Dall’incipit del libro:
Il guardaboschi aveva una figlia così pallida, così pallida e così bella, che la chiamavano Chiaro di Luna, benchè avesse nome Nannina. La sua mamma quando fu per morire, poco dopo averla data alla luce, chiamò la fata Giglia, sua matrina, per raccomandarle la fi gliuola. La fata Giglia aveva sfiorate le guance della piccina con le sue dita, che parevano i petali del fiore di cui portava il nome, e le gote avevano preso la tinta del giglio candido; poi, baciatala sulla fronte con le labbra scolorite, aveva mormorato: Tu amerai il Sole e non potrai amare che il Sole. E Nannina crebbe con una tal sete di sole, che non ne era mai sazia. Prima ancora che potesse parlare e camminare, fissava sempre la luce, sempre la luce, e quando la tenevano in braccio, s’inquietava se non la portavano fuori, al sole, verso cui tendeva le manine. Tutto il giorno era gaia, ma quando il Sole tramontava, cominciava a piangere, nè si sapeva il perchè, e la durava tutta notte; quando il primo raggio entrava a baciare la sua culla, batteva le manine con grida di gioia; poi s’addormentava per più ore. Aveva sedici anni, quando un dì, come il consueto, se ne stava sul limitare del bosco, fuori delle volte ombrose, guardando sulla larga strada; la giornata era grigia e la fanciulla era triste. Quand’ecco, in fondo alla strada, improvvisamente apparire una luce abbagliante come il Sole; era il Re Fulgente, il giovine Re che era salito allora su l trono per la morte di suo padre e di sua madre. Un mago gli aveva fabbricata la corazza, che risplendeva sul suo petto come un vero Sole, e nessuno poteva guardarla senza rimaner accecato. Nannina pure abbassò gli occhi, mentre la raggiante corazza si avanzava, e il cuore le batteva stranamente di gioia. Re Fulgente, seguito dalla sua Corte, si avvicinava, e quando scorse quella fanciulla così pallida e così bella, fermò il destriero, e chiese a voce alta: Chi è mai questa candida fanciulla.


