaëlis denunciò che molti di quei rifugiati erano stati torturati e poi rilasciati come semplice monito per altri scrittori. Spesso li sentiva urlare nel sonno.

Quando divenne chiaro che la Danimarca rischiava di essere invasa, si trasferì negli Stati Uniti, dove visse durante gli anni della guerra. Sebbene le piacesse la vibrante atmosfera culturale di New York e la vita con sua sorella Alma e il marito di lei, non le fu facile fare a meno delle entrate fornite dagli editori europei e fare i conti con la memoria corta degli editori americani. Sebbene sette dei suoi libri fossero stati pubblicati negli Stati Uniti, non riuscì a convincerli a interessarsi alla traduzione dei suoi libri della serie di Bibi, ormai classici per i ragazzi in Europa. Solo al suo ritorno in Danimarca avrebbe potuto riprendere la sua carriera.

Dopo la seconda guerra mondiale, quando era ancora al vertice della sua popolarità, una nuova generazione di scrittori europei ha potuto riconoscere l’enorme influenza esercitata sulla letteratura europea dall’opera della scrittrice danese. Dopo un incontro con Colette, avvenuto in occasione di un ricevimento di scrittori a Vienna, ricevette dei fiori dalla scrittrice francese con un biglietto che diceva: “Se non fosse stato per i suoi libri, non avrei mai potuto scrivere i miei”. Michaëlis attribuisce nei suoi scritti autobiografici questo riconoscimento di Colette alla “galanteria francese”, tuttavia è chiaro come l’attenzione alla psicologia femminile della scrittrice danese l’abbiano resa un punto di riferimento per la giovane Colette. Nei suoi ultimi anni, Michaëlis visse nella sua casa sull’isola di Thurø afflitta dalla miseria. Sebbene avesse venduto milioni di libri, gran parte del suo reddito fu dedicato a coloro che sentiva più bisognosi di lei. Morì a Copenhagen l’11 gennaio 1950 ed è sepolta a Thuro.

Le opere di Karin Michaëlis appartengono ai generi più vari e diversi. Oltre ai suoi romanzi per bambini e adulti, scrisse racconti, saggi e recensioni. I suoi libri da soli ammontano a un totale di settanta titoli. Sebbene non si considerasse una femminista, non ha mai mancato di includere in tutte le sue interviste e articoli critiche feroci all’atteggiamento del suo tempo nei confronti delle donne. Nonostante fosse d’accordo con uno dei suoi intervistatori, William Salisbury, sul fatto che “a una donna piace essere dominata da un uomo”, ha continuato a sottolineare che le donne erano vittime delle incessanti “affettuose attenzioni” dei loro datori di lavoro, ma purtroppo anche di genitori e fratelli (Twentieth Century Magazine, ottobre 1911, p. 588). In due successivi articoli pubblicati sul Munsey’s Magazine (aprile-settembre 1913) intitolati “Perché le donne sono meno sincere degli uomini?” attribuisce le “bugie femminili” sia alla complessità della natura della donna, che ai ruoli ai quali le convenzioni sociali la costringono.

Calatesi nella funzione di prendersi cura delle incombenze tipiche della casalinga le donne finiscono per mentire allo scopo di preservare l’armonia domestica. Riferendosi ad esempio a Casa di bambola di Ibsen, interpretò l’inganno di Nora come un atto disinteressato motivato dalla sua sensibilità femminile per i bisogni e ai sentimenti degli altri. Tale empatia sviluppa la coscienza sociale femminile, «che è indipendente dalle leggi emanate per mantenere l’ordine sociale. È diametralmente opposta a quella dell’uomo. Giudica dal motivo, non dall’atto». Nel secondo di questi articoli, Michaëlis attribuisce la natura femminile a un processo evolutivo storico segnato fin dall’inizio dall’oppressione e dalla disuguaglianza. Considerando che «c’era una sola opinione, una volontà, la sua… non sorprende che lei abbia plasmato tutto il suo essere secondo i suoi desideri… e che senza neppure una parola gli poteva dare il controllo di tutta la tua esistenza! […] La sua sottomissione e obbedienza erano una copertura dietro la quale nascondeva il proprio ego sofferente. E nel profondo di quell’io c’era un mondo in cui il marito non è mai penetrato e di cui non sospettava nemmeno l’esistenza; un mondo di giardini pieni di bei fiori di sogni e di desideri».

In questo passaggio non possiamo non ritrovare anticipazioni di dibattiti di tempi più recenti. Come possono uomini e donne raggiungere l’uguaglianza nelle relazioni e nelle possibilità di occupare spazi pubblici e privati quando siamo divisi tra l’idea, da un lato, che la natura dell’uomo è essenzialmente aggressiva e quella della donna fondamentalmente affettuosa, e, dall’altro, l’idea che la femminilità e la mascolinità sono il prodotto di pressioni culturali e sociali? Così come nel nostro tempo le teorie di Freud suscitano sia l’interesse più intenso che le critiche più aspre, nel suo Michaëlis seguì le indagini freudiane sulla determinazione psicosessuale del carattere, ma per risalire al carattere femminile le sembrò necessario tentare strade alternative.

Fonti:

  • K. Michaëlis [Traduzione di Lenore Sorsby]: Little Troll. New York, 1946.
  • P. Lassner: Introduzione a La edad peligrosa. Alba editorial, 2005.
  • A. Wegener: L’educazione sentimentale. Karin Michaëlis e la protezione degli animali. Con un brano tratto dalla sua autobiografia. In: “DEP Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile”. N. 44, 2020.
  • T. Rosenthal: Karin Michaëlis: “L’età pericolosa” alla luce della psicoanalisi, in “Rivista di psicologia analitica”, n. 83, 2011.
  • P. Madsen: Karin Michaëlis in La cultura del romanzo, Torino, 2001.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

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  • L'età pericolosa
    Attraverso le reazioni della protagonista del romanzo, Elsie, alle proprie esperienze e a quelle di altre donne durante la fase "pericolosa" della loro vita, Michaëlis propone un modello socio-psicologico che rivede la maturità femminile.
 
autore:
Karin Michaëlis
ordinamento:
Michaëlis, Karin
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