Traduzione italiana di Alfredo Giannini.
Dall’incipit del libro:
In una celletta del gran convento dell’Escorial solitario, da una grata della quale lo sguardo languente poteva discernere il queto chiarore delle lampade che giú nel tempio, ardevano silenziose, davanti all’altare maggiore, moriva nell’autunno del 1598, dopo quarantadue anni di regno, il tetro e bigotto Filippo II. Quel suo cuore gelido, chiuso ad ogni affetto che non fosse stato di interesse religioso, aveva esultato alla domata insurrezione dei Moreschi di Andalusía, alla gloria delle armi cristiane a Lepanto, allo sterminio degli Ugonotti nella notte di S. Bartolomeo: ora che delusione però le Fiandre calviniste, prospere nella libertà politica e religiosa, per chi aveva sognato e s’era dato tenacemente a stabilire, col piú illimitato dispotismo nel reame, il trionfo della fede cattolica in tutta l’Europa Occidentale! Moriva l’ambizioso monarca e forse ancora una volta rinascevano nel suo spirito immagini funeste e ricordi amari: era il bagliore delle fiamme che si levavano dalle ventisei navi incendiate dagli Inglesi nel porto di Cadice; era l’Invincibile armata di trenta galeoni con cinquantamila uomini vinta e distrutta dalla furia della tempesta e dagli svelti vascelli della regina Elisabetta nelle acque della Manica, che videro tramontare cosí il primato navale di Spagna, e sorgere, in suo luogo, quello d’Inghilterra; era la vittoria di Enrico IV sulla Lega e sui Ghisa con l’abiura della fede calvinista che gli aveva ridato Parigi; era infine la caduta di ogni bel sogno di dominio segnata quello stesso anno della sua morte col trattato di Vervins.

