Mario MarianiMario Mariani nacque a Roma il 26 dicembre 1883. Il nome era in realtà Mariano, ma lo scrittore si firmò sempre Mario. Il padre Domenico era un ricco proprietario terriero di Solarolo, in provincia di Ravenna. La madre, Angelina Mondroni, era praticante di veterinaria a Imola. I due non si sposarono, poiché il padre riteneva Angelina di estrazione troppo modesta. Tuttavia riconobbe il figlio. La nascita a Roma fu fortuita o forse finalizzata a far svolgere “l’evento” lontano dal paese di residenza. Senza dubbio la sua origine “illegittima” fu ragione di turbamento per il giovanissimo Mario e probabilmente alle radici della sua avversione per la famiglia borghese. Alcune pagine di Il vinto, testo del 1927, sono emblematiche e significative in questo senso: «la famiglia fu l’incubo della mia fanciullezza disperatamente sola. […] Io ho potuto scracchiare senza pena sui ricordi della mia infanzia.»

Infanzia che trascorse a Solarolo con la sorella del padre, zia Dina, fino ai quattordici anni. A quell’età si trasferì a Roma con il padre e frequentò l’istituto tecnico per ragionieri. La tradizione familiare lo portò precocemente ad interessarsi alle questioni sociali. Racconta lui stesso (in Vent’anni dopo) che il nonno fece otto anni di carcere nelle prigioni dello stato pontificio in seguito alle sommosse avvenute nel 1845 tra Rimini e Ravenna. Il padre Domenico frequentava i circoli socialisti assieme ad Andrea Costa, Eugenio Chiesa e Camillo Prampolini. Anche le conoscenze con i letterati non erano da meno. Mario Mariani conobbe Carducci, D’Annunzio e Pascoli, quest’ultimo in rapporti di grande amicizia con il padre.

Tuttavia lo spirito di indipendenza condusse il giovane Mario a numerose permanenze all’estero: tra il 1904 e il 1907 fu a Parigi, Londra e in Nord America, adattandosi a mestieri faticosi e contemporaneamente costruendosi una cultura da autodidatta. Fu miniaturista a Londra e impiegato a Parigi. Ma fin dal 1905 aveva pubblicato la sua prima raccolta poetica, Antelucano, nella quale si scorge, oltre all’evidente influenza carducciana, l’incipiente vena anticlericale e i motivi sociali dalla parte degli sfruttati, soprattutto i braccianti.

Alla fine del 1907 si trasferì a Berlino dove esercitò il mestiere di agente pubblicitario e da dove divenne subito dopo corrispondente de “Il Secolo” di Milano, allora diretto da Romussi e classificabile senza dubbio tra i più importanti quotidiani italiani e, in quegli anni, decisamente dalla parte degli operai e del popolo. Le circostanze “fortunate” che gli aprirono la strada del giornalismo sono ancora una volta raccontate nel già citato Il vinto. Dalle colonne de “Il Secolo” Mariani poté quindi intraprendere una campagna contro la triplice alleanza.

Nel 1911 tradusse L’età pericolosa di Karin Michaelis (vedi in questa stessa biblioteca Manuzio) e nel 1912 La Guerra italo-turca e le sue conseguenze del giornalista tedesco Adolf Sommerfeld.

Sempre nel 1911 si sposò a Londra con Maria Biondi, ballerina e pianista da caffè concerto. Ebbe da lei una figlia, Mara, ma l’unione durò poco. La separazione legale arrivò il 28 giugno 1917, e sembra che il Mariani da quella data si sia disinteressato anche della figlia. Qualche dato in più su questa unione si deduce dalla lettura di Povero Cristo, romanzo certamente in gran parte autobiografico.

