Cesare Pavese nacque il 9 settembre del 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe (Cuneo), presso il cascinale dove la famiglia trascorreva le estati. Il padre, Eugenio Pavese, originario anch’egli di Santo Stefano Belbo, era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, dove risiedeva con la moglie, Fiorentina Consolina Mesturini, proveniente da una famiglia di abbienti commercianti della provincia di Alessandria, e la primogenita Maria (nata nel 1902).
L’infanzia di Pavese non fu felice: una sorella e due fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. La madre, di salute cagionevole, dovette affidarlo a una balia. Il padre morì di cancro al cervello nel 1914 quando Cesare aveva cinque anni. La madre, di carattere autoritario, dovette allevare da sola i due figli: la sua educazione rigorosa contribuì ad accentuare il carattere già introverso e instabile di Cesare. Nell’autunno dello stesso anno Cesare frequentò la prima elementare a Santo Stefano Belbo; poi la famiglia tornò a Torino. Ma il piccolo paese rimase sempre un luogo particolare per Pavese e a cui rimarrà sempre legato.
A Torino Cesare frequentò le scuole medie presso l’istituto dei Gesuiti, poi il liceo classico Cavour dove scelse l’indirizzo moderno (liceo moderno), che non prevedeva lo studio della lingua greca. Cominciò ad appassionarsi alla letteratura, in particolare ai romanzi di Guido da Verona e di Gabriele D’Annunzio. Nell’ottobre 1923 Pavese si iscrisse al liceo classico Massimo d’Azeglio ed ebbe come insegnante di italiano e latino l’antifascista Augusto Monti, che gli impartì un metodo rigoroso di studio improntato all’estetica crociana, frammista ad alcune concezioni di De Sanctis. Trascorse gli anni di liceo tra i primi amori adolescenziali e le amicizie, come quella con Tullio Pinelli, cui farà leggere per primo il dattiloscritto di Paesi tuoi e a cui scriverà una lettera prima del suicidio.
Nel 1925 Cesare si ammalò di una pleurite, per essere rimasto a lungo sotto la pioggia in attesa di una cantante-ballerina di varietà, della quale si era innamorato. Nello stesso anno scrisse il racconto autobiografico Lotte di giovani e tradusse il Prometheus unbound (Prometeo slegato) di Percy Bysshe Shelley e le Odi di Orazio. Nel 1926, conseguita la maturità, inviò alla rivista “Ricerca di poesia” alcune liriche, che furono però respinte. In quell’anno fu scosso profondamente dalla morte dell’amico, Elico Baraldi, che si era tolto la vita con un colpo di rivoltella ed ebbe la tentazione di emulare quel gesto. Si iscrisse alla Facoltà di lettere dell’Università di Torino, continuò a scrivere e a studiare con fervore l’inglese, appassionandosi alla lettura di Sherwood Anderson, Sinclair Lewis e soprattutto Walt Whitman, mentre le sue amicizie si allargarono a coloro che diventeranno intellettuali antifascisti di spicco.
Alla fine del 1927 infatti si formò la confraternita degli ex allievi del liceo d’Azeglio, in contatto con il Monti, cui parteciparono, oltre a Cesare, figure quali Norberto Bobbio, Massimo Mila, Leone Ginzburg, Giulio Einaudi (nonché amici non ‘dazeglini’ come Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli). L’interesse per la letteratura americana divenne sempre più rilevante e Pavese cominciò ad accumulare materiale per la tesi di laurea, mentre proseguivano i timidi amori permeati dalla sua visione angelicante della donna ed egli si immergeva sempre più nella vita cittadina, scrivendo all’amico Tullio Pinelli:
«Ora io non so se sia l’influenza di Walt Whitman, ma darei 27 campagne per una città come Torino. La campagna sarà buona per un riposo momentaneo dello spirito, buona per il paesaggio, vederlo e scappar via rapido in un treno elettrico, ma la vita, la vita vera moderna, come la sogno e la temo io è una grande città, piena di frastuono, di fabbriche, di palazzi enormi, di folle e di belle donne (ma tanto non le so avvicinare).» [L. Mondo, Quell’antico ragazzo, Rizzoli, Milano 2006, p. 22]
Negli anni successivi proseguì gli studi con passione, scrisse versi e lesse molto, soprattutto autori americani come Hemingway, Lee Masters, Cummings, Lowell e la Stein; cominciò a tradurre per l’editore Bemporad Our Mr. Wrenn (Il nostro signor Wrenn. Storia di un gentiluomo romantico) di Sinclair Lewis e scrisse per la rivista “La Cultura” il suo primo saggio sull’autore di Babbitt, Un romanziere americano, Sinclair Lewis, cominciando così la serie detta “Americana”.
