Commemorazione di Carlo Darwin celebrata nel R. Istituto di studi Superiori in Firenze. Discorso pronunciato dal Prof. Paolo Mantegazza, Senatore del Regno, Firenze, Arte della Stampa, 21 maggio 1882
Dall’incipit del libro:
Perché, Signore e Signori, siamo oggi qui, raccolti tutti in uno stesso pensiero? Perché mai da più d’un mese in ogni paese del mondo civile un solo nome si mormora dalle labbra compunte al dolore? Perché mai i fili telegrafici di un piccolo e oscuro villaggio dell’Inghilterra non bastano a ricevere tutti i telegrammi di condoglianza che vi giungono da ogni parte? È morto un uomo, ma, a quanto si afferma, ad ogni batter di polso ne cade uno nella fossa, e a questo sempiterno funerale, che fa della vita una quasi intermittenza della morte, noi dovremmo esser avvezzi da tempo. Un uomo è morto, ma quest’uomo morto si chiama Carlo Darwin. Egli non era un re, non era un principe, non era neppure un barone: il suo nome non fu scritto col sangue nei solchi ardenti delle battaglie, né l’onda di un popolo ebbro di libertà o d’ira lo ha sollevato in uno di quei giorni che cambiano la storia; ma Darwin era un grande pensatore, e tutti noi che viviamo del pensiero e ad esso abbiamo consacrato le ore più innamorate della nostra vita, sentiamo di aver perduto qualcosa colla morte di lui. Questo consenso di rimpianti, questa concordia di dolori mi fa quasi superbo di esser uomo e mi persuade con angosciosa speranza, che se il trionfo del pensiero sopra tutte le altre forze della natura umana è ancora molto lontano da noi, lo vedranno però senza dubbio i figli dei figli nostri. Darwin era da molti e molti anni un faro acceso nel grande oceano dell’ignoto: a lui guardavano i discepoli per avvicinarlo, a lui guardavano gli avversarii per evitarlo; si poteva combattere quell’uomo, si poteva odiarlo, ma tacerlo era impossibile. Egli era entrato nell’ambiente della scienza universale, egli era nel cervello di tutti.