Trascorse i primi mesi di guerra in Germania viaggiando in vari posti del territorio tedesco e traendone soggetto per alcuni articoli. Rientrò in Italia all’inizio del marzo 1915. In un articolo su “Il Messaggero” del 9 marzo 1915 profetizza sia la sconfitta tedesca che un nuovo tentativo tedesco di compiere la “missione di portare la Kultur all’Europa”. Fu interventista, ma su posizioni particolari e isolate: patriottico ma non nazionalista, perché avverso a politiche di imperialismo economico e territoriale. Gli anni trascorsi in Germania – determinanti per la sua formazione culturale – gli impedivano di sentire odio per i tedeschi, vedeva la guerra come inevitabile ma la sua posizione era del tutto priva di elementi di esaltazione. Per un approfondimento sulle posizioni interventiste di Mariani si può leggere, in questa stessa biblioteca Manuzio, il testo di Gerolamo Lazzeri Mario Mariani [pag. 22 del PDF]. Su questo lavoro del Lazzeri il Mariani stesso è molto caustico, in una lettera a Cavacchioli ripubblicata nel volume Così… per ridere con il titolo Breve autobiografia. Fece dapprima domanda per partire volontario ma fu riformato. Dichiarato abile al momento della chiamata della sua classe, diede sempre prova di coraggio guadagnandosi la medaglia d’argento al valor militare. Nel 1917 fece domanda per la nomina a Sottotenente e venne assegnato al 6° Reggimento alpini in zona di guerra. Tra il marzo 1915 e il marzo 1916 fu corrispondente di guerra e i suoi articoli, pubblicati su “Il Secolo” e “Il Messaggero” furono raccolti in due volumi: Sulle Alpi e sull’Isonzo e La neve rossa. Nel marzo 1916 “Il Secolo” pare che abbia dovuto allontanarlo dall’incarico di corrispondente di guerra a causa della sua abituale insofferenza alla disciplina che lo portò ad entrare in conflitto con il Comando Supremo.

Nel 1915 aveva ottenuto il primo successo in campo editoriale e letterario con La casa dell’uomo. Nell’intendimento dell’autore avrebbe dovuto essere un romanzo contro la famiglia borghese, ma l’obiettivo viene solo parzialmente centrato. Anche a questo proposito si può leggere quello che ne scrive Gerolamo Lazzeri (cit. pag. 42-43). Da questo momento e per almeno dieci anni Mariani fu lo scrittore di gran lunga più letto d’Italia e le sue opere superavano sempre le 10.000. copie vendute e venivano ristampate. La diffusione era soprattutto tra un pubblico “popolare” appartenente ad un’area tra il proletariato e la piccola borghesia contribuendo al delinearsi di uno spazio culturale alternativo, anticonformista e ribelle.

Nel 1916 ci fu la pubblicazione di Il ritorno di Machiavelli, dove tenta una presentazione organica e sistematica delle proprie posizioni politiche e sulla guerra europea. Nel 1918 scrisse Sott’ la Naja, dove viene descritta la vita dell’alpino e dei suoi gesti eroici durante il conflitto, ma, soprattutto, mettendo a fuoco il rapporto tra soldati e ufficiali e sottolineando il ruolo del “plotonista”, vale a dire dell’ufficiale di complemento, cinghia di trasmissione tra il comando più alto e i soldati e spesso destinato alla morte in prima linea.

Il bilancio della sua esperienza in guerra lo troviamo in Le sorelline: «Io sono stato interventista e ho fatto più di trenta mesi di fronte e due anni in trincea. Qualcuno vuol vedere una contraddizione fra quel mio atteggiamento ed il mio atteggiamento spirituale del dopoguerra. Non c’è. Io feci la guerra sperando che la guerra fosse l’ultima guerra e il principio della più grande rivoluzione. In parte ho errato e in parte ho avuto ragione.»

Alla fine della guerra, probabilmente a causa del lungo soggiorno precedente in Germania, fu nuovamente a Berlino al momento della rivoluzione spartachista iniziata nel novembre 1918 e terminata nel gennaio 1919 e nata come sintesi tra causa ed effetto del crollo militare del fronte interno. In primavera si era conclusa violentemente anche l’esperienza della Repubblica bavarese dei Consigli Operai; persino il presidente Kurt Eisner era stato assassinato.

