Amelia Pincherle nacque a Venezia il 16 gennaio 1870. Era l’ultima di sette figli, dei quali tre morirono nella primissima infanzia. La sorella Elena, la maggiore, era di venti anni più anziana di Amelia e fu lei ad allattarla poiché aveva avuto un bimbo nato quasi contemporaneamente. Subito dopo Elena si trasferì a Torino divenendo per la piccola Amelia quasi un’estranea. Il fratello Gabriele fu un noto giurista e senatore e collaborò alla riforma “Zanardelli” del codice penale. Un’altra sorella si chiamava Anna e il fratello Carlo che era ingegnere e architetto fu padre dello scrittore Alberto Moravia, molto affezionato alla zia Amelia che lo incoraggiò fin da bambino a perseguire l’attività letteraria. Il padre Giacomo Pincherle era rimasto orfano da bambino ed era stato adottato da uno zio Moravia che gli diede anche il cognome.
Proveniva da famiglia irredentista di religione ebraica. In particolare un prozio di Giacomo, Leone Pincherle, partecipò attivamente alla difesa della repubblica di Venezia a fianco di Daniele Manin che era amico di famiglia. Anche lo zio di Emilia Capon, madre di Amelia, Giacomo Capon, noto con lo pseudonimo di giornalista scrittore Folchetto, fu attivo durante la breve vita della Repubblica di san Marco che terminò con l’esilio in Francia dei protagonisti.
Amelia studiò con ottimo profitto presso l’Istituto superiore femminile. Gli affari del padre iniziarono ad andare meno bene, i figli si trasferivano altrove per studio e per dar vita alla loro famiglia e, quando Amelia aveva 16 anni, il padre morì e lei si trasferì a Roma con la madre appoggiandosi a Gabriele che all’epoca era segretario del ministero di Grazia e Giustizia. Qui conobbe è sposò nel 1892 con rito ebraico il musicista italo-inglese Giuseppe “Joe” Emanuele Nathan Rosselli, nativo di Livorno, anch’egli ebreo di nobiltà sefardita e mazziniano. La famiglia s’era arricchita con l’esportazione di vari prodotti (caffé olio, piume di struzzo etc.), possedeva numerosi immobili e aveva persino fondata una banca. I suoi genitori erano amici di Mazzini ed ebbero un ruolo rilevante durante la permanenza di quest’ultimo, sotto falso nome, a Pisa.
I giovani coniugi si trasferirono a Vienna per ragioni di perfezionamento musicale di Giuseppe Rosselli e nella capitale austriaca nacque il primo figlio Aldo. Rimasero a Vienna quattro anni prima di far ritorno a Roma dopo aver constatato che lo scopo del trasferimento non veniva raggiunto a causa di una certa instabilità e incostanza di Joe che amava la vita mondana e il tavolo da gioco. È a questo punto che Amelia divenne la prima donna italiana autrice di opere teatrali.
Nel 1898 a Torino fu rappresentato al teatro Gerbino dalla compagnia “Teatro d’Arte” il sua dramma in tre atti Anima: il successo fu immediato con numerose rappresentazioni in tutta Italia e nell’ottobre del 1898 vinse il Concorso drammatico dell’Esposizione Nazionale. Fu la prima esperienza letteraria coronata da successo seguita poi da altri cinque drammi e quattro testi di narrativa.
Il 16 novembre 1899 nacque a Roma il secondo figlio Carlo e il 29 novembre 1900 nacque Nello, sempre chiamato così in famiglia e dagli amici nonostante il suo nome fosse Sabatino, in ricordo del nonno paterno deceduto di recente. Dopo la nascita dei figli si trasferirono nei pressi di Prato dove già abitualmente villeggiavano, e due balie del posto, Montepiano, contribuirono all’allattamento dei piccoli. Fu qui che Amelia conobbe e strinse solida amicizia con Laura Orvieto (vedi in questa biblioteca Manuzio); quest’ultima narra di questa amicizia nel suo Storia di Angiolo e Laura.
Già nel 1901 Amelia riprese la sua attività di autrice di teatro con l’opera Felicità perduta del 1901; il dramma, di stampo ibseniano – già Amelia Rosselli era stata paragonata alle grandi autrici teatrali del nord Europa come Charlotte Leffler svedese, e la tedesca Elsa Bernstein – fu rappresentato al Carignano di Torino interpretato dalla grande attrice Teresa Mariani; la raccolta di novelle Gente oscura è del 1903. Dal 1905 si dedicò anche a scrivere racconti per bambini. Nel 1903 Amelia si separò dal marito, pur mantenendo buoni rapporti; Giuseppe Rosselli aveva conosciuto a Montecarlo una giovane cantante lirica e se ne era innamorato. Ma si era anche incamminato su una strada di dissipazione dell’ingente patrimonio ereditato dal padre che era morto pochi mesi prima della nascita di Nello.
