In questa raccolta di poesie, pubblicata nel 1930, Ada Negri medita sulla propria fine, e compie quasi una rivisitazione della propria vita, dall’infanzia riscaldata dall’amore materno, alle speranze della giovinezza, alle ferite che la vita le ha inferto, per approdare ad un ultimo sofferto momento in cui, nella sua dolorosa solitudine, trova conforto nella fede religiosa. Questo le consente di guardare alla morte come a un prosieguo della vita, interpretandola come una trasformazione malinconica ma dolce, e di vedere attraverso le opere della natura, dai fili d’erba ai fiori ai frutti, la metafora di questa trasformazione.
Sinossi a cura di Catia Righi
Dall’incipit del libro:
Anche quest’anno andrai per vïolette
lungo le prode, nel febbraio acerbo.
Quelle pallide, sai: che han tanto freddo,
ma spuntano lo stesso, appena sciolte
l’ultime nevi; e fra uno scroscio e un raggio
ti dicono: – Domani è Primavera.
Ogni anno tu confidi al tuo tremante
cuore: – È finita: – e pensi: – Non andrò
per vïolette: non andrò mai piú
per vïolette – ché passò il mio tempo –
lungo le prode, nel febbraio acerbo.
Invece (e donde ignori, e da qual bocca)
una voce ti chiama alla campagna:
e vai; e i piedi ti diventano ali,
sí alta è la promessa ch’è nell’aria.
E per ancor dell’esili corolle
quasi senza fragranza, ma beate
d’esser le prime, avidamente schiacci
con gli steli la zolla entro le dita.