Al rientro in Italia Mariani si stabilì a Milano dove, sempre nel 1919, fondò due riviste, “Novella” e “Comoedia” in collaborazione con Gino Rocca e Eugenio Gandolfi. Due anni dopo le due riviste furono cedute a Mondadori. Ma la nuova esperienza tedesca lo aveva di certo profondamente segnato. Era tornato con tre libri da tradurre e che avrebbe fatto pubblicare da Sonzogno. Sulla fascetta pubblicitaria che accompagnava I poveri di Heinrich Mann si legge:

«Nel gennaio scorso, mentre Rosa Luxembourg e Carlo Liebknect morivano nelle strade di Berlino sgozzati dalla Guardia Bianca, io ero in Germania. Scappando fra le ire della rivoluzione portai con me tre libri che ebbero sul mio spirito un’influenza enorme. I Nuovi tempi, di Kurt Eisner – un altro assassinato dalla reazione borghese – Il suddito e I poveri di Enrico Mann»

Nella prefazione al romanzo di Heinrich Mann Il suddito delinea quasi l’idea di un “manifesto” per un nuovo modo di fare letteratura. Nel 1915 – dice – sono stati scritti tre romanzi: Il Suddito (di Heinrich Mann), L’Inferno (di Barbusse, presente in questa biblioteca Manuzio) e La casa dell’uomo, autore lui stesso. In questi testi si va oltre il romanzo psicologico per testimoniare un impegno rivoluzionario. La trama non esiste più e i personaggi, lontani dall’avere vita propria, servono fondamentalmente ad esprimere il pensiero dell’autore. C’è però da osservare che mentre in Barbusse troviamo forse la massima espressione letteraria di opposizione alla guerra come momento nel quale vengono inviate al macello le classi subalterne, in Mariani c’è invece la convinzione che proprio nella frattura tra volontà politica e militare dei potentati economici e la tenace, se pur poco cosciente, ostilità e opposizione delle masse si possa inserire la mediazione dei quadri medio-bassi, nella prospettiva che proprio a questi sarebbe spettato un ruolo di primo piano anche nel dopo-guerra. Quasi a conferma di quanto ho detto leggiamo nella prefazione al libro di Eisner: «Fu in noi per quasi cinque anni, in noi tutti che combattemmo e soffrimmo, l’oscura coscienza di collaborare a un rinnovamento radicale della società. Sentivamo tutti oscuramente che l’umanità era giunta a una svolta della storia, e che noi, gettando le nostre vite a frangersi in marea contro il muro dei secoli tentavamo di aprirvi una breccia per andare oltre, più liberi, ad inaugurare la primavera del mondo.»

In questa fase Mariani si era convinto che la rivoluzione fosse di fatto inarrestabile e si muove, in letteratura, su un binario di ambiguità: da una parte si sforza di definire in una qualche misura i lineamenti di una nuova società, ma d’altra parte il tema prevalente rimane quello dell’amore, visto spesso nel suo aspetto erotico che, se rapportato all’ambiente e al periodo storico, non poteva che apparire scandaloso. Questo fatto, se gli procurò grande successo tra il pubblico, non fu invece certamente apprezzato troppo dalla critica. Ma Mariani badava soprattutto a far parlare di sé, non solo attraverso i suoi libri ma anche per la sua vita amorosa e persino per i duelli. Altro fatto clamoroso che ne accrebbe la popolarità fu il processo, nel 1920, per “oltraggio al pudore” in seguito alla pubblicazione del romanzo Le adolescenti, che si conclude con la condanna – condizionale – a 15 giorni di carcere e cento lire di multa. Il processo fu al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e anche il mondo della cultura si divise tra chi difendeva Mariani e chi invece ne sosteneva la colpevolezza. Ovviamente Le adolescenti fu prontamente ristampato e corredato da una nuova introduzione dell’autore, nella quale rivendica, come fece anche in altre occasioni («nessun mio libro assomiglia ad un altro libro») l’assoluta originalità della sua scrittura e delle sue idee. «Io sono l’unico moralista del mio tempo nel mio paese. Ma la morale è mia. Non può essere quella della più sudicia società che i secoli hanno sentito puzzare. Ho scritto un giorno che credevo in questi principi: abolizione della patria, abolizione della famiglia, abolizione del diritto di eredità, abolizione della proprietà, abolizione della moneta, libero amore, figlio di stato, la terra a chi la lavora, la casa a chi la abita, le macchine a chi le fa produrre. Nel momento in cui il popolo italiano mandava alla camera centosettanta deputati socialisti, non hanno avuto il coraggio di processarmi per offesa alle istituzioni o per incitamento all’odio di classe. Ma si sono aggrappati all’articolo 339 e a Le adolescenti». Poiché la morale borghese ha origine, secondo lui, dalla religione, diventò fieramente avverso al cristianesimo e alla casta clericale. La donna deve avere il diritto, come gli uomini, di costruire la propria professione e di poter amare liberamente «senza bisogno di prostituirsi né legalmente né illegalmente». La prostituta è per altro spesso protagonista delle narrazioni del Mariani. Tra i tanti esempi basti ricordare Sorelline. Sembra quasi che nel suo frammischiare elementi marxisti e nietzschiani per trarne una confusa elaborazione personale, sentisse la possibile ribellione delle prostitute alla società borghese molto vicina alla propria.

