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Dall’incipit del libro:
Io ebbi a scrivere, e la penna mi esitò allora a lungo fra le dita, tanto alla mia ingenuità sembrava superflua la dichiarazione, che assai differente è la disposizione del mio spirito verso la cultura tedesca e verso la cultura italiana (pag. 130). Poniamo che esse siano, come io sostengo, due malate. Ebbene, vada la prima in isfacelo; e date, date pietre a sotterrarla, rovine di Ypres e di Lovanio, di San Quintino e di Reims, di Asiago e d’Aquileia. Ma la cultura italiana si vuol curare con affetto di figli. E con una malata occorre aver pazienza, molta pazienza, e tollerarne in pace i malumori irragionevoli, gli scatti inconsulti, i violenti rabbuffi. Sí. Ma non già fingere di non vedere i suoi mali. Sarebbe rea compassione. Ora, accanto ai sintomi che io già ebbi a svelare, ecco, e appunto sotto lo stimolo del mio libro, sono apparse altre stimmate. E stimmate vergognose. Minerva e lo Scimmione è un libro di battaglia: e, se volete, d’attacco. Io combatto metodi e idee. E poiché dietro i metodi e le idee ci sono gli uomini, ché mai non mi sedusse il diporto d’affrontare mulini a vento, giustificabile, anzi desiderabile sarebbe stato che i paladini delle idee da me combattute insorgessero a difenderle.


