Tommaso Natale nacque a Palermo nel 1733, primogenito di Domenico, marchese di Monterosato e discendente di una agiata famiglia mercantile di Cosenza. Nell’apprendistato letterario fu seguito dallo zio paterno Giovanni, un eccellente ellenista, e nello studio della filosofia, verso il quale più volentieri inclinava, ebbe la prestigiosa guida di Nicolò Cento, autorevole esponente dell’élite culturale palermitana che dalla metà del Settecento si adoperava per divulgare in Sicilia le dottrine leibniziane.
L’esordio nell’ambiente culturale avvenne a 19 anni, quando, nell’Accademia del Buongusto di cui era socio, tenne a Palermo l’Orazione funebre in morte del sacerdote Giuseppe Natoli (Palermo 1752), ecclesiastico che si era distinto nell’assistenza prestata alla popolazione messinese durante la peste del 1743. La notorietà giunse però quattro anni dopo, col primo tomo dell’opera La filosofia leibniziana esposta in versi toscani (Palermo 1756), che dedicò agli Accademici di Lipsia di religione protestante e fu presto impugnato dai gesuiti, ostili al propagarsi nell’isola di dottrine avverse alla scolastica e tanto più se enunciate da filosofi come il Leibniz. Condannato nel 1758 dal tribunale del Sant’Uffizio, che costrinse l’autore a ritrattare e a fare pubblica dichiarazione di ortodossia cattolica, il libro si apprezzava per il rigore delle argomentazioni che riflettevano l’impostazione dottrinale del Cento, oltre che per la sua chiarezza espositiva; avrebbe dovuto essere il primo di cinque tomi di un trattato introduttivo al pensiero leibniziano, se la sanzione non avesse impedito al Natale di proseguire oltre il volume iniziale, che poté diffondersi solo nel 1782, con la soppressione del tribunale del Sant’Uffizio in Sicilia.
Forse per lo scandalo suscitato e per il preclusivo atteggiamento tenuto dai gesuiti nei suoi confronti, nel 1758 il Natale si trasferì per qualche tempo a Napoli, dove si accostò ad altre esperienze culturali, e in particolare allo studio dello Spinoza e del Pope. In quel vivace clima intellettuale estese la sua conoscenza nel campo giuridico e della filosofia del diritto, che nel 1772 gli consentì di dare alle stampe a Palermo le Riflessioni politiche intorno all’efficacia e necessità delle pene, indirizzandole in forma epistolare all’amico giurista Gaetano Sarri. Il libro gli assicurò una risonanza che si diffuse oltre i confini siciliani, e tuttora lo colloca fra i pensatori illuministi che nella seconda metà del XVIII secolo più si prodigarono per un radicale rinnovamento del diritto penale.
Al ricorrente interrogativo per cui i delitti continuino a non diminuire, nonostante l’indubbia severità della legislazione e le frequenti esecuzioni capitali, il Natale risponde che l’efficacia delle pene non dipende dalla loro severità né dal frequente ricorrervi, bensì dall’equilibrio nell’infliggerle. Su questo principio fondante, dapprima egli si sofferma sullo scopo della pena e poi sulle modalità della punizione, insistendo sul presupposto che, nel redigere le leggi penali, il legislatore debba considerare non soltanto l’indole delle persone, ma anche il loro ceto sociale in relazione alla natura del delitto. In tali proposte emergono evidenti parallelismi col trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (1738-1794), edito pochi anni avanti, nel 1764: come il Beccaria, il Natale auspica infatti l’introduzione di un sistema sanzionatorio più umano, dove la condanna va finalizzata alla salvaguardia sociale mediante la prevenzione e la repressione dei comportamenti criminosi nocivi alla collettività e al bene comune; entrambi, inoltre, vedono nella punizione lo strumento più efficace che da un lato impedisca al reo di reiterare i comportamenti criminosi, e dall’altro dissuada i suoi potenziali imitatori attraverso il timore sanzionatorio.
Restano però anche notevoli divergenze di fondo, che scaturivano dalla differente impostazione ideologica dei due intellettuali, che per il Beccaria obbediva a una visione del problema in prospettiva idealistica e umanitaria, e per il Natale nasceva dalla coscienza dei limiti della natura umana: il disaccordo riguarda principalmente la proporzione della pena, che il Beccaria correla alla colpa e il Natale auspica proporzionata in base all’appartenenza alle classi sociali; la pena capitale, che per il primo non è utile né necessaria, ma per il secondo è da comminare per delitti particolarmente gravi, quali la ribellione; il ricorso alla tortura, da tutti e due ripudiata come mezzo di prova, e tuttavia dal Natale non aborrita se in determinate circostanze venisse irrogata come castigo; il taglione, che questi solo contempla nell’estrema eventualità di delitti enormi e atroci; e l’educazione dei cittadini, argomento invero disatteso dal Beccaria, che la ritiene pertinente all’azione di governo piuttosto che alla sfera del diritto, mentre il Natale la giudica un compito fondamentale dello Stato, nell’idea che soltanto l’educazione del cittadino sia in grado di prevenire il delitto attraverso un’istruzione statale e laica, in ciò allineandosi al prevalente pensiero dei riformatori illuministi. Lo stesso Natale chiarì ulteriormente la sua posizione sulla pena di morte in una breve lettera, di nuovo indirizzata al Sarri e pubblicata quale secondo capitolo delle Riflessioni politiche, intitolata Sul sistema di Cesare Beccaria intorno alla pena capitale e degli opposti sentimenti del giureconsulto De Linguet: in essa, pur non condividendo nello specifico l’assunto dell’illuminista lombardo, peraltro lo difese contro le opinioni dell’avvocato e pubblicista francese Simon-Nicolas-Henri Linguet (1736-1794), che invece invocava un utilizzo della condanna capitale ben più frequente e da applicare a una larga tipologia di delitti.
