Dall’incipit del libro:
L’ingegnere Enrico M…, comproprietario della ditta Gerosa e Comp., ritornava a Milano dopo una lunga assenza, per ragioni di affari. Ci pensò per tutto il viaggio da Genova a Milano: ma non agli affari che andavano benissimo. Per tutto il viaggio fra quegli ignoti sonnacchiosi dentro i loro pastrani, l’avea riveduto il visino ridente, la testolina d’oro che danzava e cantava: Son bellino son carino Sono il cocco del papà. Questa era per il babbo, e poi c’era la poesietta per la mamma: Cara mamma del mio cuor Tu sarai sempre l’amor. Il treno faceva ta, ta, tan! ta, ta, tan! precipitosamente, e la testolina dondolava anche lei in alto su la reticella, e la vocina cantava più forte del treno: I bambini capricciosi Dicon sempre: no! no! no! Gli veniva da ridere perchè in casa lo chiamavano ancora Lolò; eppure come si faceva a mutar nome a Lolò? La nonna, quando la andavano a trovare nella sua solitudine di Noli, diceva: “Perchè lo chiamate ancora Lolò? Adesso è grandicello, non sta più bene chiamarlo così, chiamatelo per il suo vero nome: Ludovico, se no, quando avrà i calzoni lunghi lo chiamerete ancora Lolò: farete ridere; pare il nome di un pappagallo.” Verissimo, ma Lolò era proprio lui, e Ludovico invece pareva un’altra persona. Ora mentre il treno correva verso Milano tra i bassi saliceti allineati per le stagnanti acque, gli venivano alla mente tutte le canzoncine che cantava Lolò. C’era quella pel Natale che diceva.
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