Nel 1930 presentò la sua tesi di laurea Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman, ma il suo professore Federico Oliviero la rifiutò all’ultimo momento perché troppo improntata all’estetica crociana e quindi scandalosamente liberale per l’età fascista. Intervenne Leone Ginzburg: la tesi venne così accettata dal professore di Letteratura francese Ferdinando Neri e Pavese poté laurearsi. Nello stesso anno morì la madre e Pavese rimase ad abitare con la sorella Maria nella casa materna e cominciò l’attività di traduttore in modo sistematico, alternandola all’insegnamento dell’inglese. Tradusse Moby Dick di Herman Melville e Dark laughter (Riso nero) di Anderson; scrisse un saggio su Anderson, un articolo sull’Antologia di Spoon River, uno su Melville e uno su O. Henry. Risale a questo stesso anno la prima poesia della raccolta Lavorare stanca. Ottenne anche alcune supplenze in varie scuole, impartiva lezioni private e insegnava nelle scuole serali.
Tra settembre 1931 e febbraio 1932 compose un ciclo di racconti e poesie dal titolo Ciau Masino, pubblicato per la prima volta nel 1968 in edizione fuori commercio. Nel 1933 tradusse The 42nd Parallel (Il 42º parallelo) di John Dos Passos e A Portrait of the Artist as a Young Man (Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane) di James Joyce. Ebbe inizio in questo periodo un tormentato rapporto sentimentale con Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca”, alla quale dedicherà i versi di Incontro in Lavorare stanca. L’anno fu segnato dalla lettura di un libro fondamentale per la cultura etno-mitologica pavesiana, The golden bough (Il ramo d’oro) di James G. Frazer.
Sempre nel 1933 Giulio Einaudi aveva fondato la sua casa editrice. Le due riviste, “La riforma sociale” e “La Cultura” si fusero, dando vita a una nuova “La Cultura”, della quale sarebbe dovuto diventare direttore Leone Ginzburg. Ma all’inizio del 1934 molti membri del movimento “Giustizia e Libertà”, e tra questi Ginzburg, vennero arrestati. Pavese chiese di poter sostituire Ginzburg e, dal maggio 1934, essendo egli tra i meno compromessi politicamente, diresse per un anno la rivista, curando la sezione di etnologia. A fine del 1933, per poter insegnare nelle scuole pubbliche, su pressioni della sorella Maria, si era iscritto, molto malvolentieri, al partito nazionale fascista.
Nel 1934, grazie alla raccomandazione di Ginzburg, riuscì a inviare alla rivista “Solaria” le poesie di Lavorare stanca, che vennero lette ed apprezzate da Elio Vittorini e pubblicate nel 1936.
