L’opera racconta la vita di Antonietta e Nicolina, due sorelle legate e segnate da un cammino comune. Le sorelle vivono con la famiglia a Sant’Agata. Nella loro vita compare don Lucio, un amministratore ed usuraio che aveva prestato del denaro al padre. Don Lucio è un giovane che sembra già un vecchio, ma viene accolto in famiglia soprattutto da quando mostra interesse per Antonietta. E l’interesse cresce fino al punto di “domandarla in isposa”. Quando Antonietta lascia la casa della famiglia, e va a vivere con don Lucio nella casa nel vicolo, la sorella Nicolinedda la segue come una “sposa senza anello e senza sposo”.
Antonietta ha tre figli il gracile Alessio, Carmelina e la piccola Agata. Per le due sorelle i bambini sono un ritaglio di luce nella vita altrimenti squallida. Antonietta e Nicolina vivono infatti segregate e non fanno che assecondare e servire il padre-padrone che domina con le parole dette e non dette, e con le velate minacce. Ma a don Lucio non basta dominare, vuole anche possedere, e vuole possedere anche Nicolina, e nasce così un rapporto incestuoso con la cognata. Rapporto che porterà le due sorelle ad allontanarsi e alla fine a vivere come separate in casa: nella casa della loro prigionia. Antonietta vorrebbe che la sorella se ne andasse, ma Nicolina non ha prospettive dopo avere sciupato la propria giovinezza al servizio di entrambi.
Negli anni Alessio crescendo sviluppa una propria sensibilità ed un’affinità con “Zia Nicoli'”, di cui intuisce una sofferenza dettata da una colpa inesprimibile. Alessio vuole conoscere il mondo oltre la scuola ed il vicolo: ma questo lo porta ad allontanarsi dal padre, e ne nasce un contrasto. La ribellione porta il ragazzo a fuggire da casa ed al gesto estremo di togliersi la vita. Il romanzo termina con don Lucio che cerca di ricostruire, ma risulta impossibile, e le sorelle non possono che sorreggersi con mutua pietà: impedendo a don Lucio di separarle, per restare unite e divise per sempre nella casa prigione della via del vicolo.
Dall’incipit del libro:
Nicolina cuciva sul balcone, affrettandosi a dar gli ultimi punti nella smorta luce del crepuscolo. La vista che offriva l’alto balcone era chiusa, quasi soffocata, fra il vicoletto, che a quell’ora pareva fondo e cupo come un pozzo vuoto, e la gran distesa di tetti rossicci e borraccini su cui gravava un cielo basso e scolorato. Nicolina cuciva in fretta, senza alzare gli occhi: sentiva, come se la respirasse con l’aria, la monotonia del limitato paesaggio. Senza volerlo, indugiava a pensare alla casa di Sant’Agata; rivedeva il balconcino di ferro arrugginito, spalancato sui campi, davanti al cielo libero che pareva mescolare le sue nubi col mare, lontano lontano.
Era quella, per Nicolina, l’ora più riposata, benché la più malinconica, della giornata. Tutte le faccende erano sbrigate. Nella casa, come nell’aria, come dentro l’anima, si faceva una sosta, un accorato silenzio. Allora pareva che i pensieri, i rimpianti, le speranze, si facessero innanzi circonfusi della stessa luce incerta che rischiarava il cielo. E nessuno interrompeva i vaghi, incompiuti soliloqui.
Antonietta era in camera, presso il lettino di Alessio che da sei giorni aveva la febbre. Il cognato, al solito, restava seduto presso la tavola, che Nicolina aveva sparecchiata.




