Memorie romanzate di Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta, boia dello stato Pontificio dal 1796 al 1864. Pubblicato a dispense dall’editore Perino nel 1891, prende spunto però dal taccuino scritto dallo stesso Bugatti, ritrovato da Alessandro Ademollo e stampato da Lapi, Città di Castello nel 1886. Si pensa scritto da Ernesto Mezzabotta, l’autore più prolifico del Perini, ma ufficialmente l’autore resta sconosciuto.
Dall’incipit del libro:
Esordii nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati. Giunto a Foligno incominciai a conoscere le prime difficoltà del mestiere: non trovai alcuno che volesse vendermi il legname necessario per rizzare la forca e dovetti andar la notte a sfondare la porta d’un magazzino per provvedermelo. Ma non per questo mi scoraggiai e in quattr’ore di lavoro assiduo ebbi preparata la brava forca e le quattro scale che mi servivano. Nicola Gentilucci frattanto, a due ore di notte, dopo avergli rasata la barba e datogli a vestire una candida camicia di bucato e un paio di calzoni nuovi, venne condotto coi polsi stretti da leggere manette, nella gran sala comunale, poiché volevasi dare la massima solennità all’esecuzione, stante la gravità del suo delitto, superiore a qualsiasi altro, trattandosi dell’uccisione di un curato e di due frati.

