Dall’incipit del libro:
Dinanzi all’osteria di Muzio Scevola, in Trastevere, sventolavano un sabato sera le ban diere tricolori e quelle gialle a rosse del Comune di Roma, e dalle finestre delle casupole vicine pendevano tralci di lauro, ai quali erano appesi i lampioncini di più colori, pronti per la illuminazione. Sopra la porta dell’osteria vi era i l ritratto di Garibaldi, circondato pure di lauro, e intorno a quello erano disposte le candele infilate nelle punte di ferro. Sulla piazzetta davanti all’osteria stavano molti uomini aggruppati a capannelli e discutevano vivamente; alcuni appartenevano alla classe dei bottegai e portavano le catene d’oro pesanti attaccate ai primi bottoni della sottoveste, il corno di corallo penzoloni e le cravatte visto se; altri invece appartenevano al ceto dei cittadini, e la maggior parte al popolo minuto. I cittadini, che erano in minor numero, andavano da un gruppo all’altro e posavano familiarmente la mano sulle spalle dei popolani. A un tratto, nel veder scendere da una botte un gio vinotto sbarbato e vestito correttamente di saia turchina, tutte le conversazioni cessarono, i capannelli si scomposero e la folla si spinse verso di lui.
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