Questo romanzo, pubblicato nel 1934 come supplemento alla rivista quindicinale “Novella”, estende un racconto dal titolo Niôminkas, amore negro, che la scrittrice Mura pubblicò nel 1930 sulla rivista “Lidel”. Il racconto tratta della passione tra una giovane vedova romana, Silvia, e un africano occidentalizzato, che vive e lavora in Italia, Sambadù Niôminkas; esso si conclude con il matrimonio tra i due. Nel romanzo invece, la vicenda viene riscritta, prosegue con la nascita di un figlio, e si conclude con la rottura del matrimonio tra i due protagonisti, motivata da un lato dalla ossessionante possessività di lui, dall’altro da riflessioni sul destino del figlio, non abbastanza “nero” per trovare posto nella tribù paterna, e non abbastanza “bianco” per la madre e per la sua famiglia. Silvia infatti dopo le nozze si chiede:
“Il sangue del mio bambino sarà inquinato dal sangue d’un’altra razza, e porterà in sé i germi selvaggi d’una tribù negra. Basterò io sola a dargli un’anima latina, a questa creatura che avrà nelle vene un sangue misto?”
Sambadù riprende i temi della negritudine, molto in voga all’epoca, e nel personaggio di Jo, artista di teatro africana, amica della coppia, adombra la figura della popolare soubrette Josephine Baker. Il romanzo fa parte dei cosiddetti “romanzi rosa”, letteratura per donne che si caratterizza per la presenza di grandi passioni e di finali emozionanti. Tra i romanzi rosa italiani si possono individuare un filone cosiddetto “pedagogico”, che conferma l’ideologia corrente di matrimonio e maternità alla base del tessuto sociale; ma anche un filone “trasgressivo” e pruriginoso, in cui si collocano molte opere di Mura e questa in particolare. E la trasgressione di Silvia non riguarda solo la sua scandalosa passione per un uomo di colore: la donna si ribella infatti all’imposizione del marito di rinunciare alla vita brillante, che conduceva prima del matrimonio, e si separa da lui, mantenendo però la custodia del figlio, che alleverà come “madre single” (diremmo oggi).
Il libro, pubblicato pochi mesi prima della guerra in Etiopia, capitò sulla scrivania di Mussolini che reagì immediatamente ordinandone il sequestro di tutte le copie, diffidando l’autore delle illustrazioni (Marcello Dudovich) e sequestrando perfino un giornale che l’aveva recensito favorevolmente (“La Voce di Mantova”). La ‘sfuriata’ del Duce avvenne alla presenza di due testimoni, il capo della Polizia Arturo Bocchini, e il barone Pompeo Aloisi, che ne fecero un dettagliato resoconto; probabilmente fu la copertina a colori, raffigurante una donna bionda in braccio ad un elegante uomo di colore, che scatenò la reazione del Duce. Con questo episodio iniziò una centralizzazione della censura fascista, in cui l’Ufficio Stampa del Capo del Governo doveva escludere l’eventuale presenza di “elementi contrari agli ordinamenti politici sociali economici dello Stato” prima di autorizzare la diffusione di ogni pubblicazione.
Le opere di Mura sono attualmente difficili da reperire, ragione di più per diffondere su Liber liber questa edizione digitale, priva però delle illustrazioni originali che sono ancora protette dal diritto d’autore. Un video di Andrea Kerbaker, per la serie “I libri fantasma”, è stato dedicato a questa opera: https://youtu.be/tTigEh7K0W0
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
— Aiuto!
Non ho potuto trattenere un urlo di invocazione. Poi, per qualche momento, non sono riuscita a ragionare. Prima ch’io trovi la forza e il tempo di chiudermi sulle spalle l’accappatoio che ho potuto afferrare con un miracolo di equilibrio, e mentre l’acqua della vasca trabocca ed allaga il pavimento, il mio vicino di camera, con una spallata, ha fatto cadere la porta di comunicazione, è salito senza esitare su uno sgabello, ed ha chiuso il rubinetto della conduttura.
Un silenzio immediato e meravigliato ci ha messi dinanzi, con gli occhi negli occhi: lui sgomento senza sapere il perché e tuttavia sorridente; io tutta tremante, con una gamba indolorita dall’urto contro il gruppo dei rubinetti del bagno, uno dei quali dev’essere ormai inservibile. Sono scivolata, non so perché, né come, proprio nel momento in cui con un piede ancora sospeso stavo per entrare nell’acqua.
Dal corridoio qualcuno bussa alla porta della camera. Poiché la mia sofferenza è così acuta da impedirmi qualsiasi gesto, faccio un cenno con gli occhi al grande uomo che mi guarda in silenzio, occupando tutto il vano della porta scardinata:
— La prego, io non posso muovermi!
E mi lascio cadere su una sedia contro la toilette, quasi svenuta, con i piedi nudi nell’acqua che si alza sul pavimento come un’alta marea, e sulla quale galleggiano le mie pantofoline di paglia giapponese: con tutte e due le mani premo l’accappatoio sulla gamba che mi fa male.

