Dall’icipit del libro:
EUTIFRONE Oh, che c’è di nuovo, Socrate? mi pianti la conversazione del Liceo e te la
spassi qua attorno per il portico del Re? Tu dal Re non ci hai da aver lite, come ce l’ho io.
SOCRATE Eutifrone, gli Ateniesi questa mia non la chiaman lite, no, ma accusa.
EUTIFRONE O bella! ti ha alcuno mosso accusa,pare? Tu a un altro? non credo.
SOCRATE Io no.
EUTIFRONE Un altro, a te?
SOCRATE Sí.
EUTIFRONE Chi?
SOCRATE Né anche io lo conosco bene: e’ mi par giovi ne, una faccia nuova; credo lo
chiamino Melito: e di borgo è Pittéo. Hai tu in men te un Melito Pittéo, capelli lunghi, pelo ancor vano, naso adunco?
EUTIFRONE No, Socrate: ma qual è codesta accusa?
SOCRATE Tale, penso io, che non gli farà vergogna; perché ti pare un affar di nulla quel che sa lui, cosí giovine! Sa nientedimeno, come va dice ndo, in quali modi sian guasti i giovani, e chi son quei che li guastano. E ho una paura ch’e’ sia q ualche brav’omo, che, adocchiata la mia ignoranza con la quale io fo prendere mala piega a quelli dell’età sua, ricorre alla repubblica come a una madre, e m’accusa. Certo fra i politici egli è il solo che mi pare cominci a modo: perocché prima convien pigliarsi cura de’ giovani perché veng an su buoni quanto può essere; come fa l’accorto lavoratore che prima si piglia cura delle pianticelle piú tenere; poi degli altri. E forse Melito pon la falce prima su noi, che, come va dice ndo, annebbiamo i gentili germi de’ giovani; dopo, non v’ha dubbio, rivolgendo le cure sue ai pi ú vecchi, farà al paese nostro un bene da non si dire come s’ha ad aspettare da uno che principia co sí.
Traduzione di Francesco Acri.


