Dall’incipit del libro:
Il poeta ha toccato da molti anni il vertice della fama; e vi siede tranquillo, con il consenso generale, senza contrasti.
Leone Tolstoi è glorificato insieme e scomunicato. Intorno al Carducci non risuonano ora che lodi; e s’inchinano a lui, da un pezzo, anche gli avversari di un tempo. Lo stesso Max Nordau, che ha messo tanto studio a trovare il bacillo della «degenerazione» negli scrittori contemporanei più in voga, si è come fermato dinanzi al Carducci: anzi ha espressa la sua meraviglia che un ingegno così libero e animoso sia insieme così equilibrato e così sano; e abbia potuto fiorire nel nostro tempo…
Che potrei io aggiungere adesso al gran coro plaudente? Vorrei invece riunire qualche sparso fiore di ricordi e posarlo sull’altare della memore Amicizia.
Ricordo, come se fosse adesso, la prima volta che sentii il suo nome. Andavo per via Cavaliera, a Bologna, verso l’Università insieme al mio povero amico Adolfo Borgognoni; e lo udivo ripetere ogni tanto, a voce spiccata, come un ritornello, questi due ottonari:
Sul Palagio de’ Priori
Ne la libera città…
Gli chiesi di chi fossero e mi nominò Giosuè Carducci. Quello stesso giorno, cercai in biblioteca il periodico ove erano stampati (parmi che fosse la Rivista Contemporanea) e lessi tutta l’ode con cui il poeta aveva salutata l’alba del moto italiano a Firenze, nel 1859.
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