Queste storie di bambini così antichi che nessuno li ha mai conosciuti furono pubblicate la prima volta nel 1937 corredate dalle illustrazioni, ancora coperte da diritti d’autore e non riproducibili in questo e-book, di Piero Bernardini. Sono ispirate alla mitologia greca e romana e per ognuno dei protagonisti è ricordato, fin dal titolo del capitolo, sia il nome greco che quello romano.
Queste storie sono destinate all’infanzia alle prese con le prime esperienze scolastiche e credo che difficilmente si potrebbe trovare una maniera più semplice e nel contempo abbastanza rigorosa per introdurre i giovanissimi alla prima conoscenza dell’affascinante materia mitologica. Pur sorvolando sui particolari scabrosi, sempre presenti nell’ambito delle complicate parentele e relazioni di dei, semidei ed eroi sull’Olimpo e dintorni, ogni personaggio è caratterizzato in maniera precisa, anche se molto semplificata.
La prima vicenda narrata è quella di Efesto/Vulcano e della sua efficientissima officina, simbolo dell’abilità artigianale e artistica, tanto apprezzata che condurrà il brutto e quasi deforme Vulcano a sposare la bellissima Afrodite. Abbiamo poi la battaglia di Giove per detronizzare il padre Saturno e lo spietato zio Titano (qui le tradizioni più accreditate sono abbastanza diverse da quella proposta dall’autrice) e giungiamo fino alle fatiche di Ercole al penultimo capitolo, vera metafora della lotta del genere umano per rendere la natura adatta alla propria sopravvivenza. Anche qui abbiamo simpatici aggiustamenti del mito, ad esempio in merito all’uccisione dell’Idra dalle sette teste. E l’autrice sorvola anche sulle ragioni per le quali Ercole viene sottoposto alle terribili dodici fatiche. Dice semplicemente che era molto buono ma ogni tanto veniva preso da incontenibili attacchi di furia devastatrice. Il suo rapporto con Euristeo quindi viene presentato come essenzialmente amichevole.
Nonostante lo stile affabulatorio, nella narrazione di Laura Orvieto permane evidente, e credo che il messaggio raggiunga facilmente l’infanzia, la garanzia sacrale del racconto che fornisce il fondamento metastorico alla realtà. Questa garanzia traspare dalle prescrizioni che concernono modi e tempi della narrazione. Questo obiettivo consiste essenzialmente nella integrazione in un determinato sistema di valori – cioè in una cultura – dei vari elementi che appaiono fondamenti della realtà stessa. Lo scopo del mito è il conseguimento di una valorizzazione culturale di una realtà naturale. Questa valorizzazione avviene, per mezzo della mitologia, sull’ipotesi di un “tempo mitico” qualitativamente diverso dal tempo storico. In questa direzione Laura Orvieto è davvero abile a mettere sotto l’attenzione dei più piccoli la qualità diversa del “tempo mitico” attraverso la sottolineatura di tutto quello che oggi non può più succedere. Perseo taglia la testa a Medusa e usa la stessa testa per “pietrificare” i “cattivi” (ma non Polidette, del quale nel racconto di Laura Orvieto non si approfondisce la fine); la vendetta di Diana su Atteone invece viene narrata fino in fondo. Lo scopo, anche delle omissioni, è sempre quello di narrare le cose accadute che adesso non possono più accadere, di eliminare la potenzialità del “fattibile” riducendola a quello che “veniva fatto” eliminando una volta per sempre il rischio che il mondo attuale subisca pericolose e indesiderate trasformazioni. L’ultimo capitolo è dedicato ad Eros e alle sue prodigiose frecce. Le sofferenze d’amore, quelle sì, le abbiamo ancora oggi e le frecce di Eros colpiscono quando meno ce lo aspettiamo.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit della prima storia Storia di un bambino che si chiamava Efesto e si chiamava anche Vulcano:
Questo bambino, che si chiamava Efesto e anche Vulcano, è proprio antichissimo. Tanto, che nessuno l’ha mai conosciuto. Ma anche senza averlo visto tutti sanno che era molto brutto. Proprio un mostricino; e quando, appena nato, lo portarono a vedere a sua madre, lei andò su tutte le furie.
«Questo non può essere il mio bambino!» gridò Hera indignata (perché la madre di quel bambino si chiamava così). Quella mamma era grande e maestosa, regina e dea, moglie di un gran re e dio, ammirata e adorata e festeggiata e bellissima (anzi, lei si riteneva la più bella del mondo), e pensare che quel bambino così piccolo e stento fosse suo figlio le faceva orrore.