Nel 1935 Pavese, intenzionato a proseguire nell’insegnamento, si dimise dall’Einaudi e cominciò a preparare il concorso di latino e greco ma il 15 maggio una delazione portò agli arresti di alcuni intellettuali di “Giustizia e Libertà”e venne fatta una perquisizione nella casa di Pavese, sospettato di simpatie con Ginzburg. Vennero trovate, tra le sue carte, lettere politicamente compromettenti. Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato e incarcerato alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma. Infine venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro. Ma Pavese era innocente, poiché le lettere trovate erano rivolte a Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” della quale era innamorato e alla quale aveva permesso di utilizzare il suo indirizzo. Tina era politicamente impegnata e iscritta al Partito comunista d’Italia clandestino. Il 4 agosto 1935 Pavese giunse in Calabria, a Brancaleone, e scrisse ad Augusto Monti:
«Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo “dando volta”, leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un’inutile castità». [Lettera ad Augusto Monti, 11 settembre, pubbl. in Davide Lajolo, Il vizio assurdo, Il Saggiatore, Milano 1967]
Nell’ottobre del 1935 infatti aveva cominciato a tenere quello che nella lettera definisce lo “zibaldone”, un diario che diventerà in seguito Il mestiere di vivere. Durante il confino venne pubblicata la prima edizione della raccolta Lavorare stanca che, malgrado la forma fortemente innovativa, passò quasi inosservata. Fece domanda di grazia ed ottenne il condono di due anni. Alla fine del 1936 Pavese fece ritorno a Torino dove ebbe la delusione di sapere che Tina stava per sposarsi e che le sue poesie erano state ignorate. Riprese il lavoro e nel 1937 tradusse The big money (Un mucchio di quattrini) di John Dos Passos e Of mice and men (Uomini e topi) di Steinbeck. Cominciò a collaborare stabilmente con la Einaudi, per le collane “Narratori stranieri tradotti” e “Biblioteca di cultura storica”, traducendo Moll Flanders (Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders) di Defoe, The Personal History, Adventures, Experience and Observation of David Copperfield… (La storia e le personali esperienze di David Copperfield) di Dickens e The autobiography of Alice B. Toklas (Autobiografia di Alice Toklas) della Stein. Nel frattempo cominciò a scrivere i racconti che verranno pubblicati postumi e fra il 1936 e il 1939 completò la stesura del primo romanzo breve tratto dall’esperienza del confino, Il carcere (primo titolo Memorie di due stagioni), che verrà pubblicato dieci anni dopo. Scrisse anche Paesi tuoi che uscirà nel 1941 e sarà la sua prima opera di narrativa pubblicata.
Si andava intanto intensificando l’attività del gruppo clandestino di “Giustizia e Libertà”, dopo il ritorno dal confino di Leone Ginzburg e dei comunisti con a capo Ludovico Geymonat. Pavese, chiaramente antifascista, cominciò ad assistere con crescente interesse alle frequenti discussioni che avvenivano a casa degli amici. Conobbe Giaime Pintor, che collaborava ad alcune riviste letterarie ed era traduttore dal tedesco e consulente per la Einaudi, e nacque tra loro una salda amicizia. Nel 1940 l’Italia era entrata in guerra e Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane universitaria, Fernanda Pivano, sua ex allieva al liceo D’Azeglio. La ragazza, giovane e ricca di interessi culturali, colpì lo scrittore tanto che le propose il matrimonio; malgrado il rifiuto, l’amicizia continuò. Alla Pivano Pavese dedicò alcune poesie, tra le quali Mattino, Estate e Notturno, che inserì nella nuova edizione di Lavorare stanca. Si tratta di alcune poesie splendide, che segnarono il passaggio a una nuova lirica, preludio alla stagione più tarda: è un nuovo stile, rarefatto e lirico rispetto al precedente.
In quell’anno Pavese scrisse La bella estate (primo titolo La tenda); tra il 1940 e il 1941 scrisse La spiaggia, che vedrà una prima pubblicazione nel 1942. Tradusse Benito Cereno di Melville e Three lives (Tre esistenze) della Stein. Nel 1941, con la pubblicazione del suo primo romanzo Paesi tuoi, la critica sembrò accorgersi finalmente dell’autore. Nel 1943 Pavese venne trasferito a Roma dalla Einaudi, dalla quale ormai era stato assunto. Qui gli giunse la cartolina-precetto ma a causa dell’asma di origine nervosa di cui soffriva venne riformato e tornò in una Torino devastata da numerosi bombardamenti e che trovò deserta senza i numerosi amici, mentre sulle montagne si stavano organizzando le prime formazioni partigiane. Dopo l’8 settembre del 1943, Torino fu invasa dai tedeschi e la Einaudi fu occupata da un commissario della Repubblica sociale italiana. Pavese, mentre molti suoi amici si preparavano alla lotta clandestina, si rifugiò a Serralunga di Crea, nel Monferrato, dov’era sfollata la sorella Maria e dove strinse amicizia con il conte Carlo Grillo, che diventerà il protagonista de Il diavolo sulle colline.