Il ben accolto volumetto e le comuni tematiche con quello del suo omologo indussero il Natale (presto definito “il Beccaria siciliano”) a vantarne l’antecedenza, rivendicando con orgoglio la priorità in diversi punti del libro, che dichiarò di aver concluso nel 1759, ovvero cinque anni prima del trattato del Beccaria, e di aver lasciato poi a lungo manoscritto per motivi preterintenzionali. Oggi sono rimasti in pochi a crederlo, ma resta indiscutibile la rilevanza del suo contributo su di una tematica epocale, anche se a misurare la distanza che separa i due filosofi sono determinanti il superiore livello concettuale dei princìpi e dei valori, la più complessa articolazione dell’impianto speculativo e la visuale indubbiamente più progressista del Beccaria.
Nel 1772 uscirono ancora le Riflessioni preliminari ai Discorsi intorno alla prima deca di Tito Livio, inserite come terzo capitolo nelle Riflessioni politiche; l’anno dopo a Palermo apparvero le Osservazioni intorno al paragrafo XI del Diritto della guerra e della pace del signor Grozio per confutare le teorie sulla coazione avanzate da Grozio e Hobbes, e La Iliade di Omero, tradotta in verso sciolto italiano: una traduzione in versi di quattro libri del poema omerico, che nella successiva edizione del 1807 ne comprese altri due, specchio della mai sopita predilezione verso il mondo della classicità al quale negli anni giovanili lo aveva introdotto lo zio umanista.
In seguito il Natale di fatto non produsse più nulla, anche perché a 51 anni, nel 1784, sposò Rosalia, figlia del giureconsulto Giuseppe Gugino, che gli avrebbe dato nove figli. Se da un lato gli impegni familiari poterono distoglierlo dall’attività scrittoria, dall’altro contribuì ad accantonarla la gestione di numerose cariche istituzionali, che fra le tante lo videro consigliere di Stato, per tre volte deputato del regno di Sicilia, e, dal 1790, componente della giunta incaricata del delicato compito di censire le vastissime proprietà terriere afferenti alla manomorta demaniale ed ecclesiastica, nella quale entrò con la speranza che il loro frazionamento stimolasse il rifiorire dell’agricoltura intensiva in Sicilia e agevolasse i suoi traffici commerciali.
Contrario alla Costituzione di Sicilia del 1812, nei cui confronti manifestò in una Memoria tutte le sue riserve, nella città natale la morte lo colse a 86 anni il 28 settembre 1819, mentre stava lavorando a una riedizione delle Riflessioni politiche; nello stesso anno si promulgava il nuovo codice penale delle Due Sicilie, recante le riforme che egli aveva lungamente perorato. Una località contigua a Palermo è stata onorificamente intestata al suo nome.
Bibliografia:
Esaurienti notizie sulla vita e le opere di Tommaso Natale si leggono nella densa premessa di G. Giarrizzo in Illuministi italiani, VII: Riformatori delle antiche repubbliche dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo – G. Torcellan – F. Venturi, Milano-Napoli 1965, pp. 965-978 (con una scelta antologica alle pp. 979-1017); e nella voce di F. Di Chiara nel Dizionario biografico degli Italiani, 77 (2012), pp. 860-862, dalla quale si è soprattutto attinto per la redazione di queste note, oltre che dalle più recenti considerazioni di M. Pisani, Tommaso Natale e Cesare Beccaria, in “Rendiconti dell’Istituto Lombardo” (classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche), 152 (2018), pp. 35-64. Più essenziali i profili nel Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, Bari – Roma 1967, p. 109, nonché nel Novissimo digesto italiano, XI (1965), p. 21 (F.P. Gabrieli).
Note biografiche a cura di Giovanni Mennella
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Riflessioni politiche intorno all'efficacia e necessità delle pene
Dirette da Tommaso Natale al giureconsulto D. Gaetano Sarri
Quasi contemporaneo a Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, questo saggio intende a sua volta rispondere a una serie di problemi che nella seconda metà del XVIII secolo erano divenuti cruciali nei dibattiti fra i riformatori dell’età dei lumi.