Breve cantata a due, scritta in Vienna ed eseguita privatamente in corte l’anno 1754 d’ordine dell’imperator Francesco I, desideroso di far prova della distinta voce di basso d’un suo confidente domestico.
Dall’incipit del libro:
POL.
Deh tacete una volta,
Garrule ninfe. A che narrarmi ognora,
Barbare, i torti miei? Qual inumano
Diletto mai nel tormentarmi avete?
Galatea d’Aci è amante, il so; tacete.
Ma l’empia del mio duolo
Non riderà gran tempo. Eccola. Oh dèi!
Quel volto sì mi alletta,
Ch’io mi scordo l’offesa e la vendetta.
Mio cor, tu prendi a scherno
E folgori e procelle,
E poi due luci belle
Ti fanno palpitar.
Qual nuovo moto interno
Prendi da quei sembianti?
Quai non usati incanti
T’insegnano a tremar?
Galatea, dove fuggi? Ah senti, ah lascia
Quell’onde amare. E qual piacer ritrovi
Fra procellosi flutti
Sempre a guizzar? La tua beltà non merta
Di nascondersi al sol. Ne temi forse
Gli ardenti raggi? All’ombra mia potrai
Posar sicura. Io lusingar col canto
Voglio i tuoi sonni; e se d’amor non soffre
Ch’io ti parli, o tiranna, il tuo rigore,
Il giuro a te, non parlerò d’amore.

