E’ tra i più noti atti unici del teatro pirandelliano. Derivata da una sua precedente novella dal titolo “Caffè notturno”, questa commedia, incentrata su di uno sconosciuto (malato terminale di cancro) che si racconta ad un viaggiatore in una piccola stazione di provincia, pone il problema dell’uomo davanti alla morte. Il monologo del protagonista è, come sempre in Pirandello, portato avanti con estrema coerenza. In teoria la commedia, mancando di azione, non potrebbe essere definita “teatro”, ma l’autore è stato in grado di arricchirla di particolari capaci di offrirle una cornice fortemente significativa dal punto di vista della messa in scena.
Dall’incipit del libro:
L’UOMO DAL FIORE. Ah, lo volevo dire! Lei dunque un uomo pacifico è… Ha perduto il treno?
L’AVVENTORE. Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.
L’UOMO DAL FIORE. Poteva corrergli dietro!
L’AVVENTORE. Già. E` da ridere, lo so. Bastava, santo Dio, che non avessi tutti quegli impicci di pacchi, pacchetti, pacchettini… Più carico d’un somaro! Ma le donne – commissioni… commissioni… – non la finiscono più. Tre minuti, creda, appena sceso di vettura, per dispormi i nodini di tutti quei pacchetti alle dita; due pacchetti per ogni dito.
L’UOMO DAL FIORE. Doveva esser bello! Sa che avrei fatto io? Li avrei lasciati nella vettura.