Anche la presa del potere da parte del fascismo lo vide in posizione continuamente contraddittoria. Fu fieramente avverso, ma vide l’affermarsi di Mussolini e dei suoi seguaci come la conferma del valore storico-politico delle élites e degli uomini superiori. Mise in evidenza le contraddizioni del partito socialista, continuamente oscillante tra riformismo e rivoluzione in maniera di rendere impraticabili entrambe le vie. Era disgustato dal conformismo dei contadini e mezzadri (“baciapile”) condizionati dalla chiesa e quindi inclini alla reazione. Un sussulto in direzione della speranza rivoluzionaria lo ebbe nel 1924 all’indomani dell’assassinio di Matteotti. Ovviamente non poteva essere attratto neppure dal neonato Partito Comunista. In L’equilibrio degli egoismi afferma: «Le rivoluzioni non si importano altrimenti diventan per forza dominazioni»; i comunisti italiani non facevano quindi che opporre «al feticcio Mussolini il feticcio Russia». Tutto questo vagheggiando in maniera ingenua una nuova unificazione tra le varie correnti nelle quali si erano divise le forze del movimento operaio, sulla base di un rinnovato riformismo socialista. E protrasse la sua ingenuità, in contraddizione tra l’altro con le idee precedentemente espresse che vedevano l’idea sempre abbinata alla forza per poter essere vincente, fino ad immaginare la scomparsa pacifica del fascismo, come si legge in alcune pagine del già citato L’equilibrio degli egoismi. Confermando ancora una volta le proprie idee confuse non dopo molto tempo puntò invece l’indice accusatore su Filippo Turati e Giovanni Amendola, la parte politica quindi sulla quale aveva scommesso – il socialismo riformista – poco tempo prima, accusandola di “avere in orrore il sangue e la responsabilità del sangue” (I quaderni dell’antifascismo. Matteotti).

Individuò, con una certa acutezza ma senza approfondire, alcune aporie nel pensiero di Marx, e, sempre attento alle novità e alle letture ma con basi poco solide appunto da autodidatta confusionario e incostante, non mancò di prospettare idee “eugenetiche” su una selezione umana ad opera dello stato citando persino incautamente l’opera di De Vries [vedi in questa biblioteca Manuzio] che non avrebbero sfigurato in campo nazista. In realtà il suo presunto “anarchismo” giovanile era ormai sconfinato e degenerato in un auspicato controllo statalista su ogni aspetto della vita dell’individuo.

Già da tempo sorvegliato per le sue idee, anche se lontano da una militanza politica, dopo aver rifiutato una proposta di mediazione portata dal fascista Scorza (racconta l’episodio nel già citato Vent’anni dopo) e in seguito all’attentato a Mussolini di Anteo Zamboni a ottobre del 1926, fu aggredito, da una squadraccia della nascente OVRA guidata da Albino Volpi, nella propria abitazione, aggressione che gli procurò fratture e ferite. Così descrive l’episodio lo stesso Mariani in Vent’anni dopo: «Dopo vent’anni ricordo ancora l’episodio come in un sogno d’uomo che avesse bevuto troppa birra o mangiato cibi pesanti. Non ebbi nemmeno il tempo di sentirli entrare perché sfondarono la porta di casa con una enorme trave che avevano portato con loro. Quando mi svegliai avevano già acceso la luce elettrica della mia camera ed erano, in dodici o tredici, attorno al mio letto minacciandomi con le rivoltelle spianate. Solo chi li comandava aveva una faccia possibile, decente, di guitto di teatro di provincia. Gli altri sembravan tutti mostriciattoli, sbucati dalla cornice di un Goya, d’un Grosz, d’un Picasso […] Tra il risveglio nella luce e un colpo secco che mi ferì l’interciglio, mi fratturò l’osso nasale e m’insanguinò l’occhio destro non passarono forse nemmeno due secondi. Poi fui afferrato da cinque o sei braccia che mi scaraventarono, in pigiama, in un angolo della camera dicendo in dialetto milanese: – Raccomandati a Dio perché è venuta la tua ultima ora. – Nonostante il dolore fisico […] ricordo che il cervello lavorava con una strana lucidità e persino con un pizzico d’umorismo. Idee bizzarre: si vede che non mi conoscono; m’han preso per un cattolico».

