Traduzione di Antonio Garibaldo Quattrini.
Dall’incipit del libro:
Il rigoroso concetto dell’unità e della onnipotenza del comune in tutte le pubbliche occorrenze, concetto che forma il cardine di tutte le costituzioni italiche, dava in mano all’unico capo della repubblica, eletto a vita, un’autorità quasi sconfinata, i cui effetti erano certo formidabili sui nemici esterni, ma pesavano non meno duramente sui cittadini. Da ciò gli abusi e gli eccessi a cui seguivano, come effetti inevitabili, gli sforzi per segnare un limite a quel potere. Ma quel che vi ha di mirabile in questi tentativi di riforma e in questi rivolgimenti politici si è, che mai si ebbe in animo nè di limitare il potere dello stato, nè di privarlo del necessario organismo, e che non si tentò mai di far prevalere di fronte al comune i così detti diritti naturali dell’individuo; tutta la tempesta si riversava unicamente contro la forma della rappresentanza comunale. In Roma il grido del partito progressista dal tempo dei Tarquini sino al tempo dei Gracchi non è dunque la limitazione del potere dello stato, ma solo la limitazione del potere dei magistrati, e anche mirando a questo scopo mai non si dimenticò che il popolo non deve governare bensì dev’essere governato.