Per sfuggire a una retata di repubblichini e tedeschi, chiese ospitalità al Collegio Convitto dei padri Somaschi di Casale Monferrato e, per sdebitarsi, diede ripetizioni agli allievi. Leggeva e scriveva apparentemente sereno. A marzo, a Serralunga, gli giunse la notizia della tragica morte di Leone Ginzburg per le torture nel carcere di Regina Coeli. Tornato a Torino dopo la liberazione, seppe della morte tragica di tanti amici: Giaime Pintor, Luigi Capriolo e Gaspare Pajetta. Prima, colpito da un rimorso che espresse nei versi del poemetto La terra e la morte e in tante pagine dei suoi romanzi, egli cercò di isolarsi dagli amici rimasti. Ma poco dopo decise di iscriversi al Partito comunista cominciando a collaborare al quotidiano “l’Unità”. Come scrive l’amico Davide Lajolo:
«La sua iscrizione al partito comunista oltre ad un fatto di coscienza corrispose certamente anche all’esigenza che sentiva di rendersi degno in quel modo dell’eroismo di Gaspare e degli altri suoi amici che erano caduti. Come un cercare di tacitare i rimorsi e soprattutto di impegnarsi almeno ora in un lavoro che ne riscattasse la precedente assenza e lo ponesse quotidianamente a contatto con la gente… Tentava con quel legame anche disciplinare, di rompere l’isolamento, di collegarsi, di camminare assieme agli altri. Era l’ultima risorsa alla quale si aggrappava per imparare il mestiere di vivere». [Davide Lajolo, Il vizio assurdo, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 303]
Nei mesi trascorsi presso la redazione de “l’Unità” conobbe Italo Calvino, che lo seguì alla Einaudi e ne divenne uno dei più stimati collaboratori. Alla fine del 1945, Pavese tornò a Roma, sempre per l’Einaudi, e vi restò per circa un anno: per lo scrittore fu come un esilio che lo teneva lontano da Torino, dagli amici, dalla nuova attività politica, e che lo fece ricadere nella malinconia. Nella sede romana conobbe la giovane Bianca Garufi ma anche questa fu una passione sfortunata. Scriverà nel suo diario, il 1º gennaio del 1946, come consuntivo dell’anno trascorso:
«Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sì, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest’anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno?». [Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 2000, p. 306]
Ritornato a Torino si mise a lavorare su temi delineatisi nella mente quando era a Serralunga. Cominciò a comporre i Dialoghi con Leucò, i primi capitoli de Il compagno, con il quale volle testimoniare la sua precisa scelta politica e tradusse Captain Smith and company (Capitano Smith) di Robert Henriques. Nel 1948 Pavese ideò e fondò, con la collaborazione di Ernesto De Martino, la “Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici”, nota anche come “Collana viola” per il colore della cornice riprodotta sulla copertina dei volumi. Questa collana fece conoscere le opere di Lévy-Bruhl, Malinowski, Propp, Frobenius, Jung, che avrebbero dato avvio a nuove teorie antropologiche. Inaugurò anche la nuova collana di narrativa “I Coralli”.
