Se la raccolta di poesie Lavorare stanca (prima edizione 1936) ebbe scarsa fortuna al momento della pubblicazione, questa successiva miscellanea di liriche di Pavese, edita per la prima volta nel 1962 nella forma qui presentata in Liber Liber, ebbe una significativa eco legata fortemente alla tragica fine dell’autore, soprattutto per quanto riguarda la sezione conclusiva del volume, dal titolo Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Questa infatti fu pubblicata separatamente per la prima volta nel 1951, pochi mesi dopo il suicidio di Pavese. Ed è invece interessante e piacevole rileggere oggi le Poesie del disamore e altre poesie disperse, ormai lontani nel tempo dalla vicenda umana dello scrittore e dal clamore della cronaca.
L’insieme è decisamente eterogeneo. Sono comprese nel volume una cinquantina di poesie – alcune già rimosse dalla precedente raccolta e reinserite qui – ordinate in cinque sezioni. Il volume apre con le Poesie del disamore, un gruppo di liriche degli anni 1934-1938 e quindi degli stessi anni di quelle di Lavorare stanca, ma nelle quali è costante il riferimento alle relazioni uomo – donna, sempre per il poeta estremamente complesse, sofferte e foriere di delusioni e sconforto.
A questo primo gruppo segue un corpus più ricco di Altre poesie degli anni 1931-1940, di soggetto e di composizione più varia e in cui sono ripresi i temi cari a Pavese, presenti anche in alcuni suoi racconti: le colline, lo stupore della natura, il passare degli anni… Si segnalano in particolare due poesie che sembrano discostarsi dal resto. La prima, Canzone, è un appassionato inno d’amore a Torino, la città di adozione del poeta, luogo degli studi, degli incontri, del lavoro ma anche delle passioni e della solitudine. L’altra, Il ragazzo che era in me, è una vivissima rievocazione dei giorni felici, spavaldi ma anche dolorosi dell’infanzia nei quali il gioco e la fantasia tentano a forza di farsi realtà .
Seguono le poesie de La terra e la morte (1945-1946), nelle quali l’amato verso lungo di Pavese, pensato per una poesia che è anche narrazione, si riduce a pochi vocaboli per riga accrescendo la musicalità del verso. Son tutte senza titolo quasi a far intendere che il titolo sia sempre ‘terra e morte’. Nelle Due poesie del 1946 permangono i versi corti e musicali per scrivere di una donna e di amore.
Chiude la raccolta l’insieme di liriche di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, che contiene alcune delle poesie più note e più straordinarie di Pavese. La prima edizione (1951) di queste dieci poesie, insieme con quelle de La terra e la morte, ebbe comprensibilmente un riscontro altissimo di critica, che lesse quasi unanimemente in questi versi il testamento spirituale dello scrittore. La voce di ogni critico letterario dalle pagine di ogni quotidiano, di ogni rivista, si fece sentire vivissima(1). Rileggere ora questi versi, a tanti anni dalla scomparsa dell’autore, può ridare il senso più puro alle sue poesie, può farci riassaporare tutta l’ariosa libertà di espressione. Tra queste si segnala, come riscontro all’inno a Torino di Canzone già citata, Passerò per Piazza di Spagna.
(1) Vale la pena di scorrere la voce Le recensioni di ‘Verrà la morte e avrà i tuoi occhi’ (pagg.206-214) nell’interessante libro di Luisella Mesiano, Cesare Pavese di carta e di parole : Bibliografia ragionata e analitica. Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2007. Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Scienze letterarie e filologiche dell’Università degli Studi di Torino.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit della prima poesia Il vino triste:
La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo.
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
(l’uomo solo non può non pensare al lavoro)
ridiventa l’antico destino che è bello soffrire
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
a mezz’aria, dolenti, come fossero ciechi.

