Francesco Saverio NittiFrancesco Saverio Nitti nacque a Melfi il 19 luglio 1868 in una modesta famiglia della piccola borghesia meridionale. Il padre Vincenzo era professore di matematica e agente demaniale, la madre si chiamava Filomena Coraggio. Vincenzo Nitti fu garibaldino, politicamente orientato verso posizioni repubblicane ma non nascondeva la sua simpatia per il socialismo internazionalista.

Francesco Saverio Nitti frequentò il liceo ginnasio Salvator Rosa, annesso al convitto nazionale di Potenza, e nel 1882 si trasferì a Napoli per conseguire la licenza ginnasiale. Proseguì gli studi da autodidatta al di fuori di una regolare frequenza scolastica mantenendosi grazie a lavori saltuari come correttore di bozze e altro. Potè fare questo percorso anche grazie ad alcuni amici e conoscenti del padre come Giovanni Bovio, Ettore Ciccotti e, soprattutto, Giustino Fortunato che su di lui ebbe notevole influenza per quel che riguarda la formazione culturale, intellettuale e l’indirizzo politico. Nel 1886 si iscrisse all’università, facoltà di Legge. Nello stesso anno, avendo Edoardo Scarfoglio fondato il “Corriere di Napoli”, iniziò a lavorare nella redazione del giornale; contemporaneamente si andava avvicinando con più convinzione alla tradizione moderata, ispirandosi, oltre che al pensiero di Giustino Fortunato, alle idee sociologiche ed economiche della scuola germanica che erano il retroterra della cosiddetta legislazione sociale di Bismack.

Si laureò a luglio del 1890 con la tesi Il socialismo cattolico che venne pubblicata, con numerose aggiunte e approfondimenti, nel 1891; il lavoro fu apprezzato tanto da essere tradotto in tempi rapidi in inglese, francese e spagnolo.

Grazie anche alla conoscenza e il fitto rapporto epistolare con Achille Loria – anche quest’ultimo ebbe grande influenza sul giovane Nitti – approdò alla collaborazione con la rivista “La Scuola Positiva” divenendo responsabile della sezione economica della stessa. Il suo orientamento positivista lo condusse alla collaborazione con diverse riviste europee ascrivibili a quel settore del pensiero. Nel 1892 divenne redattore di “Il Mattino”; a maggio di quell’anno Giolitti, che era punto di riferimento di questo giornale, assunse la guida del governo dopo la caduta del ministero Di Rudinì. In questa fase Nitti si risolse ad appoggiare in maniera più netta le posizioni radical-democratiche, proponendo l’espansione produttiva in parallelo a un rafforzamento della solidarietà sociale e in opposizione alle posizioni conservatrici delle classi privilegiate che appoggiavano il ceto politico dominante, ma sempre lontano e in contrasto con le posizioni del socialismo rivoluzionario. Nel maggio del 1893 pervenne alla libera docenza di economia politica.

Divenuto nel 1894 direttore di “Riforma Sociale” fece progredire il livello qualitativo della rivista portandola a non sfigurare al confronto delle più importanti pubblicazioni europee del settore ospitando studi d’avanguardia e molto interessanti nell’ambito dell’economia sociale, ma anche di statistica, politica, sociologia. Nel 1895 ottenne la cattedra di economia e statistica nella scuola superiore di agricoltura di Portici. Nel 1898 sposò Antonia Persico, figlia di un noto giurista, dalla quale ebbe cinque figli. Nel 1899 venne nominato professore di scienza della finanza e diritto finanziario all’università di Napoli.

Nonostante i suoi interessi politico-economico-culturali andassero allargandosi ai problemi delle banche e del lavoro, non veniva meno il suo impegno meridionalista. Nel 1903 veniva infatti pubblicato Napoli e la questione meridionale, testo nel quale affrontò in maniera vigorosa e polemica il problema dei rapporti tra il meridione d’Italia e il resto del paese. Forse anche grazie a questo suo lavoro fu eletto deputato nel 1904 nel collegio di Muro Lucano dimostrandosi subito insoddisfatto della politica giolittiana per il sud, politica fatta di inseguimento a piccoli interessi locali e particolaristici finalizzati, come spesso è continuato ad accadere, al mantenimento del consenso elettorale e non certo alla promozione di interventi strutturali. Comunque nel 1904 venne approvata la legge speciale da lui approntata. Nel 1907 diede corpo alla sua idea di riforme nel saggio Il partito radicale e la nuova democrazia industriale.

