Francesco Pastonchi nacque a Riva Ligure il 31 dicembre 1874. La madre Fanny Grossi era originaria del posto e appartenente ad antica e nota famiglia sanremese; il padre Davide era invece di origini toscane. Rimase però orfano di entrambi i genitori molto presto e, dopo aver completato a Sanremo gli studi liceali, si trasferì a Torino e si iscrisse alla facoltà di lettere. Qui ebbe modo di frequentare i corsi di Arturo Graf e, tramite questo insegnante, di poter prendere parte attivamente alla vita culturale cittadina partecipando all’attività della Società di Cultura dove conobbe, divenendone amico, altri intellettuali come Enrico Thovez, Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti. Divenne quindi, pur senza mai conseguire la laurea, uno dei più noti e singolari personaggi della vita letteraria torinese dell’inizio del ’900, tra i crepuscolari e gli ultimi scapigliati.
Fin da quegli anni si dedicò all’attività di dicitore, che fu in pratica la sua professione per anni, soprattutto quando il mezzo radiofonico iniziò ad utilizzare queste sue dizioni di versi propri e altrui, soprattutto di Dante.
Fin dal 1893 collaborò con la “Gazzetta letteraria”, il “Venerdì della contessa”, la “Gazzetta del popolo della Domenica”. Non dimentico della sua terra nativa fu collaboratore assiduo dal 1900 al 1904 del giornale di Mario Novaro “la Riviera Ligure”. Dal 1902 e per il resto della sua vita fu collaboratore del “Corriere della Sera”, avendo iniziato a scrivere per il supplemento mensile di questo quotidiano “la Lettura”. Collaborò anche con “la Stampa” di Torino. Insieme a Domenico Chiattone e Leonardo Bistolfi diede vita al settimanale “Il Piemonte” e fu direttore per qualche mese a cavallo tra il 1904 e il 1905 del settimanale torinese “Il Campo” prima che la direzione dello stesso fosse assunta da Balsamo-Crivelli.
Cominciò prestissimo, fin dal 1892, a pubblicare poesie; la sua prima raccolta, pubblicata a Savona, si intitola Saffiche. Il suo primo testo poetico più organico è la raccolta di sonetti Belfonte, del 1903. In un’epoca nella quale i giovani poeti andavano sperimentando nuove maniere di verseggiare, Pastonchi mantenne sempre un fedele ossequio alla tradizione, vedendo questa come custode di miti formali eternamente ripetuti, se pur sempre portatori di eleganza letteraria, oscillando fra Carducci e D’Annunzio senza però trovare un equilibrio stabile e rimanendo influenzato sia dai crepuscolari che dalla retorica civile e patriottica.
Nel 1917 prestò servizio militare a Milano con il grado di tenente e cominciò a scrivere testi per l’infanzia che furono dati alle stampe nel 1920; Rititi e Tre favole belle, con illustrazioni rispettivamente di Primo Sinopico e Bruno Angoletta. In questa fase iniziò la sua collaborazione con la casa editrice Arnoldo Mondadori, con la quale pubblicò nel 1921 il primo volume, Il randagio, di un poema in tre tomi rimasto progetto incompiuto.
All’avvento del fascismo Pastonchi mise in pratica la sua attività di poeta al servizio del regime, divenendo interprete della visione nazionalistica del momento. Si intensificò la sua collaborazione con Mondadori facendo parte della giuria del premio “per la giovane letteratura”. Questo collegio giudicante si trasformò in Accademia nel 1924 e dal 1926 Pastonchi ne fu vicepresidente. Il primo volume della collana che avrebbe dovuto dirigere, “Raccolta nuova dei classici italiani”, fu però anche l’ultimo perché Mondadori chiuse rapidamente il progetto per dedicare ad altro i propri sforzi editoriali. Per questa collana Pastonchi aveva elaborato anche un nuovo carattere tipografico (che infatti si chiama “Pastonchi”) che fu poi utilizzato nella collana dei “Classici Italiani” diretta da Francesco Flora.
Successivamente Pastonchi diresse l’evoluzione della propria scrittura poetica in una direzione di rinnovamento e di sperimentazione, addirittura con qualche sconfinamento nel verso libero, ma questa direzione fu presto abbandonata per tornare almeno in parte nell’alveo della tradizione sia dal punto di vista formale (endecasillabo) che da quello dei temi trattati: tuttavia in Endecasillabi (1949) raggiunge forse i suoi risultati poetici più validi e una qualche modernità e, pur nei toni malinconici in relazione alle trascorse esperienze di vita e di studiata calma saggezza, riesce a scalfire il formale rivestimento di convenzione letteraria e di ricerca di oratoria forbita.
Avendo rapporti personali con il poeta Paul Valery, fu promotore della partecipazione di quest’ultimo ai lunedì letterari del Casino di Sanremo.
Nel 1935 fu nominato professore di letteratura italiana presso l’Università di Torino, e poiché non ne aveva i titoli la nomina, di chiara matrice politica, fu “per chiara fama” scavalcando chi più di lui ne avrebbe avuto diritto, in particolare Carlo Calcaterra. In quegli anni si dedicò anche al teatro, per il quale aveva avuto interesse fin da giovanissimo con le opere Oltre l’umana gioia (1898) Fiamma (1911 in collaborazione con Antona-Traversi), La sorte di Cherubino (1912). Questo interesse riprese forma nella brutta tragedia Simma (1935) che può essere ricordata soprattutto come apologia del fascismo e di Mussolini ma che per ragioni non certo letterarie resta il suo lavoro teatrale più ricordato. La rappresentazione tuttavia ebbe scarsissimo successo.
Nel 1939 tradusse il primo libro delle Odi di Orazio. Nel 1941 fu nominato accademico d’Italia, e nel 1947, ormai settantreenne lasciò l’insegnamento ottenendo poi nel 1950 il titolo di professore onorario. Scrisse anche un romanzo Il violinista (1908) con il quale coniuga un’impronta mondana alla matrice dannunziana, e alcune raccolte di novelle: Il mazzo di gelsomini (1913), Il campo di grano (1916), Le trasfigurazioni (1917). Restano di lui anche alcuni volumi di prose critiche: Cronache di poesia (1916), Francesco Petrarca (1941), Ponti sul tempo (1947).
Morì il 29 dicembre 1953 a Torino e fu sepolto nel suo paese natio, a Riva Ligure.
Fonti:
- C. Calcaterra, Con Guido Gozzano e altri poeti. Milano 1944.
- E. Cardinale, voce Pastonchi, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani.
https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-pastonchi_(Dizionario-Biografico)/ - G. Titta Rosa. Poesia Italiana del Novecento, Siena 1953.
- G. Barberi-Squarotti, voce Pastonchi, Francesco, in GDE, Torino 1985.
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Belfonte
Sonetti
In quell’epoca, i primi del ‘900, nella quale le rime sembrano passare di moda, Pastonchi sceglie di attenersi alla tradizione armonica dei “classici”; tuttavia in questa ricerca dell’armonia, in questa continua opera di cesello, l’autore si concentra sulla ricerca formale e tralascia la profondità, la spontaneità.