L’agile ed interessante manuale fu forse edito una prima volta nel 1899 a cura della Biblioteca dell’Università popolare milanese insieme con la Federazione Italiana delle Biblioteche popolari, e riedito poi dalla stessa Federazione nel 1914 circa.

Il testo semplice e scorrevole e l’editore coinvolto fanno capire chiaramente che lo scopo della pubblicazione fosse meramente divulgativo. Nel 1890 e 1904 era stato pubblicato da Hoepli un Atlante botanico, opera di Giovanni Briosi, professore di Montemartini all’Università di Pavia. E lo stesso Montemartini aveva pubblicato con Hoepli un manuale di Fisiologia vegetale (1898). Vale la pena di ricordare quanto fossero accurati ed assai diffusi i famosi manuali Hoepli, nati nel 1875 e che ancora vengono pubblicati. Montemartini, sempre con la Federazione Italiana delle Biblioteche popolari e sempre per scopi divulgativi, pubblicò nel 1919 anche un manuale dal titolo Le piante utili.

Certamente il livello della ricerca sulla biologia e fisiologia vegetale, sulla fitopatologia,… è andato avanti rispetto a quando faceva ricerca ed insegnava Montemartini, ma certamente il suo manuale ad uso di tutte e tutti è interessante non solo per la base di cognizioni che fornisce, ma anche per il modo piano che usa.

Il breve saggio è organizzato in otto lezioni, è illustrato e si chiude con una breve bibliografia. Nel saggio si parla della nutrizione, della riproduzione, della sensibilità, delle malattie e della morte delle piante. La scrittura è lineare, i disegni sono chiari, e, per le conoscenze di allora, il rigore è assoluto. Ma c’è qualche cosa di più, qualcosa che si legge inevitabilmente tra le righe, e che è la passione dello scienziato, passione che gli dona una straordinaria e meravigliosa capacità di comunicare e di contagiare le persone con le sue conoscenze.

Il linguaggio scientifico, frutto della ricerca ma anche nato dall’osservazione attenta e quotidiana della natura che lo circonda, nei giardini, nei boschi, sui terrazzi.. riesce ad essere a tratti poetico:

«Se noi prendiamo uno dei frutti rotondi che rimangono d’inverno pendenti ai rami dei grossi platani dei nostri pubblici passeggi […]»

L’autore ci racconta che solo le piante (e neanche tutte) sono autotrofe cioè capaci di trasformare le sostanze inorganiche in organiche e di assimilarle. Non usa il termine ‘autotrofe’; scrive che le piante “sono atte ad assimilare materie inorganiche”. Gli animali e i funghi non sono invece in grado di sintetizzare le molecole organiche nutrizionalmente fondamentali che necessitano loro, partendo da sostanze inorganiche. Almeno a quei tempi non se ne conoscevano (forse non se ne conoscono neppure adesso; c’è qualche esempio di animale marino che sembra possa trasmettere ereditariamente dei cloroplasti ingeriti, ma la cosa è tuttora controversa).

Belli i bei tempi in cui si imputava, così scrive Montemartini, la produzione del biossido di carbonio “alla respirazione” degli animali, alle sorgenti naturali, all’uomo per le sue case e per le industrie, e questa produzione era un bene:

«se tutta la superficie del globo fosse coperta da una foresta e il biossido di carbonio non si venisse di mano in mano rinnovando nell’aria, in capo a circa 10 anni l’atmosfera ne sarebbe completamente spogliata e le piante non potrebbero più vivere.»

L’uomo ha evitato accuratamente questo rischio! Ha fatto in modo di superare i limiti in cui si reggeva il delicato equilibrio dello scambio tra anidride carbonica prodotta dalle attività umane e l’ossigeno prodotto dalle piante con la fotosintesi clorofilliana. Con l’eccesso di anidride carbonica e di altri gas nell’atmosfera, si è prodotto il famigerato ‘effetto serra’.

Montemartini cita e dà ragione a Dante quando scrive:

«Guarda il calor del sol che si fa vino…» (Dante, Divina commedia. Purgatorio. XXV, v.77)

e spiega che gli zuccheri nel mosto d’uva, che con la fermentazione lo trasformeranno in vino, altro non sono che il glucosio formatosi sulle foglie della vite grazie all’azione del sole e poi immagazzinato anche nei frutti.

