Dall’incipit del libro:

Sono caduto il giorno tre di questo mese nel pomeriggio. La giornata era fosca. Grosse nuvole oscillavano nel cielo sotto la pressione di un vento troppo alto per essere sentito. L’aria, ancora più calda che umida, bagnava tutte le piante come di un sudore malato. Nella caduta non ero solo, ma fortunatamente fui solo ad azzoppirmi. Ed ecco come avvenne. Non so bene se raccontando questo ubbidisca alla ridicola ed inesorabile vanità, che ci spinge a farci centro del mondo e a trovare nella compassione o magari nel disprezzo della gente un sollievo ai nostri dolori. Soffrire non è nulla, e sarebbe forse invidiato, se tutti dovessero accorgersi delle nostre sofferenze e stimarci più di prima, e sopratutto più di sè stessi. La nostra personalità afflitta nel corpo cerca compensi nell’anima e, poichè questa vale più di quello, tira a credere e a far credere che gli spasimi fisici abbiano, per chi patisce e per chi vede patire, valore morale. Invece non hanno significato che per la patologia. Avvenne così. La sera al caffè piccolo e fumoso, pieno di braccianti, dove vengo a passare la prima parte della notte quando villeggio a Caso la, alcuni gruppi di giovinotti, vantando mandati di Società Operaie, erano venuti a scongiurarmi di rappresentare Casola ai funerali di Don Giovanni Verità. Il Municipio, dominato da tutte le bigotterie e le imbecillità proprie dei contadi, non osava andare a Modigliana. L’arciprete, il priore, i grossi elettori montanari sempre padroni, avrebbero urlato d’indignazione se Casola fosse stata ufficialmente rappresentata alle esequie di un prete, che aveva avuto il torto di salvare la vita a Garibaldi. Giù nella folla, invece, alcuni vecchi garibaldini e molti giovani socialisti strepitavano incolleriti da una inerzia che avrebbe reso Casola ridicola presso tutti i comuni della provincia. Infatti i paesi di val di Senio, val di Lamone e val di Santerno avevano aderito o si preparavano a mandare rappresentanti e bande musicali ai funerali dell’ultimo prete rivoluzionario. Nel caffè il puzzo del carbone, il fumo delle pipe, il sito degli abiti, il fiato del vino bevuto, la veemenza delle parole e dei gesti mozzavano il respiro. La marea dello sdegno saliva. Tutti i piccoli e fanatici odii municipali soffiavano in questa questione, della quale nessuno capiva la vera importanza. In fondo a tutti gli elogi prodigati al vecchio prete si sentiva ancora una diffidenza, quasi un disprezzo che non osava analizzare sè stesso, ma che vibrava ad ogni ironia lanciata alla sua memoria da qualche scettico o avvinazzato. Don Giovanni era morto affermandosi prete, ma ricusando di smentire la propria vita politica per ricevere i sacramenti. I giornali della sera erano tutti pieni di commenti alla sua dichiarazione.

Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito Biblioteca Nazionale Braidense (http://www.braidense.it/). Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (http://www.gutenberg.org/) tramite Distributed Proofreaders (http://www.pgdp.net/).

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titolo:
Fino a Dogali
titolo per ordinamento:
Fino a Dogali
autore:
opera di riferimento:
"Fino a Dogali" di Ottone di Banzole (Alfredo Oriani); Libreria editrice Galli; Milano, 1889
licenza:

data pubblicazione:
31 agosto 2007
opera elenco:
F
affidabilità:
affidabilità standard
digitalizzazione:
Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net
pubblicazione:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
revisione:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it