Poté curarsi sotto falso nome in un ospedale a Como, mentre era ormai ricercato dalla polizia e dai fascisti. Riuscì tuttavia a sfuggire alle ricerche e riparò in Svizzera, a piedi dopo due giorni di marcia in montagna. Emilio Falco, che ha condotto preziose ricerche anche nel Casellario Politico, dice che il Mariani fosse accusato di partecipazione al fallito attentato a Mussolini ad opera di Lucetti. Falco stesso deduce che tuttavia tali documenti appaiono poco attendibili.

In Svizzera fu arrestato e invitato ad andare in Francia. Si recò quindi a Parigi dove diede origine alla breve esperienza del “Volontismo”, cioè la fondazione di un partito che pare ebbe anche un certo successo negli ambienti antifascisti. Ma la personalità accentratrice e assolutista del Mariani non tardò a provocare malumori. Dopo aver fondato il giornale “Volontà” finanziato dall’editore Cecconi – che ristampò anche alcuni libri del Mariani e ne editò di nuovi – e una fugace collaborazione con alcuni anarchici, fu egli stesso espulso dal partito che aveva appena fondato. Gli anarchici non tardarono a comprendere che il confuso insurrezionalismo del Mariani non era tale da mascherare il suo granitico statalismo, e l’organizzazione apparentemente accentrata del partito volontista stesso era in effetti la più adatta a consentire infiltrazioni di provocatori. L’11 settembre 1927 Mariani fu quindi espulso dalla Francia e riparò in Belgio grazie alla protezione del ministro degli esteri Vandervelde.

La popolarità di Mariani negli ambienti antifascisti europei era dunque al tramonto e, nonostante la sua presunzione “superominista”, lui stesso era ormai demoralizzato. Ricorse quindi all’offerta di ospitalità da parte del suo amico Trento Tagliaferri e si recò in Brasile. Fu a Bahia dal febbraio 1929, dove si diede anche alla pittura, e dopo pochi mesi si trasferì a San Paolo. Qui divenne direttore del settimanale “La Difesa” e usò della carica per riprendere le polemiche con Treves, Turati e Campolonghi. Ma ricominciarono presto i contrasti con altri esponenti dell’antifascismo e in particolare con Francesco Frola che aveva diretto “La Difesa” prima di lui. Il suo linguaggio volgare e l’incitamento alla violenza aprirono la strada al pretesto di espulsione anche dal Brasile per il reato di propaganda comunista. Fece ricorso contro il provvedimento, ma rendendosi nel frattempo irreperibile e vivendo nascosto, e temendo di poter essere estradato in Italia fuggì in Uruguay con documenti falsi. Stette a Montevideo pochi mesi, perché fu preso da nuovo entusiasmo per l’insurrezione brasiliana condotta da Getulio Vargas e si unì alle truppe rivoluzionarie, ma gli fu impedito, per ragioni diplomatiche, di formare, come avrebbe voluto, una “Legione garibaldina”. Quella che ne seguì probabilmente è l’ultima disillusione e la sua speranza rivoluzionaria fu definitivamente accantonata. Il suo ritorno a San Paolo fu nuovamente caratterizzato dai dissidi tra gli esponenti dell’antifascismo locale, Frola, Piccarolo e lo stesso Mariani. Poté comunque riprendere la sua attività giornalistica entrando nella redazione di “O estado de San Paulo” grazie alla mediazione di De Ambris e Nitti. Divenne presidente della sezione locale della LIDU, che aveva aderito alla Concentrazione antifascista assumendo all’interno di questa un ruolo di preminenza. Certamente tra le doti di Mariani non spiccava la diplomazia e i dissidi tra le fazioni dell’antifascismo avrebbero richiesto capacità di mediazione che non aveva affatto. Tuttavia un certo acume politico era ancora presente, se aveva pubblicato sul “Jurnal de Manhà” un articolo sulla situazione politica tedesca nel quale temeva l’ascesa al potere di Hitler prevedendo la futura alleanza tra fascismo e nazismo.