Lo scienziato spiega la riproduzione delle piante, anch’esse dotate, come gli animali, di organi maschili ed organi femminili, presenti spesso nella medesima pianta, più raramente in piante diverse, e sottolinea – vi si legge tra le righe un certo orgoglio per la rilevanza della Botanica, ma anche dell’importanza della interazione tra le diverse discipline – che:

«si può dire a questo riguardo che lo studio dei fenomeni intimi sessuali delle piante ha in certi momenti preceduto quello degli stessi fenomeni negli animali ed ha servito a facilitare la scoperta di questi, e viceversa in altri momenti lo studio degli animali ha aiutato a trovare quello che poi si è trovato nei vegetali.»

I pini e gli abeti, racconta Montemartini, disperdono in primavera una ‘polvere gialla’; è il polline, granuli microscopici – le cellule riproduttrici maschili della pianta – contenuti nei sacchi pollinici. Nel medioevo, quando le foreste erano più estese e folte e questa polvere era molto abbondante, la sua ricaduta sembrava dar vita ad una pioggia di zolfo ed era vista come una maledizione. Oggi, scrive l’autore, «si può dire fossero pioggie di…. baci!»

Montemartini denuncia il naturale deperimento delle piante negli appartamenti o nelle strade trafficate; inoltre esse possono essere colpite da uno stato febbrile, possono rimaner ferite, possono essere infettate da parassiti.

Egli conclude:

«L’albero può, teoricamente, vivere all’infinito, ma la parte viva di esso non conta mai che pochi anni ed è sempre in piena gioventù, che al ripetersi delle stagioni dà fiori, amori e figliuolanza. […]

Se non intervengono cause meccaniche che abbattano il fusto, reso meccanicamente debole per la carie interna delle parti più vecchie e per l’ingrandimento sproporzionato della corona, la pianta vive in eterno e, malgrado l’apparenza, eternamente giovane; in ciò superiore agli animali ed agli uomini, i quali purtroppo invecchiano.»

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del testo:

Se noi prendiamo uno dei frutti rotondi che rimangono d’inverno pendenti ai rami dei grossi platani dei nostri pubblici passeggi e lo schiacciamo leggermente tra le dita, lo possiamo scomporre in tanti piccolissimi corpi di pochi millimetri di lunghezza, pesanti ognuno solo qualche milligrammo, muniti di un ciuffo di peli, mediante il quale possono quasi stare sospesi nell’aria, tanto piccoli e tanto leggeri che il vento anche debole li può portare e disperdere a grandi distanze. Sono questi altrettanti minuscoli frutti dei quali era composto il frutto schiacciato, e quelli di essi che andranno a cadere o saranno portati in terreno adatto, se troveranno poi condizioni opportune di umidità, di temperatura e di luce, germineranno e daranno una piantina di platano che, invisibile quasi sul principio, potrà crescere a poco a poco cogli anni e diventare anch’essa un albero colossale, capace di dare ad ogni volger di stagioni migliaia di foglie e milioni e milioni di nuovi microscopici frutti, simili a quelli da cui nacque la prima piantina.

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titolo:
La vita delle piante
titolo per ordinamento:
vita delle piante (La)
descrizione breve:
In questo agile manuale di botanica, l’autore spiega con cura, semplicità ed anche con qualche accento poetico, tutto lo svolgersi della vita delle piante dalla riproduzione alla morte e sottolinea la loro fondamentale importanza.
autore:
opera di riferimento:
La vita delle piante / prof. Luigi Montemartini. - Milano : Presso la federazione italiana delle biblioteche popolari, [1914?]. - 66, X p. : ill. ; 16 cm.
licenza:

data pubblicazione:
21 marzo 2024
opera elenco:
V
soggetto BISAC:
SCIENZA / Generale
affidabilità:
affidabilità standard
digitalizzazione:
Paolo Alberti, paoloalberti@iol.it
impaginazione:
Paolo Alberti, paoloalberti@iol.it
pubblicazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
Claudia Pantanetti, liberabibliotecapgt@gmail.com
revisione:
Claudia Pantanetti, liberabibliotecapgt@gmail.com