Trascrizione in lingua toscana e veneta del ‘400 di un originale latino del decimo secolo. In allegato anche la versione latina dell’opera, copiata da un manoscritto del X-XI secolo della biblioteca municipale di Alençon, e proveniente dall’Abbazia di Saint Evroult. Si ringrazia Mr. Guy Vincent, delle Edizioni Carâcara, che ha pubblicato il testo sul suo sito (con traduzione francese), insieme a un ricco apparato critico in lingua francese.
Dall’incipit del libro:
Messere San Brandano fu figliuolo di Silocchia, nipote di Alchi della schiatta di Cogni, d’una contrada ch’à nome Stagno, e si nacque in Temenesso. Egli fu uomo di gran penitenzia e astinenzia, e pieno di molte virtù, e fu abate ben di tremila monaci o circa, e stava innu lluogo el quale era chiamato el munistero di San Brandano, e stando egli nella sua penitenzia, una fiata, all’ora di vespro, e’ venne a llui un santo padre, el quale era monaco, ed aveva nome [Barinto] ed era suo nipote. El detto San Brandano lo domanda di molte cose, volende sapere dov’egli era stato e s’egli aveva veduto o sentito alcuna novella strania, e stando in queste parole el detto [Barinto] cominciò a llagrimare, e gittòssi in terra, e stette assai così divotamente in orazione. Essendo quasi strangosciato, e San Brandano el prese e levòllo suso, e diègli la pace dicendogli così: “O santo padre perché se’ tu così tristo e così pensoso? Credete voi che noi siamo dolenti della vostra venuta? Voi potete ben pensare che noi abbiamo grande allegrezza della vostra venuta, e perciò dovresti dare a piacere a tutti noi, e mostrare consolazione, e ffare carezze a tutti i frati di questo luogo. Piacciavi di dire alcuna buona parola di Dio e pascere le nostre anime di quegli miracoli che voi avete veduti e uditi in quelle parti del mare ove voi siete stato”. E in quella ora quando ave rivo di dire le parole, el de tto Barinto comincia a dire d’una isola […] apresso d’un’altra ch’à nome Lapisilia, la quale isola è molto morbida e diliziosa, e ivi istette un gran tempo, e a me fu detto ch’egli avevano dimolti monaci alla sua ubidienzia, e dimostrava Iddio per lui di molti miracoli e di belle cose. Io andai a llui per vederlo, essendo appresso del suo luogo, e egli venne da me per ispazio di tre dì co’ suoi frati e per questo io so bene che Iddio gli rivela la mia venuta. E ‘l nostro andare era in nave, e andando noi in quella predetta isola, di diverse parti ci venne incontro molti frati, volli dire monaci, vestiti di diverse guise, ed era più spesse le sue compagne che non le ave del mele, e avegna che fossono di diverse parti del mondo e di diversi vestimenti, tutti erano buoni e savi in una fede in una speranza e in una carità e avevano una chiesa nella quale tutti si ragunavano a ffare loro uficio di Dio, e non mangiavano altro che pane e noci e radici d’alquante erbe. E questi frati avendo cantata divotamente la c ompieta, ciascuno se n’andava alla sua cella e stava in orazione insino al primo sonno, e quando i galli aveano cantato, allora andavano a posare. E noi cercammo tutta l’isola, e questo mio figliuolo mi menò allo lido del mare ch’è contra a occidente, e iv i era la sua nave, e disse a me: “E’ mi pare meglio d’entrare in nave e navicamo verso levante acciò che noi possiamo andare a [quella terra] di promissione, la quale Iddio diede a’ nostri successori dietro a noi”.


