Benedetto Ramberti nacque a Venezia attorno al 1503 da genitori istriani, proprietari di una spezieria. Versato negli studi classici e soprattutto nelle lettere latine, fu discepolo di Gabriel Trifone e Antonio Telesio, e dopo aver frequentato l’Accademia di Aldo Manuzio, dove si impratichì nella correzione dei testi tipografici, si avviò alla carriera segretariale e cancelleresca al servizio della repubblica veneta: un impiego subalterno e modestamente retribuito ma tranquillo e, a seconda dei casi e della fortuna, non privo di soddisfazioni professionali. Così sarebbe capitato pure al Ramberti, che nel dicembre del 1525 esordì come segretario straordinario del Consiglio dei dieci e cinque anni dopo diventò segretario di Niccolò Tiepolo, ambasciatore presso Carlo V, rimanendo in servizio anche col successore Marcantonio Contarini, e seguendo per più di due anni la corte imperiale fra la Germania, l’Italia e la Francia, prima di essere nominato segretario del Senato sul finire del 1532.
Il 1534 segnò l’evento più importante della sua esistenza, allorché accompagnò il cugino Daniello Ludovisi a Costantinopoli, in una inusuale missione diplomatica presso il sultano Solimano il Magnifico (1520-1566): si trattava del delicato compito di rimediare a un fatto increscioso che minacciava di incrinare i rapporti di pace fra la Serenissima e il governo turco, dopo che nel novembre dell’anno avanti un inconsulto fatto d’armi aveva in parte distrutto una squadra navale ottomana scambiandola per una formazione di pirati algerini. I due si misero in viaggio il 4 gennaio 1534, e, costeggiando l’Istria e la Dalmazia fino a Dubrovnik raggiunsero Trebinje ai primi di febbraio; da qui, lungo un itinerario impervio e insidioso attraverso la Serbia e la Moravia, pervennero a Sofia al termine del mese, e dalla Macedonia arrivarono infine nella capitale alla metà di marzo.
L’ambasciata si risolse con soddisfazione di entrambi i governi, e tornato in patria il Ramberti partecipò al convegno di Nizza nel 1538 (dove convennero il papa Paolo III, Carlo V e il re di Francia Francesco I), quale segretario degli ambasciatori Niccolò Tiepolo e Marcantonio Cornaro. Nel 1543 fu poi inserito nella legazione che incontrò Carlo V di passaggio in territorio veneziano.
Per il resto, della sua vita nulla si conosce a parte il matrimonio con una donna dei Martinengo, dal quale non nacquero figli. Relativamente meglio noti i rapporti col mondo culturale veneto, che egli continuò a frequentare anche durante l’attività segretariale, come testimonia il ricco epistolario, che oltre al già ricordato Telesio annovera tra gli altri i nomi di Pietro Aretino, Bernardino Maffei, Sperone Speroni, e in specie di Paolo Manuzio, che nel 1541 gli dedicò la propria edizione del De officiis di Cicerone. Appassionato classicista, lasciò manoscritta una pregevole raccolta di iscrizioni antiche, e quando Pietro Bembo fu fatto cardinale, dal 1539 gli venne affidata per qualche tempo la direzione della Biblioteca Nicena, primo nucleo della Marciana.
Concluse la carriera nel 1546, in qualità di cancelliere residente a Milano, e ancora relativamente giovane morì l’anno dopo in luogo ignoto.
Personaggio dunque non di primo piano, ma bene inserito nello sfaccettato ambiente intellettuale veneto, il Ramberti produsse a stampa un libretto di un’ottantina di pagine, scritto al rientro da Costantinopoli: era una sorta di compendio, che fu dapprima pubblicato anonimo a Venezia nel 1539, e nel titolo Libri tre delle cose de Turchi richiamava il Commentario delle cose de Turchi, et del Sig.r Georgio Scanderbeg, di Paolo Angelo. Ebbe un discreto successo, confermato dalla ristampa fatta nel 1541 e dalla riproposta nel volume collettaneo Viaggi fatti da Vinetia, alla Tana, in Persia, in India, et in Costantinopoli (Venezia, 1545). L’autore affermò di averlo concepito alla stregua di un semplice ragguaglio memoriale per se stesso e alcuni amici, e in effetti la sua natura in parte compilativa, l’impostazione smilza e una fraseologia estremamente sobria sembrerebbero accreditare un’edizione tirata in pochi esemplari e destinata a pochi intimi. Tuttavia il gradimento con cui fu accolta si spiega meglio se si ricorda che nel corso del XVI secolo si fecero sempre più numerosi coloro che, dovendosi per la prima volta recare nell’impero ottomano per incombenze lavorative o per affari, se non per assolvere a compiti ufficiali e istituzionali (come appunto era accaduto al Ramberti), intendevano farsi una preliminare idea di base sulla sua organizzazione, di cui però poco o nulla sapevano. Questo breviario introduttivo veniva quindi ad accontentarli, non senza soddisfare diverse curiosità.
