Bruno Piazza nacque a Trieste il 16 dicembre 1889. Il padre Giulio apparteneva a una famiglia con tradizione irredentista e attiva per ottenere l’annessione di Trieste all’Italia. La madre si chiamava Olga Frankel. Completò gli studi in legge e divenne avvocato, ma contemporaneamente era attivissimo come giornalista collaborando, anche con racconti e poesie, al quotidiano “Il Piccolo” di Trieste.

Nell’ambito di quella che fu definita la “luna di miele” tra il regime fascista e le comunità israelitiche della penisola, Piazza fu iscritto al partito fascista fin dal 1922. Anche nel 1929, quando i patti tra Vaticano e l’Italia avevano suscitato apprensione tra gli ebrei italiani, la crisi fu rapidamente superata. Nell’ottobre del 1932 “Israel”, organo delle comunità israelitiche italiane, scrive: “Dopo dieci anni di regime fascista, il ritmo spirituale della vita ebraica è intenso, assai più intenso di prima. In un clima storico come quello del fascismo riesce più facile ai dimentichi di ritrovare il cammino della propria coscienza, ai memori di rafforzarlo, presidiandolo di studi e di opere”. E infatti Bruno Piazza si sente senza dubbio tranquillo; si sposa con Angela De Job e ha tre figli e continua a esercitare le sue professioni, sia di legale che di giornalista, con soddisfazione. Ma nel 1938 viene radiato, in seguito all’entrata in vigore delle leggi razziali, dall’albo.

I guai peggiori cominciarono per lui dopo l’armistizio dell’8 settembre. Sottoposto a controlli, cercò di espatriare in Svizzera, ma fallì il tentativo e finì per venire arrestato per ragioni razziali, in seguito a delazione, il 13 luglio 1944. Rimase detenuto al carcere di Coroneo a Trieste e poi rinchiuso alla Risiera di San Sabba, il lager nazista situato nella città di Trieste. È da ricordare che, in seguito all’armistizio di Cassibile (con il quale il regno d’Italia cessava le ostilità nei confronti delle potenze alleate), le provincie di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana, pur facendo formalmente parte della repubblica di Salò, erano in realtà controllate direttamente dal terzo Reich, fatto che rese la zona tra le più colpite dalle deportazioni e dalle violenze naziste. Fu infine deportato ad Auschwitz il 31 luglio 1944. Sfuggì miracolosamente alla morte, finendo persino per un’intera giornata nella camera a gas e salvato in extremis in virtù della sua qualifica di “detenuto politico”, cosa che già lo aveva salvato dal forno crematorio al quale erano inesorabilmente condannati immediatamente all’arrivo nel lager gli ebrei ultracinquantenni.

Tornato a casa nel 1945 scrisse il memoriale Perché gli altri dimenticano, che come accadde a molti dei resoconti dai lager nazisti dei sopravvissuti venne rifiutato dagli editori. Bruno Piazza non sopravvisse a lungo; il 31 ottobre 1946 morì stroncato da un infarto.

La testimonianza di Bruno Piazza è stata tra le primissime ad essere scritte e, nonostante l’attesa di 10 anni, anche tra le prime ad essere pubblicate. Pubblicazione avvenuta da parte dell’edizione Feltrinelli nel 1956 grazie alla tenacia con la quale moglie e figlio vollero perseverare per portare a termine il programma di Bruno Piazza di far conoscere al più presto i ricordi personali di quella immane tragedia collettiva.

A partire dagli anni ’70 le memorie di questo tipo hanno iniziato a proliferare, e quella di Bruno Piazza è stata quasi dimenticata.

Fonti

  • R. Sodi: Bruno Piazza e il destino degli ebrei triestini. In: “Qualestoria”, n. 1 1997.
  • Sergio Franco: Postfazione a Bruno Piazza, Perché gli altri dimenticano. Milano 1995.

Nota biografica a cura di Paolo Alberti

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autore:
Bruno Piazza
ordinamento:
Piazza, Bruno
elenco:
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