Dall’incipit del libro:
Non si appartiene a me di giudicare questo libro. Il supremo giudice de’ libri, è il tempo. Un libro può essere tre cose: una cosa nulla, una cosa rea, una cosa buona. Il tempo risponde con un immediato silenzio alla prima; con un meno immediato alla seconda; con una più o meno continua riproduzione alla terza. E il suo giudizio è inappellabile.
Nondimeno, poiché fu sì fitto e sì lungo il silenzio in cui ci profondarono i nostri confederati tiranni, da potersi veramente affermare, che solamente pochissimi, non modo aliorum, sed etiam nostri, superstites sumus, parmi indispensabile che il nuovo lettore non ignori la storia del libro ch’ora viene innanzi.
Fra il 1830 e il 1831, esule ancora imberbe, capitai in Londra, o, più tosto, mi capitò in Londra alle mani un aureo lavoro d’un altro esule, assai più riguardevole e provetto di me, il conte Giovanni Arrivabene: nel quale egli mostrava partitamente tutto quanto quella gran nazione ha trovato, in fatto di pubblica beneficienza, per lenire, se non guarire del tutto, quelle grandi piaghe che le sue medesime instituzioni le hanno aperte nel fianco.