Amelia si trasferì a Firenze con i figli e tra il 1908 e il 1910 scrisse due opere teatrali in dialetto veneziano. El Rèfolo e El socio del papà. Sono, secondo alcuni critici, il meglio della sua opera teatrale e furono scritte per l’interpretazione del grande Ferruccio Benini. El Rèfolo venne rappresentato al “Quirino” di Roma il 26 gennaio 1909 e Amelia Pincherle viene indicata dalla critica come «una delle poche scrittrici che posseggono il senso del teatro» (Domenico Oliva sul “Giornale d’Italia). Successivamente, nel 1913 la terza commedia in dialetto veneziano San Marco è invece un insuccesso.
A Firenze ritrova parenti sia del marito che suoi, in particolare il cugino Augusto Capon che è padre di tre figlie tra le quali Lalla, futura moglie di Enrico Fermi. Tra i parenti dei Capon troviamo il veneto Giulio Zabban con grande fattoria a Rignano sull’Arno, lo “zio Giù” che insegnerà a Carlo i primi rudimenti di economia. Nel 1911 Amelia riaccolse in casa Giuseppe Rosselli, malato di nefrite, che morì nel settembre dello stesso anno. L’eredità paterna, piuttosto consistente, servì poi anche a finanziare l’attività politica dei fratelli Carlo e Nello. La combattività e il valore intellettuale di Amelia è testimoniata oltre che dalla sua opera, dalle frequentazioni della sua casa di via Giusti a Firenze: tra i frequentatori vi era Benedetto Croce oltre a tanti giovani tra i quali va ricordata almeno Alice Weiss, futura madre di don Lorenzo Milani. La cognata di Alice, Elisa Milani, era tra le più attive nel movimento emancipazionista femminile a Firenze che ruotava attorno al circolo culturale Lyceun Club Internazionale, e anche Amelia si adoperò per vedere riconosciuti i diritti previdenziali delle domestiche e per il miglioramento dell’istruzione professionale femminile. Tra le sue conoscenze ricordiamo almeno Scipio Sighele, sociologo di impronta lombrosiana, e il pittore macchiaiolo Cecco Gioli. Tramite Laura e Angiolo Orvieto conobbe anche Eleonora Duse e lo scrittore d’arte e di estetica Angelo Conti.
Fu molto attenta all’educazione dei figli fondata soprattutto sull’etica mazziniana. Collaborò alla rivista “Marzocco” punto di riferimento dell’intellettualità ebraica; scrisse recensioni per la rivista “Società degli amici del libro” la rivista della marchesa Maria Bianca Viviani della Robbia. Le Monnier le affidò la cura della Biblioteca delle giovani italiane, collana di libri per fanciulle. I libri per bambini ai quali ho accennato sopra sono ispirati all’esperienza dei suoi propri figli, in particolare di Aldo, il più turbolento, che venne avviato al lavoro in una falegnameria due o tre volte alla settimana, per contribuire a domare il suo fare ribelle e contemporaneamente altezzoso verso i più deboli e poveri. Topinino garzone di bottega del 1909 è ispirato da questa esperienza del suo figlio primogenito. Il quale dovrà poi rassegnarsi all’esperienza del collegio per domare il suo carattere difficile.
Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia il primogenito Aldo, che studiava medicina a Firenze, si arruolò volontario e morì in prima linea nel marzo 1916 a soli 21 anni. Anche Carlo e Nello furono chiamati alle armi nel 1917 e la ferma si protrasse ben oltre la durata della guerra ma sempre lontano dai pericoli bellici. La morte di Aldo fu un duro colpo per Amelia che ne risentì molto sul piano della salute soprattutto nervosa. La presenza e l’assiduità degli altri due figli fu l’ancora di salvataggio che le consentì di riemergere dal torpore disperato che l’aveva assalita. Per sfuggire ai ricordi cambiò casa stabilendosi oltr’Arno nel quattrocentesco palazzetto Strozzi Ridolfi e qui attenderà il ritorno dei figli dalla ferma militare. Imperniato sul tema dei giovani morti in guerra è Figli minori del 1921. Se si esclude il dramma Emma Liona, mai rappresentato, è questa l’ultima fatica letteraria di questa scrittrice.
I due fratelli Rosselli erano attivi, in quegli anni che precedettero il consolidarsi del regime fascista, in attività sociali per lo più rivolte ai giovani in difficoltà. Ma con l’avvento delle leggi speciali del 1925 tutto divenne più difficile. Dopo il delitto Matteotti, Firenze fu messa sottosopra dagli squadristi. Gaetano Salvemini fu ospitato a casa della famiglia Rosselli. Ma quando i due fratelli iniziarono a stampare il giornale clandestino “Non mollare” accusando apertamente Mussolini di essere il mandante dell’omicidio Matteotti anche la loro casa fu assalita e devastata.