C’erano tuttavia elementi di convergenza con il riformismo di Giolitti e infatti quest’ultimo inserì Nitti nella sua formazione ministeriale al suo quarto gabinetto nel marzo 1911 affidandogli il ministero di agricoltura industria e commercio. Nitti riuscì in maniera piuttosto efficace a far convivere le proprie solide posizioni di positivista empirico con quelle più oscillanti del riformismo giolittiano; giunse nell’aprile 1912 alla costituzione dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che fu il primo ente pubblico di gestione. Contemporaneamente però avviò il processo di modernizzazione produttiva del Mezzogiorno basandosi in gran parte su forze imprenditoriali private, in primo luogo sulle società elettriche. Su questa base sorse il “Lago Nitti” – come fu successivamente ribattezzato – opera idraulica grazie alla quale fu possibile la fornitura di energia elettrica ai nascenti stabilimenti e opifici della zona, come esaurientemente spiegato da Francesco Barbagallo nei suoi testi dedicati alla figura di Nitti.

Nel 1913 venne rieletto deputato nuovamente nel collegio di Muro Lucano con consenso plebiscitario. Ma la posizione del partito radicale riguardo al cosiddetto Patto Gentiloni (accordo elettorale tra liberali e cattolici finalizzato a contrastare i possibili successi elettorali socialisti in seguito all’estensione del suffragio maschile che divenne praticamente universale in quell’anno) lo indusse alle dimissioni e a fare vita ritirata rispetto alle vicende politiche. Di questa sua prima esperienza ministeriale resta anche, a tutt’oggi, la creazione dell’istituto zootecnico di Bella (PZ) importante centro di studio e ricerca oggi conosciuto come “Tenuta Bella”, che ha esteso i suoi campi di ricerca anche all’acquacultura. In pratica non prese parte alla vita politica fino al 1917.

Convinto della possibile sconfitta degli Alleati, rientrando con il ruolo di ministro del tesoro nel governo Orlando, plasmò la propria azione in vista di una trattativa di pace nel ruolo di sconfitto. Fu comunque attivissimo sui temi della ripresa economica. La sua difficoltosa lettura degli avvenimenti (culminata in seguito con la sottovalutazione della funzione totalitaria e pervasiva del nascente fascismo) si manifestava già quando contrastava la posizione degli alleati che sollecitavano la decisa azione bellica italiana; Nitti temeva che questa avrebbe scatenato una controffensiva austriaca devastante per il fronte italiano. La vittoria nella prima guerra mondiale giunse per lui inaspettata.

Nel 1919, in contrasto con Orlando e Sonnino si dimise, ma nel giugno dello stesso anno formò il suo ministero, assumendosi anche la titolarità del ministero dell’interno. La sua politica prevedeva accordo e collaborazione tra capitale e lavoro in vista della ripresa produttiva postbellica. Anche l’azione di D’Annunzio fu per lui una sorpresa. La linea dura che avrebbe volentieri scelto era però poco praticabile. La nuova legge elettorale, proporzionale, portò alla sconfitta dei liberali nel 1919. Confermato comunque al governo, cercò di risolvere la questione fiumana e assunse nei fatti anche se non formalmente la politica estera; ebbe l’appoggio di inglesi e francesi ma non trovò l’accordo con la Jugoslavia. Il trattato di Versailles lo vide decisamente critico, e Nitti puntò a un tentativo di revisione internazionale del trattato. La poca forza elettorale conseguita non consentì comunque di seguire un programma organico in linea con i propri convincimenti riformatori. Nel marzo del 1920 procedette a un rimpasto di governo.

La situazione interna si andava facendo sempre più conflittuale e Nitti si trovava da un lato ad assumere un ruolo di repressore a tutela della borghesia, che era però insoddisfatta per un “ordine” che non veniva restaurato e per gli scontri sempre più intensi tra forze politiche, sindacali e di classe. Questo lo condusse a nuove dimissioni a maggio. Dopo pochi giorni costituì un nuovo ministero che si dissolse il 9 giugno prima ancora di aver ottenuto la fiducia. L’abolizione del “prezzo politico” del pane era stato innesco di ulteriori scontri durissimi, la situazione era ormai tesissima e tutti erano contro Nitti. Gli stessi nazionalisti gli rimproveravano aspramente l’amnistia per i disertori.

Durante le elezioni del 1921 Nitti divenne bersaglio della rafforzata violenza fascista; nonostante questo fu rieletto, rimanendo in pacata attesa durante il traballante governo Facta. Il suo progetto rimaneva quello di emarginare Giolitti e di dar vita a un governo che comprendesse i partiti con seguito di massa e fosse basato anche su un accordo con Mussolini; idea che sostenne fino all’estate del 1922 pur rimanendo appartato nella sua residenza di Acquafredda.

Come altri esponenti del liberalismo italiano Nitti non seppe avere una valutazione lucida dell’incombente fenomeno del fascismo. Dopo il 28 ottobre 1922, data della marcia su Roma, Nitti si rifiutò di riconoscere la legittimità di un governo nato da violenza al di fuori delle istituzioni e smise di partecipare ai lavori parlamentari. Tornò a Roma nel novembre del 1923, ma le azioni delle squadracce culminate con l’assalto e la devastazione della sua abitazione il 29 novembre, azioni ispirate direttamente da un Mussolini determinato a rendergli impossibile la permanenza a Roma, lo convinsero a lasciare l’Italia. Gli fu concesso il passaporto nel maggio 1924 e all’inizio di giugno già si trovava a Zurigo con la famiglia. Era ancora convinto di poter tornare presto al governo in Italia. La sua critica dura al regime fascista iniziò il 5 marzo 1925 quando scrisse al re mettendo in risalto le responsabilità della monarchia connivente con il regime liberticida ormai in via di stabile consolidamento.

