Vincenzio Martinelli nacque a Montecatini nel 1702. Assecondando la tradizione familiare, si laureò in legge nell’Università di Pisa, dove entrò in contatto con i principali esponenti dell’intellettualità che avrebbe dato un contributo essenziale al rinnovamento politico e sociale della Toscana nel passaggio dalla dinastia dei Medici a quella dei Lorena, frequentando fra gli altri Luca Corsi, Giovanni Lami, Angelo Malvolti, Pompeo Neri, Antonio Niccolini, e soprattutto Antonio Cocchi e Bernardo Tanucci.

Al termine degli studi risiedette qualche tempo a Venezia, e lì diede alle stampe nel 1729 la commedia Filizio medico che, sebbene lodata da Scipione Maffei, quando giunse sulle scene si risolse in un clamoroso fiasco, che lo fece desistere da ogni ulteriore cimento nella scrittura teatrale.

Tornato a Firenze rinsaldò diverse pregresse amicizie, in specie col Cocchi e il Tanucci. La chiamata di costui alla corte di Napoli come ministro, in concomitanza con la nascita dello stato borbonico sotto Carlo III e col collaborativo afflusso di intellettuali nel nuovo regno fece sperare al Martinelli un impiego adeguato alla posizione privilegiata goduta dal Tanucci, suo benevolo protettore e del quale era stato tra i primi allievi nell’ateneo pisano. Nel 1738 si stabilì perciò a Napoli, senza però progredire oltre le mansioni di routine presso la Segreteria di Stato.

Dopo una frustrante attesa di sette anni che causò più di un attrito col Tanucci, trascorsi alcuni mesi a Roma, nel 1746 raggiunse Venezia e da lì si imbarcò alla volta dell’Olanda al seguito del conte Giuseppe Finocchietti, nuovo ambasciatore del regno napoletano nei Paesi Bassi. Vi arrivò sul finire del 1747, ma la perdurante e insoddisfatta ricerca di una sistemazione che gli garantisse visibilità e indipendenza lo indusse l’anno dopo a passare in Inghilterra, nazione che gli era più familiare grazie anche alla sua buona padronanza della lingua inglese.

Ammiratore delle istituzioni inglesi, e di spirito amabile e socievole, il nuovo arrivato non tardò a introdursi nell’ambiente dell’alta aristocrazia, e a stringere amicizia con nomi illustri, fra cui Charles Townshend, suo primo mecenate, al quale nel 1752 dedicò la Istoria critica della vita civile (peraltro composta nel periodo napoletano), che incontrò vivo successo: nei propositi dell’autore avrebbe dovuto essere una sorta di vademecum morale con l’intento educativo di insegnare le buone maniere comportamentali e insieme una storia della convivenza sociale con digressioni sui costumi e sulla cultura europea contemporanea, oltre che sui viaggi, un tema allora ricorrente.

Due altri rilevanti mecenati si rivelarono successivamente Horace Walpole conte di Orford, al quale nel 1758 vennero dedicate le Lettere familiari e critiche; e Odoardo, fratello del re Giorgio III e duca di York, dedicatario della nuova edizione emendata ed accresciuta della Istoria critica, apparsa nel 1764.

Nella lunga permanenza in Inghilterra il Martinelli svolse un’articolata attività di divulgatore della lingua e delle lettere italiane presso l’élite inglese (alla quale non si peritava di impartire egli stesso lezioni di italiano a pagamento), illustrandole soprattutto attraverso le opere di Dante, Boccaccio e Ariosto, e promuovendole anche in veste editoriale, a compimento di un’idea che aveva concepito già nel breve soggiorno in Olanda, quando aveva dato alle stampe il Principe del Machiavelli. In particolare, l’interesse per il Boccaccio si concretizzò nel 1762 con una elegante edizione del Decamerone (poi ristampata nel 1766), che gli valse la nomina a membro della prestigiosa Royal Society of Antiquarians, il solo titolo ufficiale conferitogli durante la permanenza in Inghilterra; quanto a Dante, nel 1768 fu la volta della Divina Commedia curata in collaborazione con l’abate Marrini nella collana parigina dei Classici italiani del Prault, che avrebbe conosciuto una seconda edizione dieci anni dopo.

Verso il 1770 il Martinelli si volse più decisamente alla storiografia. Esaudendo l’esortazione del Corsi a scrivere una storia d’Inghilterra, nonostante la salute precaria, vari problemi d’ordine economico e l’età avanzata, tra il 1770 e il 1773 pubblicò in tre grossi volumi l’Istoria d’Inghilterra fino all’età di Giorgio I, che dedicò a Thomas Walpole. Avrebbe dovuto completarla, ma l’opera non piacque, sia perché privilegiava troppo gli aspetti istituzionali, sia perché le qualità del letterato prevalevano sulla stoffa dello storico, sia soprattutto perché il suo pubblico, di per sé ben disponibile a recepire e apprezzare quanto egli andava proponendo e divulgando in merito alla cultura e alla storia letteraria italiana, non era altrettanto disposto ad accettare che le vicende dell’Inghilterra venissero narrate da chi non c’era nato e in una lingua diversa dall’inglese. Le critiche, che trovarono fertile terreno nell’ambiente accademico, non tardarono a materializzarsi nell’accusa di plagio facendogli mancare i sottoscrittori per il proseguimento del lavoro, e nel 1775 indussero un amareggiato Martinelli a ritornare in Toscana: tranne una breve parentesi passata in Italia nel 1764, era stato in Inghilterra per quasi un trentennio, e la lasciava in un momento difficile, alle prese con una pesante recessione economica dopo la guerra dei Sette anni, e ormai prossima a misurarsi militarmente con le riottose colonie americane.