Il 19 settembre 1933 si sposò con la brasiliana Emilia Julia Jorge dalla quale ebbe il figlio Elio. Se da un lato questa nuova situazione gli aprì la strada per una vita più tranquilla, attenuando la sua istintiva esuberanza, d’altra parte nello stesso periodo si aggravarono le sue condizioni economiche perché l’ostilità della stampa locale e l’avvicinamento di Getulio Vargas al regime fascista italiano gli impedì in pratica il proseguimento delle collaborazioni giornalistiche. Consultando i quotidiani del periodo apprendiamo che nel 1933, coinvolto in una furiosa lite con quattro fascisti, li ferì aprendo il fuoco con una pistola. La “Gazzetta del Popolo” del 18 ottobre 1933 titola «Quattro fascisti a San Paolo feriti gravemente dal rinnegato M. Mariani»; nello stesso giorno “La Stampa” riportando l’episodio definisce il Mariani «pornografo ed ex italiano».

Si trasferì quindi in Argentina. Su questo trasferimento abbiamo la precisa ricerca di Emilio Falco, mentre il Mariani stesso non ne fa menzione in alcun suo libro di memorie. Parlare forse delle sue richieste di passaporto – e di denaro – avrebbe intaccato la sua figura di esule antifascista. In Argentina riprese sia l’attività giornalistica che di conferenziere. Il suo odio verso Mussolini e il fascismo non era comunque celato, nonostante i probabili compromessi per mezzo dei quali era potuto entrare in Argentina. In un articolo su “L’Italia del popolo” intitolato Il Partito di Rabagas e la coda di vipera del 29 aprile 1936 prospetta la necessità di una guerra di liberazione per impedire a Hitler e Mussolini di conquistare il mondo intero. Mancano notizie certe per gli anni successivi e fino all’inizio della guerra mondiale. Emilio Falco valuta teoricamente possibile la partecipazione di Mariani alla guerra civile spagnola, pur non avendo trovato alcun riscontro nonostante le ricerche e le interviste fatte.

L’attività giornalistica di Mariani riprende allo scoppio del conflitto mondiale. Con l’entrata in guerra dell’Italia, a Buenos Aires viene costituito il Comitato “Italia Libera” finanziato dapprima dall’Alliance Française e poi dagli aiuti dell’Ambasciata inglese. Mariani fu certamente aderente al comitato e scrisse su “Italie Libre” ma non ebbe incarichi limitandosi appunto al ruolo di scrittore che, forse, era anche quello che meglio lo raffigurava. La politica moderata del finanziatore inglese è probabile che prediligesse personaggi meno estremisti. Partecipò e fu oratore ufficiale al Congresso delle organizzazioni antifasciste delle due Americhe nell’agosto del 1942. Aderì quindi entusiasticamente al programma enunciato nell’occasione da Carlo Sforza. Ma ancora una volta i suoi entusiasmi franarono di fronte alla realtà. La politica inglese verso la monarchia italiana e il ritiro del programma congressuale da parte dello stesso Sforza lasciarono isolato lo scrittore come sempre alieno da ogni compromesso. Il governo Badoglio fu visto quindi come il risultato del tradimento degli alleati.

Nel 1947 fece ritorno in Italia a Milano e poi a Varese e Gallarate. Sempre molto isolato e sempre convinto di essere l’unico ad avere ragione, impegnato in politica ma certamente non “organizzatore” fondò un nuovo movimento “L’alleanza degli uomini liberi” con un suo giornale, “Unità proletaria”. Scrisse il suo libro di memorie Vent’anni dopo ma i suoi nuovi tentativi letterari non ebbero certo il successo che avevano avuto in passato. La nuova edizione, da lui stesso curata, delle “Opere complete di Mario Mariani” pubblicata da Sonzogno incontrò una quasi completa indifferenza di pubblico e di critica. Non si dimostrò capace di adeguarsi ai nuovi gusti e interessi del pubblico e i suoi nuovi romanzi, come Un uomo tutto per me furono degli insuccessi.