Tra il 1947 e il 1948 scrisse La casa in collina che uscì, insieme con Il carcere, nel volume Prima che il gallo canti il cui titolo fa chiaramente riferimento ai suoi tradimenti politici. Scrisse poi Il diavolo sulle colline. Nella primavera del 1949 scrisse Tra donne sole che uscì, insieme con Il diavolo sulle colline e La bella estate, nel volume dal titolo La bella estate. Andò poi a trascorrere una settimana a Santo Stefano Belbo, dove cominciò a lavorare su La luna e i falò, l’ultima sua opera pubblicata in vita. A fine anno 1949 tornò per pochi giorni a Roma. L’aspettativa di giorni sereni rimase delusa. Fu l’occasione per conoscere la bella Constance Dowling; si innamorò ma, dopo vari incontri, anche questa relazione fallì. A Constance, come per un addio, dedicò il romanzo La luna e i falò: «For C. – Ripeness is all» ed anche i versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Nella primavera-estate del 1950 uscì nella rivista “Cultura e realtà” un articolo di Pavese sul mito, nel quale affermava una fede poetica di carattere vichiano; gli intellettuali comunisti non apprezzarono l’articolo. Venne attaccato, ne fu amareggiato, il 20 maggio scrisse «Mi sono impegnato nella responsabilità politica che mi schiaccia.» [Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 2000, p. 394]. Neanche la vittoria del suo La bella estate al Premio Strega riuscì a sollevarlo. Nell’estate 1950 trascorse alcuni giorni a Bocca di Magra, in Liguria, meta estiva di molti intellettuali, dove ebbe una breve storia d’amore con la giovane Romilda Bollati, sorella dell’editore Giulio Bollati. Ma la depressione era sempre forte; il 17 agosto aveva scritto sul diario, pubblicato nel 1952 con il titolo Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950: «Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aveva chiuso il diario scrivendo: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». [C. Pavese, Il mestiere di vivere, p. 400]
In preda a un profondo disagio esistenziale, mise fine alla sua vita con il sonnifero il 27 agosto 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». All’interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una dal proprio diario, «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti», e «Ho cercato me stesso». Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo. È stato sepolto nel cimitero di Santo Stefano Belbo.
Importante fu l’opera di Pavese scrittore di romanzi, poesie e racconti, ma anche quella di traduttore e critico: oltre all’Antologia americana curata da Elio Vittorini, essa comprende la traduzione di grandissimi classici della letteratura di Melville, Dos Passos, Faulkner, Defoe, Joyce e Dickens. Nel 1951 uscì postumo, edito da Einaudi e con la prefazione di Italo Calvino, La letteratura americana e altri saggi con tutti i saggi e gli articoli che Pavese scrisse tra il 1930 e il 1950. La sua attività di critico in particolare contribuì a creare, verso la metà degli anni trenta, il sorgere di un certo “mito dell’America”. Lavorando nell’editoria, Pavese propose alla cultura italiana scritti su temi differenti, e prima d’allora raramente affrontati, come l’idealismo e il marxismo, inclusi quelli religiosi, etnologici e psicologici.
Opere:
La bibliografia completa delle opere di Pavese, con l’indicazione delle edizioni su periodici e quotidiani, le sue traduzioni, i saggi di critica letteraria, prefazioni, note, recensioni, interventi radiofonici e una ricca bibliografia delle opere sullo scrittore piemontese è reperibile sul sito della Fondazione Cesare Pavese https://fondazionecesarepavese.it/cesare-pavese/bibliografia/
Poesia. Edizioni in volume:
- Lavorare stanca, Firenze, Solaria, 1936.
- Lavorare stanca (comprende settanta poesie degli anni 1930-1940 e, in appendice, Il mestiere di poeta e A proposito di certe poesie non ancora scritte), Torino, Einaudi, «Poeti», 1943.
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (con La terra e la morte), a cura di Massimo Mila e Italo Calvino (contiene diciannove poesie, nove del 1945 e dieci del 1950), Torino, Einaudi, «Poeti», 1951.
- Lavorare stanca (1943), La terra e la morte, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, in Poesie, a cura di Massimo Mila, Torino, Einaudi, «NUE», 1961.
