Questa è la prima raccolta, datata 1900, dell’intellettuale Clelia Romano Pellicano. Questa edizione in volume, per i tipi dello Stabilimento Tipografico Pierro e Veraldi di Napoli, comprende sette novelle, due delle quali erano state già pubblicate: Nuovo e vecchio mondo e Nella colpa potevano essere state lette nella rivista «Flegrea» rispettivamente nei fascicoli del 5 maggio e del 5 agosto 1899.
Sappiamo che Romano Pellicano scrisse su molte e prestigiose riviste dell’epoca ed è quindi assai complesso risalire a tutto ciò che uscì a sua firma. È quindi possibile che anche altre delle novelle qui contenute fossero state già pubblicate.
Come già esposto nell’ampia biografia della scrittrice, qui in Liber Liber, le novelle sono estremamente moderne, ovviamente non tanto per lo stile che si avvale comunque di una struttura, di lemmi e di immagini legati al periodo, quanto per un nuovo punto di osservazione sulle vicende che vedono coinvolte, e spesso vittime, sempre delle donne e per l’affrontare tematiche anche crude e dirette che mai erano state affrontate così esplicitamente in testi scritti da una donna. Il punto di vista è decisamente femminile e con questo si vuole indicare una visione del mondo opposta a quella maschile dominante, totalizzante. Questo non deve assolutamente far pensare a quel tipo di letteratura per donne, per giovanette, spesso con intenti educativi, abbastanza diffuso tra Ottocento e Novecento. Luigi Capuana al proposito, proprio commentando Coppie, che egli apprezzava molto, notava la ‘forza virile’ delle novelle di Romano Pellicano tanto da farlo convinto che l’autrice fosse in realtà un uomo.
La prima novella che compare nel volume è Nella colpa. La colpa, ma che in verità è un atto di coraggio, della protagonista, giovane madre di due figli è l’aver abbandonato il tetto coniugale ed essere andata a vivere con l’amante. Il figlio più piccolo si ammala e la madre accorre: la sua sofferenza di fronte della sofferenza del figlio è reale, tangibile, fortissima. Pur mantenendo qualche accenno lieve di ironia, la novella svela ogni profondità della relazione che lega la donna ai suoi figli: ogni gesto, ogni espressione, ogni pensiero, ogni sguardo è descritto quasi fosse un’anamnesi della maternità. Lunghissimo è per questa donna, moglie, madre, amante, il “Miglio d’oro” che separa la casa di famiglia dal nido degli amanti.
La seconda novella, Nuovo e vecchio mondo, mette a confronto, in forma di epistolario e in modo a volte potentemente ironico, i due elementi di una coppia che si scopre mal assortita: da una parte un lui, nobile toscano di famiglia ormai in disgrazia economica, dall’altra una lei, giovane iperattiva danarosa americana. L’urto, soprattutto sulle sorti del figlio, è inevitabile e fragoroso. La fine è straordinariamente moderna:
«Quel che mi resta è abbastanza filosofia per tirar delle previsioni da questo duello che si presta un po’ alla satira e ha in sè gli elementi del dramma, in cui si sono personificate due razze, due mondi, che è forse una sintesi e un simbolo.
Io penso l’Europa e l’America, il Passato e l’Avvenire di fronte e sento già il crollo che ci seppellirà tutti in questa immane fucina di pregiudizii, aggrappati alle vecchie istituzioni, nelle quali è forse il germe della nostra fine…
Ah, essi vinceranno sempre, poichè hanno la più rapida azione al servizio della Volontà più ferrea, e a servizio d’entrambe la forza davanti a cui tutto cede: il Dollaro!»
Nella terza novella, Salvazione, Romano Pellicano pone l’accento su quanto possa essere deleteria “quella tremenda macchina pneumatica che è la vita mondana”, capace di distruggere ogni “germe di bontà” nelle persone più fragili e più facilmente dipendenti dal giudizio degli altri. La biografia della scrittrice, qui in Liber Liber, ci ricorda che lei stessa era una persona estremamente ritrosa e poco amante della ribalta. Il messaggio, in un mondo governato dai social, è attualissimo.