Sfiduciato tornò a San Paolo in Brasile nel giugno 1951, e da lì collaborò brevemente al “Fanfulla”. Morì il 14 novembre 1951. Il giudizio postumo, spesso mediato dall’egemonia culturale del partito Comunista che mal digeriva la posizione contraddittoriamente libertaria e certamente individualista di un genuino antifascista non certo allineato alla visione della Russia come “Mecca del socialismo internazionale”, è diventato negli anni sempre meno letterario e piuttosto rancoroso. Allineandosi alle schede e ai giudizi di “Vie Nuove” lo stesso Salvator Gotta dopo averlo definito “personaggio memorabile” afferma che “la sua opera […] non meriterebbe di soffermarsi a discuterne”. È infatti una sorta di censura imposta da chi stava diventando culturalmente egemone in Italia a indurre a “dimenticare” questo scrittore che è stato comunque importante per un periodo della storia letteraria e culturale italiana. Tuttavia la sua identificazione con il settore sempre escluso ed emarginato dalla violenza del potere poté mantenerlo praticamente per tutta la via dalla “parte giusta”.

Fonti:

  • E. Falco, Mario Mariani tra letteratura e politica. Roma 1980.
  • E. Tiozzo, Il poema di un’idea. Sovversivismo e critica della società borghese nell’opera di Mario Mariani. Roma 2007.
  • G. Lazzeri, Mario Mariani. Milano 1919 [https://www.liberliber.eu/mediateca/libri/l/lazzeri/mario_mariani/pdf/lazzeri_mario_mariani.pdf]
  • L. Barile, Mario Mariani, in “Resine” quaderni liguri di cultura. N. 2 1979.
  • F. Bertagna, L’Italia del popolo. Un giornale italiano in Argentina tra guerra e dopoguerra. Viterbo 2008.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • L’amore è morto
    In questi racconti Mariani vuole trasmettere una visione negativa del proprio tempo, un tempo in cui il denaro è assurto a valore primario, mettendo in secondo piano anche i più nobili sentimenti e relegando perfino le donne al ruolo di oggetti di consumo.
  • I colloqui con la morte
    Impressioni di guerra e novelle di trincera
    In questa raccolta di "impressioni di guerra e novelle di trincera" l'autore riversa, con crudo realismo, tutta l'esperienza dolorosa, straziante, del suo colloquio diretto con la morte e condanna con forza la guerra. La narrazione diviene poi corale, accomunando come protagonisti altri uomini, ma anche intense coraggiose figure femminili.
  • Così... per ridere
    Le trame e i personaggi di questi racconti sono un esempio riuscito di letteratura d’appendice e non si possono ravvisare in essi quegli elementi di idee “rivoluzionarie” che l’autore rivendica nella postfazione di avervi infuso.
  • Le girandole del sentimento
    [versi]
    Nella prefazione, Mariani presenta Le girandole del sentimento come un'opera definitiva, specchio della sua evoluzione di uomo e di artista, concepita nel momento in cui, dopo vent'anni, sente venir meno in sé l'ispirazione poetica.
  • Povero Cristo
    Romanzo
    In questo romanzo più evidentemente autobiografico, l’autore propone un modello ed esempio di ribellione che avviene in maniera nietzschiana ribaltando l’etica borghese su un piano di etica individuale, cioè tramite l’uccisione in sé dei padri, degli avi.
  • Ripugnanze e ribellioni
    Questa raccolta di racconti, pubblicata al momento della massima popolarità dell’autore, è il testo che forse maggiormente pone in evidenza la contraddizione, nella quale egli si sente coinvolto, tra il fatto che il pubblico si attende una letteratura d’evasione mentre il Mariani vorrebbe invece offrire una carica eversiva.
  • Il ritorno di Machiavelli
    Studi sulla catastrofe europea
    Scritto nel 1916, è il primo tentativo dell’autore di offrire al pubblico il proprio pensiero politico. Attraverso il recupero di Machiavelli, l’autore prospetta un’etica politica anziché umanitaria; l’impreparazione delle forze dell’Intesa – e soprattutto dell’Italia – non è stata solo nelle armi ma anche nello spirito.
  • Le sorelline
    Novelle
    Come in molti altri racconti di Mariani, protagoniste di queste novelle sono le prostitute, come personaggi puri e sinceri. Sono donne che spesso non hanno riconosciuti i loro diritti al lavoro e alla dignità; tra tutte le donne sono contemporaneamente le più schiave e le più libere.
 
autore:
Mario Mariani
ordinamento:
Mariani, Mario
elenco:
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