- Poesie del disamore e altre poesie disperse (comprende oltre a Poesie del disamore e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, le poesie escluse da Lavorare stanca, [Torino, Einaudi, «Poeti», 1943], poesie del 1931-1940 e due poesie del 1946), Torino, Einaudi, «Nuovi Coralli», 1962.
- Poesie edite e inedite, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1962 (comprende centoventicinque poesie degli anni 1930-1950 e due scritti di poetica), Torino, Einaudi, «Supercoralli», 1962.
- Lavorare stanca (1943), in Opere di Cesare Pavese, Torino, Einaudi, 1968, vol. I.
- Poesie del disamore, in Opere di Cesare Pavese, cit., vol. II (contiene le undici poesie del gruppo omonimo, anni 1934-1938, La terra e la morte, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi e le restanti poesie dell’edizione Calvino).
Narrativa. Edizioni in volume:
- Paesi tuoi, Torino, Einaudi, «Narratori contemporanei», 1941.
- La spiaggia, Roma, «Lettere d’oggi», 1942 [poi ripubblicato: Torino, Einaudi, «I Coralli», 1956].
- Feria d’agosto, Torino, Einaudi, «Narratori contemporanei», 1946.
- Il compagno, Torino, Einaudi, «I Coralli»,1947.
- Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, «Saggi», 1947.
- Prima che il gallo canti [Il carcere, La casa in collina], Torino, Einaudi, «I coralli», 1948.
- La bella estate [Il diavolo sulle colline, Tra donne sole, La bella estate], Torino, Einaudi, «Supercoralli», 1949.
- La luna e i falò, Torino, Einaudi, «I Coralli», 1950.
- Fuoco grande [con Bianca Garufi], Torino, Einaudi, «I Coralli», 1959.
L’edizione delle opere «complete» di Pavese, in 14 volumi (16 tomi), uscì per i tipi torinesi di Einaudi nel 1968. Ora sono disponibili:
- Tutti i romanzi, a cura di M. Guglielminetti (2000)
- Tutti i racconti (2002)
Fonti:
I manoscritti e dattiloscritti principali sono custoditi nell’Archivio Pavese presso il Centro di studi di letteratura italiana in Piemonte Guido Gozzano-Cesare Pavese della facoltà di lettere dell’Università degli studi di Torino; provengono dalla famiglia (fondo Sini-Cossa) e dalla Einaudi; sul sito HyperPavese https://www.hyperpavese.com/ – database imprescindibile e in progress – curato da Mariarosa Masoero, molti materiali sono disponibili digitalizzati.
Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Pavese
Dizionario biografico Treccani: voce di Roberto Gigliucci (2014) https://www.treccani.it/enciclopedia/cesare-pavese_(Dizionario-Biografico)
Note biografiche a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- La bella estate
Trilogia di tre romanzi brevi La bella estate, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole, scritti da Pavese tra il 1940 e il 1949, nei quali l'indifferenza e il cinismo fanno da sfondo a relazioni complesse e amori difficili. - Il compagno
Nel romanzo l’autore tratta i suoi temi preferiti, nella narrazione dei quali riesce sempre con successo: il tema del mutamento, dei luoghi finalmente conosciuti, Torino con la sua collina e i suoi locali, l’umidità nebbiosa delle rive del Po, gli ambienti e gli uomini diversi, l’avventura, il vagabondaggio. - Dialoghi con Leucò
L'opera raccoglie 27 brevi dialoghi, tutti – tranne Gli Dei – preceduti da una brevissima e didascalica nota esplicativa. Pavese afferma come gli aspetti meno rassicuranti dell’esistenza possano essere descritti tramite la forte carica simbolica del linguaggio mitologico. Tutti i dialoghi ruotano attorno al concetto di destino, interprete di uno svolgimento impenetrabile ma allo stesso tempo inesorabile voluto dagli “immortali” insensibili al dolore provocato dalle loro spietate leggi. - Feria d'agosto