Nei limiti strutturali e contenutistici che la caratterizzano, l’operetta è abbastanza esaustiva. Nel primo dei tre libri elenca lo sviluppo dell’itinerario seguito nell’andata, con l’indicazione delle miglia percorse nelle varie tappe, e per quelle più importanti fornisce notizie sommarie sulle cose da vedere, talora accompagnandole con originali notazioni etnografiche; nel secondo, insieme con le rispettive retribuzioni sequenzia sia i numerosissimi uffici funzionali alle esigenze di una reggia pianificata fin nei più minuti mansionari, sia gli organigrammi dei vari dicasteri preposti alle innumerevoli branche gestionali di quell’immenso stato; e nel terzo, infine, in forma più discorsiva presenta i principali aspetti del governo ordinario e del vivere quotidiano.
Dalla lettura scaturisce una visione poco lusinghiera del mondo ottomano nel suo complesso, in parte condizionata dagli stereotipi correnti nel XVI secolo, e in parte derivata da oggettive criticità, dal Ramberti individuate principalmente nei comportamenti esistenziali del maomettano in quanto espressione della civiltà islamica stessa: ciò che peraltro non gli impedì di apprezzare lo spessore umano di Solimano I, da lui descritto bensì oppiomane, di carattere “melanconico” e di temperamento collerico, ma anche non alieno dalla clemenza, sostanzialmente equilibrato nell’azione di governo e incline più alla pace che alla guerra, oltre che propenso a una vita ritirata e dedita alla meditazione teologica e filosofica a scapito di un più sollecito e personale attivismo politico, spesso e volentieri demandato alle iniziative del primo ministro Ibrahim pascià e all’operato di intraprendenti faccendieri come il veneto Alvise Gritti, in quel mentre all’apice dell’ascesa.
Accanto alle pagine immancabilmente riservate al Serraglio delle mogli del sultano e agli ambienti dove si formavano i giannizzeri e i giovani di servizio alla corte, il libro presta inoltre un’interessata attenzione a taluni aspetti istituzionali e in specie al deterrente bellico turchesco, con giudizi non peregrini nei riguardi di una fanteria numericamente sottodimensionata, e di una artiglieria assai mediocre per qualità e competenze. Ma a colpire negativamente l’autore fu in primo luogo lo stato della marina, che tanto più gli parve improvvisata, e affidata a equipaggi raccogliticci e demotivati su navi frettolosamente allestite da maestranze di modesta levatura. Il disastro avvenuto a Lepanto nel 1571, ovvero da lì a non molto, avrebbe dimostrato che nella sua cursoria diagnosi il Ramberti aveva visto giusto.
Bibliografia
Complici fors’anche le carenti notizie biografiche, per quanto consta il nome di Benedetto Ramberti non ha avuto finora la fortuna e l’onore di figurare nelle antologie dedicate agli scrittori di viaggio del XVI secolo. Il non molto che su di lui si conosce è stato raccolto da G. Brunelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, 86 (2016), pp. 301-303 (disponibile pure in rete), cui si è attinto per la redazione di questo profilo.
Sinossi a cura di Giovanni Mennella
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Libri tre delle cose de Turchi
Questo è un resoconto di viaggio e insieme un sorta di breviario introduttivo scritto da Benedetto Ramberti, colto funzionario della cancelleria diplomatica della Repubblica di Venezia, al rientro da una ambasceria che nel 1534 il suo governo aveva inviato al sultano Solimano il Magnifico in Costantinopoli.