Comparso nella “Nuova Antologia” nel 1913, poi pubblicato da Treves nel 1914, più volte ristampato e infine incluso in Romanzi d’ambo i sessi nel 1941, questo breve romanzo di Alfredo Panzini rappresenta la prima “incursione” dell’Autore nella rievocazione di periodi e personaggi storico-letterari, che ne caratterizzò la produzione dell’ultimo periodo. Il testo è stato digitalizzato a partire dalla ristampa del 1921.
La scusa che dà vita al romanzo è di indagare se sia meritata o meno la fama di moglie “impossibile” che la tradizione associa alla consorte di Socrate, fino a sostenere che egli volle bere la cicuta per la disperazione di vivere con una siffatta megera. Per consentire al lettore di farsi un’idea, Panzini immagina una intervista in cui Santippe porta le sue ragioni e confuta le affermazioni dei numerosi contemporanei che ne hanno creata la triste fama. Ma in seguito, Panzini passa ad illustrare il contesto storico della Atene ai tempi di Socrate, la figura dello stesso, la sua “filosofia”, i suoi contemporanei: dal giovane Iscomake al vecchio Assioco, dal “collega” Protagora ai discepoli Callia, Apollodoro, Critone, ai nemici Anito e Meleto, che ritengono la predicazione di Socrate pericolosa per loro, uomini di potere.
Così il lettore si avvicina alle idee di Socrate, ad esempio in tema di amore e di morte, e attraverso la storia delle accuse e del processo ne può apprezzare la sincerità e l’inflessibile carattere. Ma questa parte conclusiva della vita di Socrate ci viene raccontata anche attraverso gli occhi di Santippe, giustamente preoccupata che i suoi figli possano restare orfani e senza un soldo, e dopo la morte del filosofo, dimenticata dai discepoli del marito e abbandonata a se stessa. E l’Autore immagina che lo spirito di Socrate venga a dirle addio con un soffio nei capelli, forse un ultimo bacio.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
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Dall’incipit del libro:
Nel tempo antichissimo, quando gli uomini erano molto occupati per popolare il mondo, ci fu come una piccola schiera di uomini che pervenne ad una piccola terra. Essa era ricamata dai mari, e pareva come l’umbelico del mondo. Era stagione di primavera e il mare mandava tutt’intorno i suoi effluvi.
Quegli uomini sostarono.
Si scoprivano di lassù i corsi degli astri; si vedevano le vie del mare. Allora essi scoprirono le vie della loro anima, ed una divina esaltazione li vinse. Rivaleggiarono con gli Dei immortali: crearono quelle multiformi opere che rimangono anche oggi come modelli, e non furono mai più superate in bellezza.
Questa piccola terra fu l’Ellade: quel piccolo popolo fu il popolo ellenico. La vita che esso visse si chiamò «giovinezza»!