A Firenze trovò un ambiente culturale aperto e interessato alle vicende storiche del colonialismo europeo che la rivoluzione americana aveva portato alla ribalta, ma sulla quale difettava di conoscenze informate; decise così di continuare la storia d’Inghilterra fino ai giorni suoi, riprendendola da dove le stroncature ricevute al di là della Manica lo avevano fatto smettere. Frutto di questa fatica fu l’Istoria del governo d’Inghilterra e delle sue colonie in India e nell’America settentrionale, uscita nel 1776 e dedicata al principe Lorenzo Corsini: il successo fu immediato, talché appena l’anno dopo se ne approntò un’altra edizione, e il granduca Pietro Leopoldo, sensibile agli avvenimenti americani, su istanza dello stesso dedicatario gli affidò allora l’incarico di scrivere la Istoria della famiglia Medici, salvo poi disapprovare il modo di procedere seguito dal vecchio e malato Martinelli, che comunque riuscì infine a terminare l’opera senza tuttavia vederla pubblicata.

Morì a Firenze il 19 maggio 1785.

Dopo la scomparsa scese il silenzio sulla sua produzione, e niente venne più ristampato. In realtà, lui vivente solo il Baretti ne aveva avvertito la posizione innovativa nel panorama dell’illuminismo letterario nostrano, cogliendo nella lunga permanenza inglese la singolarità di un’esperienza che lo rendeva ai propri occhi un letterato veramente moderno.

Per la riscoperta dell’uomo, del viaggiatore e dell’intellettuale si sarebbero però dovute attendere le pagine di Benedetto Croce, che attorno alla metà del secolo scorso ne delineò un profilo rimasto sostanzialmente tuttora valido. Ne è emersa l’immagine di un pensatore di non eccelse doti speculative, ma acuto e dotato di quello spirito critico e insieme pratico che contraddistingue le figure più complete dei letterati e viaggiatori italiani del XVIII secolo, anche se nel suo caso i meriti del letterato sovrastano quelli di un viaggiatore che in definitiva non allargò la visuale oltre il territorio anglosassone e specificamente all’ambiente londinese, d’altronde descritto col sobrio distacco di uno straniero naturalizzato più che con l’entusiasta curiosità investigativa di chi intende scoprire e divulgare cose nuove. In confronto, i meriti del letterato appaiono senz’altro maggiori e non privi di originalità: il Martinelli fu infatti tra i primissimi se non il primo a divulgare la conoscenza della lingua e delle lettere italiane in Inghilterra, e per converso, a far conoscere agli italiani le vicende storiche del mondo anglosassone, esponendole per la prima volta in italiano; e, ancora, fu tra i pochi illuministi patrii a fare della letteratura nazionale un argomento di vivace polemica nei confronti della critica letteraria straniera, ma specialmente nei riguardi di Voltaire, un gigante allora intoccabile, del quale mise in luce, confutandoli, i giudizi gratuiti e malevoli su Dante.

Il nucleo del suo pensiero e dell’attività da lui svolta in Inghilterra è affidato alle cinquantanove Lettere familiari e critiche, che nel titolo sintetizzano efficacemente i due filoni in cui idealmente si suddividono: le lettere “familiari” (nell’accezione ciceroniana di epistole destinate a conoscenti e amici, e non solo ai parenti) trattano argomenti per lo più di ordinaria quotidianità, affrontati sovente col piglio dell’aneddoto e della facezia; le lettere “critiche” si conformano invece al tono compassato e compiaciuto, ma spesso appassionato, dell’uomo di cultura impegnato a sostenere le proprie idee nelle dispute letterarie e intellettuali del tempo. Nelle une e nelle altre l’innata vena polemica toscana, un buon senso di stampo napoletano e un misurato fair play anglosassone convergono nel dar luogo a una scrittura personalissima, e giustificano la ragione per cui le Lettere familiari e critiche restano oggi la sola opera veramente rappresentativa della produzione del Martinelli.

Bibliografia

Per la valutazione critica del Martinelli il punto di avvìo è costituito dall’articolo di B. Croce, Un letterato italiano in Inghilterra: Vincenzio Martinelli, nella sua raccolta di saggi La letteratura italiana del Settecento, Bari 1949, pp. 257-273.

La biografia più esauriente anche nel corredo bibliografico (soprattutto per i rapporti con l’ambiente toscano) è adesso quella fornita da C. Sodini nel Dizionario biografico degli Italiani, 71, Roma 2008, pp. 133-136 (ma sono ancora utili i più rapidi profili in E. Bonora, Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, Napoli 1951, pp. 878-880 e nel Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, 3, Bari – Roma 1967, p. 531).

La posizione che gli compete nel panorama dell’illuminismo italiano ed europeo è delineata da F. Venturi, Settecento riformatore, III, Torino 1979, pp. 388-396.

Un’edizione critica delle Lettere familiari e critiche è stata curata recentemente da C. di Donna Prencipe (Salerno 2006), dalla cui introduzione si sono soprattutto attinte le informazioni essenziali per redigere queste note biografiche.

Note biografiche a cura di Giovanni Mennella

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Lettere familiari e critiche
    Una raccolta epistolare non proprio in linea con i gusti di un secolo in cui l’italianità sfumava nella visione di un cosmopolitismo del quale il Martinelli fu convinto sostenitore ma anche critico consapevole di eccessi e conformismi, e che gli valse un lungo oblio prima che Benedetto Croce riscoprisse i meriti dell’uomo e il valore dell’opera.
 
autore:
Vincenzo Martinelli
ordinamento:
Martinelli, Vincenzo
elenco:
M