All’estero, dapprima a Parigi e poi dal 1939 a Carnac in Bretagna, proseguì la sua attività antifascista con numerosi viaggi e conferenze in Europa e anche in America Latina. Tornò poi a Parigi e si trasferì a Tolosa dove, nell’agosto del 1943, fu arrestato dalle SS e deportato in Tirolo. Rientrò in Italia i primi giorni del maggio 1945. Insieme a Croce, Bonomi e Orlando diede vita all’Unione democratica italiana. Fu eletto all’Assemblea Costituente e fu poi senatore di diritto.

Ancora una volta incapace di comprendere le dinamiche del cambiamento sociale, estraneo come era stato alle guerre di resistenza e di liberazione, maturò una generica e sterile opposizione al sistema dei partiti appoggiando di fatto le posizioni avanzate dal giornale, poi fronte e infine partito dell’«Uomo Qualunque» di Guglielmo Giannini. Insieme a quest’ultimo diede vita con la sua Unione della Ricostruzione al Blocco nazionale partecipando alle elezioni politiche del 1948.

Nel 1947, alla caduta di un governo de Gasperi, fu incaricato dal presidente De Nicola di costituire un nuovo governo, ma il tentativo fallì per i veti incrociati provenienti da Democrazia Cristiana, Saragat e dallo stesso Orlando. La sua ultima iniziativa politica fu nella primavera del 1952 partecipando come leader di una lista cittadina alle elezioni amministrative. La presenza della formazione politica Alleanza Democratica Nazionale, la cui fondazione fu anche da lui ispirata poco prima della morte, tramite la presenza e l’attività del figlio secondogenito Giuseppe, contribuì ad impedire la possibilità dell’attribuzione del premio di maggioranza alla DC previsto dalla famigerata “legge truffa” nelle elezioni del 7 giugno 1953.

Morì a Roma il 20 febbraio 1953. Tra la sua monumentale produzione di opere ricordiamo, per il suo interesse in relazione alle politiche meridionaliste, Nord e Sud del 1900; per testimoniare della sua visione al momento dell’ascesa fascista La decadenza dell’Europa. Le vie della ricostruzione (1922); del 1927 è l’interessante Bolscevismo, fascismo e democrazia; per un quadro della sua personalità e per la “summa” del suo pensiero ricordiamo Meditazioni dall’esilio del 1948 e Meditazioni e ricordi del 1953.

Fonti:

  • A. Berselli, voce Nitti, Francesco Saverio, in GDE, Torino 1992.
  • F. Barbagallo, Francesco S. Nitti. Torino 1984. https://archive.org/details/francescosnitti0000barb/page/n9/mode/2up
  • F. Barbagallo, Francesco Saverio Nitti, europeismo e meridionalismo. Bari 1985.
  • F. Rizzo, Francesco Saverio Nitti e il Mezzogiorno. Roma, 1960.
  • P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920). Milano 1959.
  • AA.VV. Cento anni del governo guidato da Francesco Saverio Nitti. Roma, Biblioteca del Senato 2019.
    https://archive.org/details/i-cento-anni-del-governo-guidato-da-francesco-saverio-nitti/mode/2up

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Eroi e briganti
    L’ambito di analisi di Nitti è il meridione. L’eroe è frutto per lui dello scarso spirito di solidarietà e di un basso livello culturale; per questo le azioni che dovrebbero scaturire da una coscienza collettiva sono state tentate da uno solo. Il brigantaggio è esaminato nella sua fase preunitaria, molto poco studiata.
  • Sui moti di Napoli del 1820
    Conferenza
    In questa conferenza, tenutasi nel 1897, Nitti condanna l'inconsistenza materiale e culturale del Mezzogiorno, il sovrano borbonico, i vertici dell'apparato statale, dell'esercito e degli ambienti di corte, e l'estrema debolezza dell'élite postasi alla testa della rivoluzione.
  • La trasformazione sociale
    Conferenza
    In questa conferenza del 1897, Nitti analizza l'impatto della Rivoluzione Francese in Italia, secondo la sua opinione meno violento di quanto sia avvenuto in Francia, perché il sistema feudale era già in declino nella penisola, tranne che nel Mezzogiorno. L'autore analizza poi la rivoluzione napoletana del 1799 e conclude che la Rivoluzione Francese contribuì a diffondere in Italia nuove idee e a risvegliare la coscienza nazionale.
 
autore:
Francesco Saverio Nitti
ordinamento:
Nitti, Francesco Saverio
elenco:
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