Verso la fine del 1925 Alberto Pincherle Moravia fu ospite della zia Amelia per un mese appena dimesso dal sanatorio Codevilla di Cortina dopo oltre un anno di ricovero. Alberto Moravia dirà in seguito che la zia gli salvò la vita. Fin dal 1926 Carlo e Nello furono perseguitati dal regime subendo arresti e condanne (senza neppure processo) al confino. Non ci dilunghiamo su queste vicende che possono essere approfondite leggendo, in questa stessa biblioteca Manuzio, le note biografiche (e le opere) dei due fratelli Rosselli, ma va sottolineato che Amelia fu sempre vicina ai figli sia al confino (Ustica, Lipari e Ponza) che in carcere e in esilio in Francia. Furono per lei anni di profonde angosce ma mai trascurò il suo ruolo di madre e poi di nonna. Anche le vicende che portarono alla morte di Carlo e Nello, dalla partecipazione alla guerra civile spagnola alla trappola tesa dai servizi segreti fascisti per eliminarli fisicamente nel 1937 sono troppo note per doverle ricordare anche qui.
Quando i figli furono vigliaccamente assassinati Amelia era a Firenze e fu avvertita da un telegramma della nuora Marion che la pregava di partire immediatamente per Parigi tacendo tuttavia la terribile notizia. Amelia fu accompagnata Parigi da Aldo Forti, amico di Nello. Comprese il dramma che doveva affrontare all’arrivo alla gare de Lyon, venendo attorniata dai giornalisti che attendevano la “madre dei Rosselli”. Il 19 giugno 1937 ci furono i funerali di Carlo e Nello e Amelia non potè partecipare; troppo forte e devastante il suo dolore per poter anche solo pensare di condividerlo. Abbiamo traccia e ricordo di quei tragici momenti attraverso le sue Memorie e qualche lettera.
Nel 1938 l’emanazione delle leggi razziali indusse prudentemente i superstiti della famiglia Rosselli a fuggire in Svizzera. Nell’ambiente antifascista degli italiani esiliati in territorio elvetico ebbe la compagnia e il conforto dei vecchi amici Gina Lombroso e Guglielmo Ferrero, che a loro volta avevano perso recentemente il figlio Leo in un incidente automobilistico. A Villars-sur-Ollon, dove Amelia aveva preso residenza, fu raggiunta dopo poco tempo dalla nuora e i suoi quattro figli. Ma in Svizzera per motivi legati alla loro appartenenza alla razza ebraica non veniva concesso il rinnovo del permesso di soggiorno ai bambini, per cui nel 1939 la famiglia si trasferì in Inghilterra dato che Marion era di origine inglese e poteva usufruire di un qualche appoggio. La stessa Marion, che era a Parigi, raggiunse il resto della famiglia quando le armate hitleriane puntavano ormai su Parigi. Inizialmente si stabilirono a Eastbourne ma allo scoppio del secondo conflitto mondiale si trasferirono a Quainton nella campagna londinese per sfuggire ai bombardamenti.
Ancora una volta dovettero trasferirsi e ad agosto del 1940 Amelia con le due nuore e sette nipoti sbarcarono a Montreal e con un treno giunsero a New York alloggiando presso un centro di accoglienza ebraico. Le impressioni dei nipoti riguardo a questo periodo sono riportate nelle Memorie. In questo periodo Amelia collaborò con Salvemini attraverso l’attività della Women’s Division della Mazzini Society e fu presidente del Committee for Relief to Victims of Nazi-Fascism in Italy.
La sua battaglia era anche per rendere giustizia ai figli: gli esecutori materiali erano stati incarcerati fin dal 1938 ma mancavano ancora i mandanti. Tra il 29 gennaio e il 12 marzo 1945, a Roma già liberata dagli alleati e dalla Resistenza, iniziò il processo per il delitto dei fratelli Rosselli. Amelia era parte civile insieme alle due nuore. Avrebbero potuto rientrare in Italia al momento della proclamazione della repubblica ma il riacutizzarsi di un problema di salute di Marion, malata di cuore fin dalla giovinezza, costrinse a un rinvio e la famiglia Rosselli rientrò in Italia il 30 giugno 1946 e giunse a Firenze il 2 luglio. Marion rientrò presto in Inghilterra dove morì nell’ottobre del 1949.
Fino all’ultimo suo giorno di vita Amelia si dedicò alla memoria dei figli. Morì a Firenze, nella sua casa di via Giusti, il 27 dicembre 1954. È sepolta a Roma al cimitero del Verano accanto alla tomba del marito.
Fonti:
- G. Fiori, Casa Rosselli. Vita di Carlo, Nello, Amelia, Marion e Maria. Bari, 2022.
- S. Di Pasquale, Storie di Madri. Marie-Anne Robinot, Amelia Pincherle Rosselli, Alice Weiss. Firenze, 2022.
- A. Rosselli, La famiglia Rosselli, una tragedia italiana. Milano 1990.
- G. Taglietti, Le donne di casa Rosselli. Cremona 2008.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
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- Fratelli minori
Questo non è propriamente romanzo, né una biografia, né un saggio politico. Certamente fu scritto pensando alle mamme che avevano perduto i figli nella guerra, al loro dolore, che l’autrice conosceva bene per amara esperienza diretta. È una testimonianza pregnante e decisamente non convenzionale sul tema della prima guerra mondiale e dell’intervento italiano.