La quarta novella, Dall’epistolario d’una sposa, ovvero come l’improvvisa rivelazione della gelosia può guastare la gita, e forse anche la vita, di due giovani sposi felici. Una sposina scrive all’amica come la gelosia, dopo appena un anno di matrimonio, sia entrata come un tornado nella sua vita di coppia. Il tema è serio e analizzato al microscopio da un punto di vista prettamente femminile, la narrazione è leggera e piacevolissima.
La quinta novella, Fiori del nord, sarebbe un po’ la quintessenza dell’adagio “Moglie e buoi dei paesi tuoi” se non fosse invece la dimostrazione evidente di quanto la difficoltà o l’incapacità a comunicare possa incidere su sentimenti profondi e distruggerli. Dare la colpa di un matrimonio fallito alle differenze di cultura, di abitudini di genti diverse è solo una grande ipocrisia.
In La fine d’un amore, sesta novella della raccolta, Romano Pellicano racconta di un mondo, quello dell’editoria, ch’ella deve aver conosciuto bene: dall’ispirazione, sempre pronta ad abbandonare l’autrice o l’autore, alla difficoltà di farsi pubblicare, al peregrinare per le redazioni, al successo, al declinare del successo… Se poi, immersi in questo mondo, sono una lei e un lui, amanti, ecco che entra nel gioco anche l’invidia di quello dei due (provate ad indovinare chi!) che si sente intimamente superiore all’altro.
L’ultima novella, Momenti climaterici, ripropone la situazione della sposa tradita, come se il tradimento fosse regola normale e da accettare. Questa volta però a fare le spese del tradimento è una giovane vedova che lo scopre solo dopo aver pianto lungamente il consorte deceduto. Interessante e divertente è la definizione, quasi scientifica, dei vari tipi di flirt.
La raccolta suscitò vero scalpore tra borghesi conformisti e solo la sua voglia di scrivere, il suo coraggio, la sua tenacia ed alcuni positivi giudizi critici incoraggiarono Clelia Romano Pellicano a proseguire la sua attività di scrittrice.
Libro assolutamente da non perdere!
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi
NOTA: In caso di riproduzione di tutto o parte di questo testo, si prega cortesemente di citarne l’autrice e Liber Liber.
Dall’incipit della prima novella Nella colpa:
Il bimbo era rientrato a casa troppo rosso, s’era lamentato a pranzo d’una gran pesantezza al capo, e, senza toccar la zuppa, la quale doveva essersi molto meravigliata di tanta indifferenza, era andato a letto con la lingua spessa, gli occhi tutto un luccicore: un febbrone da cavallo.
Appena la madre lo seppe, piombò in casa come un areolita, forzò le porte, si precipitò in camera e cadde, come sospinta da una molla, a braccia aperte sul lettuccio, incollando la bocca nascosta dalla doppia veletta sulla fronte ardente del bimbo.
Ebbe appena un balbettìo soffocato: Pepito… anima mia! – e un gesto largo, un po’ selvaggio, quasi volesse sollevarlo di peso, nasconderlo nel suo mantello, portarselo via come una zingara ladra.
Il padre s’era levato per uscire, un po’ pallido, e le aveva detto a mezza voce accennando la poltrona che occupava: Signora, il vostro posto è qui: restate pure.
Ella era rimasta. In un batter d’occhio s’era liberata del mantello, del cappellino, del velo, sprigionata dalla fascetta come da un calice di raso e trine. Aveva abbracciato con un’umida occhiata la stanzetta gentile che le appariva tal quale l’aveva vista l’ultima volta con l’armadietto d’acero, il tavolo da studio, la palchettiera dei libri, impossessandosi con quell’occhiata della camera, del bimbo, di tutto. Poi con un ondulare quasi serpentino della persona alacre e breve mosse verso uno scaffaletto dove digià s’aggruppavan le fiale, si chinò a leggere una ricetta e ritornò alla poltrona dove s’installò da infermiera.

