Dall’incipit del libro:
Al tempo che rinnova i miei sospiri
per la dolce memoria di quel giorno
che fu principio a sì lunghi martiri,
già il sole al Toro l’uno e l’altro corno
scaldava, e la fanciulla di Titone
correa gelata al suo usato soggiorno.
Amor, gli sdegni, e ‘l pianto, e la stagione
ricondotto m’aveano al chiuso loco
ov’ogni fascio il cor lasso ripone.
Ivi fra l’erbe, già del pianger fioco,
vinto dal sonno, vidi una gran luce,
e dentro, assai dolor con breve gioco,
vidi un vittorïoso e sommo duce
pur com’un di color che ‘n Campidoglio
triunfal carro a gran gloria conduce.
I’ che gioir di tal vista non soglio
per lo secol noioso in ch’i’ mi trovo,
voto d’ogni valor, pien d’ogni orgoglio,
l’abito in vista sì leggiadro e novo
mirai, alzando gli occhi gravi e stanchi,
ch’altro diletto che ‘mparar non provo:
quattro destrier vie più che neve bianchi;
sovr’un carro di foco un garzon crudo
con arco in man e con saette a’ fianchi;
nulla temea, però non maglia o scudo,
ma sugli omeri avea sol due grand’ali
di color mille, tutto l’altro ignudo;
d’intorno innumerabili mortali,
parte presi in battaglia e parte occisi,
parte feriti di pungenti strali.
Vago d’udir novelle, oltra mi misi
tanto ch’io fui in esser di quegli uno
che per sua man di vita eran divisi.
Allor mi strinsi a rimirar s’alcuno
riconoscessi ne la folta schiera
del re sempre di lagrime digiuno.


