Dall’incipit del libro:
TEMIS. Che fai?
NEOC. Lascia ch’io vada
Quel superbo a punir. Vedesti, o padre,
Come ascoltò le tue richieste? E quanti
Insulti mai dobbiam soffrir?
TEMIS. Raffrena
Gli ardori intempestivi. Ancor supponi
D’essere in Grecia, e di vedermi intorno
La turba adulatrice,
Che s’affolla a ciascun quando è felice?
Tutto, o Neocle, cambiò. Debbono i saggi
Adattarsi alla sorte. È del nemico
Questa la reggia: io non son più d’Atene
La speranza e l’amor. Mendico ignoto,
Esule, abbandonato,
Ramingo, discacciato,
Ogni cosa perdei: sola m’avanza,
E il miglior mi restò, la mia costanza.
NEOC. Ormai, scusa, o signor, quasi m’irrìta
Questa costanza tua. Ti vedi escluso
Da quelle mura istesse
Che il tuo sangue serbò; trovi per tutto
Della patria inumana
L’odio persecutor che ti circonda,
Che t’insidia ogni asilo, e vuol ridurti
Che a tal segno si venga,
Che non abbi terren che ti sostenga:
E lagnar non t’ascolto!
E tranquillo ti miro! Ah! come puoi
Soffrir con questa pace
Perversità sì mostruosa?