Questa raccolta contiene i temi più ricorrenti nelle opere di Pavese: la campagna, la memoria dell’infanzia, la contrapposizione con gli adulti, il desiderio di crescere ed uscire dal cerchio delle colline e conoscere il mondo, e poi i giovani che crescono e sperimentano lo spleen metropolitano, le amicizie balorde. Vi sono anche pagine di riflessioni sul mito, sul simbolo e sulla poetica. - Lavorare stanca
La ricca raccolta di poesie di Pavese, edita nel 1936, ebbe scarsissima fortuna al momento della pubblicazione. Da un lato, vi si riconobbe una tempra poetica nuova, ancorché rozza, dall'altra si individuò nella sua novità una certa inefficacia. Fu soprattutto grazie alla successiva pubblicazione di Paesi tuoi (1941), con i suoi temi forti ed intriganti, la scrittura ruvida, che venne ripreso con forte interesse quanto già pubblicato in Lavorare stanca. - La luna e i falò
In questo racconto della Resistenza dei vivi e dei morti si comprende bene che la sensazione che provò Pavese fu che la bandiera della speranza, fatta sventolare dal vento di una riconquistata libertà, era ammainata dalla mortificazione nella quale i contadini, almeno quelli delle terre che conosceva così bene, proseguivano la loro vita fatta di fatica subumana e di pena. - La luna e i falò [audiolibro]
- Il mestiere di vivere
(diario 1935-1950)
Pubblicato postumo nel 1952, Il mestiere di vivere è un diario che copre temporalmente l’intero arco del percorso creativo di Pavese. Le riflessioni e le considerazioni contenute sono molto eterogenee; spaziano da ricerche di tipo stilistico a pensieri di natura esistenziale. E' il riassunto del particolare sentire dell’autore, nel quale emergono le tappe di un percorso spirituale e artistico in cui l’umana disperazione prende sempre il sopravvento. - Paesi tuoi
Così scrive Pavese del suo romanzo: Il voler commettere una malvagità a ogni costo, violentando la propria natura, è tipico dell’adolescenza e del bisogno di provare a se stessi che si è universali, al di là di ogni norma. ... Lo stile di Berto non va attribuito a un Berto, ma assimilato a una terza persona. L'opera suscitò molto scalpore all'epoca della prima pubblicazione per la trattazione dell'incesto e per il linguaggio che richiama il dialetto. - Poesie del disamore e altre poesie disperse
La raccolta comprende una cinquantina di poesie ordinate in cinque sezioni. Il volume apre con le Poesie del disamore, nelle quali è costante il riferimento alle relazioni uomo - donna, sempre per il poeta estremamente complesse e sofferte. Fanno parte della raccolta anche le liriche di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi - Prima che il gallo canti
In questi romanzi di Pavese, pur nei limiti autoimposti di una vaghezza e di una ricerca di ridondanza artistica, possiamo scorgere la chiarezza delle ragioni morali, la serena apertura mentale. Senza mai scivolare nel sentimentalismo, ci si rende conto che possiamo andare oltre all’arte dello scrittore e trovare soprattutto la sua umanità. - Racconti
Questo volume di Racconti di Pavese, testimonianza dell’evolvere della sua capacità letteraria, comprende la raccolta giovanile Ciau Masino, i dieci racconti compresi nella scelta postuma d’inediti raccolti precedentemente con il titolo Notte di festa, tutti gli altri racconti pubblicati su giornali e quelli che, fino all’edizione del 1960 erano rimasti inediti, compresi i frammenti e gli incompiuti. - La spiaggia
La vicenda si svolge nel giro di poche giornate in una calda estate ligure passata tra Genova e una casa in riviera. Attori, tutti intorno ai trent'anni, sono un gruppo di amici e conoscenti come quelli che si fanno un'estate al mare. In questo spicca l'amicizia di lunga data di Doro e del narratore, amicizia che si è scolorata al momento del matrimonio di Doro con Clelia, donna in gamba e affascinante.